Intervista ad Andrea Gentili – regista di cortometraggi
Ciao Andrea, benvenuto sulle pagine di Tuttomondo. La sezione di Cinema ha già ospitato alcuni interessanti film-makers del territorio ed ora è il tuo turno. Per rompere il ghiaccio vorrei chiederti di individuare il momento in cui hai deciso di intraprendere quest’attività artistica e quali sono stati i passi che ti hanno portato a diventare un assiduo frequentatore del cinema horror/thriller.
Ciao a tutti, voglio intanto ringraziarti per questa bella opportunità che mi offri. Decisi di cimentarmi nel cinema pochi mesi prima del mio esordio, anche se era un’idea che mi balenava nella mente da circa un anno. Ricordo che ciò che mi faceva desistere era il fatto che non sapessi da dove partire. Poi, nel maggio del 2012, mi convinsi finalmente ad intraprendere questo importante passo e ne parlai con i miei due amici fidati: Lorenzo Costa e Lorenzo Palleschi. Chiesi loro se erano interessati a partecipare e furono davvero felici di far parte della troupe. A quel punto mi bastò comprare una videocamera e mi resi conto che era effettivamente l’unico ostacolo da superare, non immaginavo ancora cosa volesse dire davvero “girare un cortometraggio”. Iniziammo così a pensare ad una trama e il genere che più prediligevo era sicuramente l’horror. I primi film che vidi in questo ambito furono Profondo Rosso e Shining che mi inquietarono profondamente, ma allo stesso tempo mi affascinarono. Ebbi un po’ la stessa sensazione che descrisse Peterson nel nastro registrato di Quella villa accanto al cimitero. Negli anni del Liceo Classico ho quindi approfondito la mia conoscenza del cinema, focalizzandomi particolarmente su quello dell’orrore. Ho imparato ad apprezzare molto questo genere anche perché mi aiuta ad evadere dalla realtà e mi fa dimenticare per un po’ i problemi di tutti i giorni, più di qualsiasi altro tipo di film. Ero quindi sicuro che il giorno in cui avrei realizzato il mio primo cortometraggio, questo sarebbe stato sicuramente un horror/thriller. Non immaginavo, invece, che questo genere non mi avrebbe più abbandonato, infatti tutte le mie produzioni (ad eccezion fatta de La Volta che Giocammo col Fuoco cortometraggio tributo a Le Iene di Quentin Tarantino) sono classificabili in questo genere. Il motivo per cui ho continuato in questa direzione, oltre ad essere un grande amante di pellicole di questo tipo, è dovuto al fatto che per me pensare e realizzare cortometraggi horror/thriller risultava essere molto più semplice e stimolante. Uno dei miei problemi più grossi è sempre stato quello di trovare una trama che mi riesca a soddisfare a tal punto di dire “Voglio fare solo questo, il resto non conta” e ho notato che le trame horror non mi stancano mai, invece quando ho provato a scrivere una commedia o un drammatico l’entusiasmo si è scemato molto velocemente. Forse non sono tagliato per realizzare opere troppo “sobrie” (ride).
Il tuo primo cortometraggio, datato 2012, è stato Cronaca di un delirio. Mi piacerebbe che tu ci raccontassi i tuoi ricordi di un’opera che ha già 4 anni sulle spalle, i momenti più belli e più difficili delle riprese.
