Viaggio nei retroscena culinari di opere letterarie, dove i manicaretti fanno da impalcatura a trame avvincenti
Che letteratura e buona cucina siano parenti o, almeno, buone amiche, è evidente a tutti. Mangiare e bere bene e leggere un buon libro sono attività che producono entrambe un buon livello di piacere e, quindi, di felicità in chi le pratica. Oggi vorrei dare, senza pretese di essere esaustiva, qualche suggerimento per partire dal piacere della lettura e contemporaneamente farsi stuzzicare dalla descrizione del buon cibo.
Pur volendo ignorare alcuni testi classici dell’arte culinar
ia che sono anche apprezzabili e amene letture (e naturalmente il pensiero va al classico dei classici, L’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi), i testi letterari nei quali il cibo, e in particolare il mangiar bene, costituisce un elemento importante nell’economia della storia, sono veramente moltissimi.
Comincerei citando alcuni classici del poliziesco. Il Commissario Maigret di Simenon e il detective Nero Wolfe di Rex Stout sono, come sanno tutti quelli che abitualmente ne frequentano le avventure, dei gourmet. Wolfe, metodico e raffinato, alterna il suo amore per la cucina con la passione per le orchidee, dedicando precise ore della sua giornata alla pignola coltivazione di ambedue le sue passioni. Maigret è cultore dei cibi della tradizione popolare francese, dalle frattaglie alle zuppe di cipolle, cucina sapida e succulenta, alla quale si dedica con la stessa serena determinazione che caratterizza le sue indagini.
Ma parlando di indagini e amore per il cibo non possiamo certo dimenticare Pepe Carvalho, l’investigatore catalano nato dalla penna di Manuel Vazquez Montalbàn. Le storie di Pepe sono sempre arricchite dalla descrizione puntuale dei saporiti piatti della cucina spagnola e mediterranea: Pepe cucina e mangia con vorace soddisfazione e, spesso, il suo aiutante-investigatore Biscuter si occupa solo di saccheggiare mercati e preparare manicaretti. Montalbàn ha addirittura raccolto in un volume a parte tutte le ricette che Pepe prepara o gusta nello svolgimento del suo mestiere di investigatore privato. Ne è nato un divertente e utile libro di cucina che vi consiglio di leggere e di prendere come ispirazione per preparare gustose pietanze. Il libro Le ricette di Pepe Carvalho è edito in Italia da Feltrinelli. Dello stesso autore vi consiglio anche Ricette immorali, una puntuale e divertente guida sull’arte di sedurre usando la sublime arte della cucina.
Ma in questa breve rassegna non poteva certo mancare il nostro Commissario Montalbano (che, tra l’altro, si chiama così in onore del succitato Montalbàn di cui Cammilleri è stato amico ed estimatore). Il nostro Commissario è veramente un goloso. I suoi piatti preferiti sono quelli della cucina siciliana: pesce azzurro e frutti di mare, arancini e caponata, pasta ‘incasciata’ e altre leccornie. Il Commissario assolve al rito della tavola con lentezza e in silenzio, come ben sanno i malcapitati commensali che pretenderebbero di conversare con lui mentre sfoga il suo inesauribile ‘pititto’ su un piatto di pasta con le sarde o su un antipasto di pesce. Sacerdoti di questo rito sono la cameriera Adelina e i due osti, Enzo e Calogero, sempre pronti a soddisfare, a tutte le ore, l’insaziabile gola di Montalbano. Anche in questo caso esiste un volume, I segreti della tavola di Montalbano pubblicato da Il leone verde edizioni, in cui Stefania Campo ha raccolto le ricette dei piatti che Cammilleri ama e ha fatto gustare al nostro Commissario nel corso sue avventure.
Insomma, sembra che, secondo i nostri autori, l’amore per il buon cibo e l’intelligenza investigativa siano inscindibili.
Ma il cibo ci parla anche della realtà culturale in cui nasce ed è importante salvaguardare la ricchezza della varietà dal rischio incombente della globalizzazione che appiattisce gusti gastronomici, cancellando secoli di tradizioni e di espressione creativa dei popoli.
Trasferiamoci perciò nell’America del Sud. La splendida letteratura di questo continente è spesso arricchita dalla descrizione di gustose ricette. Citerò solo due romanzi, resi poi famosi anche dal cinema che si è impadronito di queste storie di amori e cucina trasformandole in due film: Dona Flor e i suoi due mariti di Jorge Amado e Dolce come il cioccolato di Laura Esquivel.
Nella prima storia la protagonista è una insegnante di cucina di Bahia. Il romanzo inizia con Dona Flor che dà indicazioni precise a una sua alunna su cosa si deve servire ad una veglia funebre, perché, come dice lei stessa : “Acciocché una veglia funebre sia animata e onori effettivamente il defunto che la presiede, rendendogli meno grave la prima confusa notte della sua morte, è necessario dedicarvi cure sollecite, occupandosi del morale e dell’appetito.” Ma non lasciatevi ingannare: la storia è molto divertente; soprattutto, le ricette che vi potete trovare hanno il sapore e l’allegria di quel melting pot che è il Brasile e Dona Flor, attraverso la descrizione accurata dei suoi piatti, ci immerge nell’atmosfera colorata, speziata, giocosa e violenta di quel mondo.
Anche Tita, la protagonista di Dolce come il cioccolato, è una cuoca sopraffina. I dodici capitoli della sua storia sono introdotti da altrettante ricette della cucina creola e la realizzazione di questi succulenti manicaretti dà alla nostra eroina lo strumento per esprimersi, sedurre, curare, amare e farsi amare.
Spesso, come si vede, in questi romanzi la cucina è in mano alle donne. Anche se si dice che i grandi cuochi siano tutti uomini, in realtà cucinare è metafora della realizzazione dell’amore materno, la materializzazione del prendersi cura dell’altro, del nutrire per far crescere, per donare forza e salute. E tutto ciò, in ogni cultura, è espressione del femminile che è in noi, anche se a metterlo in pratica è un uomo.
Per concludere questa breve e, sicuramente incompleta, rassegna di romanzi che esaltano il legame tra letteratura e cucina, vorrei dedicare qualche riga a un racconto di Karen Blixen che, a mio parere, rappresenta uno dei punti più significativi di questo particolare rapporto.
Ne Il pranzo di Babette la protagonista fugge dalla Francia perché sospettata di essere una rivoluzionaria e trova ospitalità in Norvegia, presso due anziane sorelle puritane, in un piccolo paese sul fiordo, diventando la loro governante. Le tre donne passano insieme molti anni dedicandosi a opere di beneficenza, vivendo una vita semplice e parca: il padre delle due donne era un pastore protestante e ha spinto le figlie a rifuggire dai piaceri terreni, compreso l’amore. Un giorno Babette entra in possesso di una grossa somma di denaro.
Tutti pensano che userà i soldi per tornare in Francia ed invece essa chiede di poter offrire un pranzo alle sue benefattrici e ai loro amici. Così spende tutto il suo denaro per preparare i manicaretti più sofisticati della cucina francese, acquista i vini più pregiati e si dedica con amore e cura estrema a imbastire uno straordinario banchetto. Si scopre così che Babette era una delle più grandi cuoche di Francia, una vera e propria artista. Le raffinate portate e gli ottimi vini del pranzo sciolgono la rigida atmosfera della casa delle due sorelle, e il cibo diventa strumento di convivialità e amore per la vita, arte che apre la strada alla gioia e alla socialità. E la storia sembra suggerirci che un’artista come Babette riesce a realizzarsi e a regalare bellezza e piacere in ogni condizione in cui si trovi e che cucinare per qualcuno è manifestazione di amore e riconoscenza.
Il cibo come arte l’arte letteraria, insomma, è capace di aprire nuovi orizzonti di sano piacere e di ricchezza esistenziale e umana.
Buona lettura e buon appetito.
Donatella Piccini
- Il bello del classico – Così parlò Zarathustra - 15 Febbraio 2016
- Il bello del classico – Se questo è un uomo - 14 Gennaio 2016
- La ricerca spirituale di T.S. Eliot - 15 Dicembre 2015