Questo cortometraggio è indubbiamente uno dei lavori a cui tengo di più, che ha un grande valore simbolico per me: lo porto nel cuore perché senza di esso non avrei mai iniziato questa bellissima attività che si è trasformata in una passione unica. È stato anche uno dei set più divertenti ed emozionanti, le risate erano davvero all’ordine del giorno, in più non dimenticherò mai la prima volta che vidi il montaggio della prima scena. Fu una sensazione davvero unica e difficile da descrivere; fino a quel momento i film li avevo visti sempre fatti dagli altri e per la prima volta assaporavo un lavoro realizzato da me, stentavo a crederci. Inoltre, non avevo niente da perdere. Non c’erano mie opere precedenti con cui mi sarei dovuto confrontare e questo ha contribuito a vivere in un clima molto rilassato. Le difficoltà vere le abbiamo avute all’inizio: il ruolo di protagonista non doveva essere ricoperto da me, ma era stato assegnato a Nicholas Pensabene (che poi tornerà sia nel remake l’anno successivo, sia come protagonista di Aeternae Tenebrae). Con lui girai soltanto la prima scena del corto e poi mi disse, qualche giorno più tardi, che non avrebbe potuto garantirmi la continuità che chiedevo. Così pensai di occuparmene io e, alla difficoltà di essere al primo cortometraggio, aggiunsi anche quella di recitare per la prima volta. Tuttavia ho sempre vissuto questa cosa tranquillamente, a parte i primi giorni che sono stati di panico totale (ride), perché non avevo ancora un’aspettativa alta; non a caso, ho trovato molta più difficoltà a realizzare Aeternae Tenebrae piuttosto che questo, perché puntavo a creare qualcosa di più curato.
Perché lo hai riproposto un anno dopo con un altro titolo (Quella casa così tenebrosa)? Non eri soddisfatto di alcune scelte?
Quando Cronaca di un delirio fu montato interamente e lo vidi la prima volta non fui molto soddisfatto. Vi erano dei chiari limiti sotto tutti i punti di vista, in più lo reputavo troppo “lungo”. Per un po’ di tempo la considerai un’occasione sprecata: dico così perché ho sempre amato la trama di quel cortometraggio. Nel corso dell’anno presi in seria considerazione di riproporlo in una versione più curata. Nel frattempo, infatti, avevo girato altri due corti che mi avevano permesso di sviluppare di più le mie capacità, così a giugno 2013 riuscii a trovare un modo per accorciare la trama, senza far perdere il senso che le avevo dato nel lavoro di esordio. A luglio iniziai le riprese che durarono pochissimo, appena sette giorni. Cambiai il titolo e decisi per Quella casa così tenebrosa (anche se inizialmente pensavo di intitolarlo La realtà parallela) per omaggiare un’opera che adoro di Lucio Fulci. Ancora una volta, però, quando lo montai non mi convinse perché, se era migliorato da un punto di vista tecnico, aveva perso qualcosa nella trama, risultando meno intrigante del precedente. Ho anche ventilato la possibilità di riproporlo, ma ad oggi non ho ancora seriamente preso in considerazione questa ipotesi.
Sempre nel 2012 realizzi My Dark Subconscious, un’opera molto originale anche per l’uso delle inquadrature e delle soggettive. Partendo da questo, ma parlando di tutta la tua produzione, ci puoi raccontare come nasce una tua storia? Da chi ti fai aiutare per realizzarla? Hai una cosiddetta factory con collaboratori fissi?
Questo cortometraggio è nato davvero per caso. Ricordo che quando lo iniziai non avevo neanche in mente di farne un corto. Girai la prima scena per fare qualcosa di diverso. In quel periodo avevo da un mese finito Cronaca di un delirio e stavo preparando un esame universitario; così una mattina, dopo aver studiato, sistemai la videocamera sul treppiedi (senza che ci fosse nessuno dietro di essa) e mi ripresi mentre scrivevo al computer. Da quel momento pensai di sviluppare questa ripresa con una vera e propria trama. Il bello di questo corto è che non sapevo neanche io dove volesse andare a parare; giravo nuove scene senza conoscere il finale, come lo spettatore quando guarda un film e non sa come si concluderà. E lo facevo completamente da solo. A metà riprese capii finalmente come si sarebbe dovuto concludere e, molto probabilmente, è ad oggi il lavoro più strano che ho fatto. In questo caso fu proprio l’ispirazione del momento a guidarmi. Ma non è sempre così, anzi: a volte mi capita di avere in mente una trama all’improvviso, altre volte dopo aver visto un film che mi ha colpito particolarmente, oppure grazie anche alla musica. Per esempio La maledizione di Rael è nato dalla mia fissazione per il disco dei Genesis “The Lamb Lies Down on Broadway”. In particolare ero affascinato dal momento in cui, alla fine del concept, Rael incontra suo fratello John che assume le sue sembianze. Decisi di riprendere questa parte della trama e svilupparne un corto horror e così nacque La maledizione di Rael. In genere il soggetto delle mie opere lo penso interamente da solo (a parte Aeternae Tenebrae che è stato scritto a quattro mani con Chiara Ferretti) perché voglio essere sicuro che la trama non mi stanchi. Purtroppo mi stanco molto facilmente, nonostante abbia davvero tantissime idee, spesso trovare quella giusta non è mai troppo facile. Inoltre do particolare importanza alla trama, ritengo infatti che al mio livello, non avendo grandissimi mezzi, puntare su una storia originale o comunque un po’ diversa dal solito sia molto importante.
Il 2013 ed il 2014 invece sono stati gli anni di La maledizione di Rael e Aeternae Tenebrae: il primo è giunto alla finale del “The Reign of Horror Short Movie Award 2014”, il secondo ha partecipato anche al prestigioso festival livornese “Fi-Pi-Li Horror Festival”. Perché hai ritenuto il bianco e nero una soluzione ottimale per girare La maledizione…? Mentre per Aeternae Tenebrae ti volevo chiedere da dove è nato lo spunto di questa setta maledetta.
Ho sempre amato il bianco e nero. Quando guardo la tv e trovo un film in bianco e nero, questo cattura la mia attenzione immediatamente. È uno stile che ha un fascino tutto suo e per questo motivo nelle mie opere l’ho spesso utilizzato. Nel caso de La maledizione di Rael ricordo che lo pensai in bianco e nero fin dall’inizio perché avrebbe reso la vicenda più inquietante, in più in quel periodo guardavo molti horror degli anni ’30. Scelsi inoltre una colonna sonora basata prevalentemente sulla musica classica che si sposava alla perfezione con l’utilizzo di questo stile. Per quanto riguarda Aeternae Tenebrae la sua trama prese forma durante un viaggio in treno insieme a Chiara Ferretti. Avevo in mente solo l’inizio del corto e due possibili sviluppi, tra questi vi era proprio il pedinamento da parte di due ragazzi che scoprivano il loro migliore amico incontrarsi con una setta adoratrice del demone Asmodai. Mi hanno sempre affascinato le sette, ma non sapevo bene come mettere in scena una plausibile “messa”. Chiara Ferretti fu davvero di grande aiuto perché, oltre a scrivere parte della trama, si occupò della sceneggiatura scrivendo i dialoghi e le azioni della setta. Penso che, nonostante delle forzature nella trama, sia comunque un buon prodotto di intrattenimento.
La provincia pisana è sempre stata una protagonista dei tuoi corti. Ti sei ispirato a Pupi Avati per l’utilizzo delle location? Ci puoi dire qualche location specifica utilizzata nei tuoi corti, se non sbaglio Aeternae Tenebrae è stato girato a Marina di Pisa…
Tutti i miei corti sono girati quasi interamente a Marina di Pisa, questo perché è il paese dove vivo e soprattutto, se le location le scelgo qui, ho la possibilità di studiarle meglio. Ho utilizzato spesso anche casa mia, sempre per lo stesso motivo. Amo Marina di Pisa e, come tutti noi marinesi, sono particolarmente attaccato al mio piccolo paese. Ho sempre pensato che questa fosse la location perfetta per un horror/thriller: c’è il mare, ma anche un’inquietante pineta, dove a volte mi spingo in lunghe passeggiate solitarie. Nel periodo invernale poi il suo grigiore contribuisce ulteriormente ad accentuare questo aspetto, diventa quasi una città fantasma! Credo che comunque Pupi Avati abbia ispirato soprattutto il mio primo corto e il suo remake, l’ambiente è prevalentemente campagnolo e nel suo La casa dalle finestre che ridono sono sempre stato affascinato dalle bellissime ed inquietanti location. Ritengo quel film uno dei migliori esempi di quanto sia importante trovare i luoghi giusti in un film horror.
Rimanendo ai maestri italiani, mi piacerebbe che tu spendessi, vista la tua passione per l’horror italiano anni ’70 ed ’80, un breve giudizio su Lucio Fulci, Dario Argento, Lamberto Bava e Pupi Avati. Cosa hai preso dal loro stile registico?
Ho davvero una grande passione per gli horror nostrani, tanto che ho pure un canale youtube (Eibon produzioni) dove faccio video recensioni dedicate proprio alle pellicole horror della nostra penisola. Quelli che hai nominato sono tra i migliori registi che abbiamo avuto in questo ambito (io ci aggiungerei pure Mario Bava) ed è un peccato che, ad eccezion fatta per Argento che ha avuto un successo strepitoso, in molti non li conoscano. Dario Argento è uno dei miei registi preferiti, i suoi film oltre ad avere un’incredibile cura estetica (si veda Suspiria ed Inferno) li trovo anche molto interessanti nei temi trattati. Lamberto Bava invece è stato sottovalutato, un film come Macabro dovrebbe essere conosciuto da tutti gli appassionati del genere. Penso che la sua sfortuna sia stata quella di aver iniziato a fare film quando il cinema di genere stava morendo. Pupi Avati aveva tutte le carte in regola per diventare uno dei migliori registi della nostra penisola, per me il suo La casa dalle finestre che ridono è al livello di Profondo Rosso, inoltre anche Zeder e L’arcano Incantatore sono davvero degli ottimi film, un vero peccato che poi si sia dedicato ad altro. Infine Lucio Fulci è sicuramente, tra questi registi citati, quello che ha avuto più influenza su di me. I suoi film mi hanno da sempre affascinato grazie al suo stile morboso, il voler scioccare sempre lo spettatore, i suoi stupendi dettagli degli occhi dei personaggi. Ho ripreso molto da lui, soprattutto nell’ultimo lavoro che è in fase di post-produzione. Poi, oltre a questi grandi artisti, amo molto anche Lynch (uno dei miei maggiori ispiratori), Cronenberg, Polanski e Carpenter. Comunque sto ancora sviluppando il mio stile e lo sto affinando sempre di più ogni volta che realizzo un nuovo cortometraggio. La mia idea di cinema si concentra molto sul creare delle inquadrature statiche che trovo perfette per poter trasmettere maggiore inquietudine allo spettatore.
Visto che nei tuoi corti partecipi anche come attore, ti volevo chiedere se ti senti più un regista, uno sceneggiatore o un attore.
Sicuramente mi sento più regista, però mi piace molto essere al centro dell’attenzione, quindi non disdegno affatto il ruolo di attore. Tuttavia spesso sono quasi costretto ad interpretare una parte, questo perché molte delle persone che conosco non sono disposte a prendere parte in modo significativo al corto. Molti si limitano a venire sul set una o due volte, talvolta per curiosità, altre volte solo per passare del tempo dandomi una mano come operatori di ripresa. Trovare persone che costantemente siano disponibili ad investire una buona parte del loro tempo non è affatto semplice. In Aeternae Tenebrae per esempio ho dovuto ricoprire il ruolo di uno dei tre protagonisti per il suddetto problema. Questo mi ha sempre un po’ rattristato perché girare un corto è davvero una delle esperienze più belle ed intense che abbia mai provato, però spesso gli amici che coinvolgo lo prendono quasi come se fosse un lavoro, quindi non riescono a vedere il lato divertente della cosa. Chiaramente anche io ho dei momenti in cui mi indispongo e sono particolarmente arrabbiato, perché ci tengo profondamente. Il divertimento e l’emozione, però, vincono sempre. Comunque la situazione che prediligo è quando, oltre alla regia, faccio un breve cameo, un po’ come Fulci nei suoi film. Mi piace apparire nei miei corti, ma allo stesso tempo preferisco dedicarmi di più alla regia.
E per concludere ti volevo chiedere qualcosa sul tuo prossimo lavoro. Quando uscirà? Ci puoi già anticipare qualcosa?
Il mio prossimo cortometraggio dovrebbe uscire ad inizio marzo. Il titolo sarà Il sogno della ragione genera mostri, ovviamente mi sono ispirato alla famosa opera di Goya, cambiando la parola “sonno” con “sogno”. Sarà un lavoro metaforico che punterà molto sull’atmosfera, non a caso ho avuto l’illuminazione mentre riguardavo Eraserhead di David Lynch. Per concludere posso dire che sarà anche il mio lavoro più personale, spero che possa ottenere un buon riscontro.
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