Dai primi lavori degli anni ’80 ad oggi, lo stile di Barbara Kruger, fotografa concettuale americana, non è mai cambiato, diventando segno riconoscibile del suo lavoro. La sua è una sfida che si nutre attraverso la provocazione sottile e tagliente della parola: unità comunicativa che l’artista americana utilizza come una lama, squarciando il formato immagine dei luoghi comuni creati dalle esigenze politiche ed economiche della società contemporanea.
Quello che più incanta delle immagini di Kruger, è il breve momento di riflessione che trova il suo spazio sempre a metà, tra il compiaciuto sorriso iniziale e l’inesorabile presa di coscienza finale, a chiusura di un ciclo comunicativo dove la verità degli slogan scritti con caratteri italica bold a forte contrasto cromatico si sovrappone alle immagini fotografiche in bianco e nero prese in prestito dall’universo pubblicitario, da quello politico e dalla cultura di massa.
L’artista comincia la sua formazione in arti visive presso la Parson’s School of Design di New York, sotto la guida di Diane Arbus; poi l’esperienza come capodesigner per la rivista “Mademoiselle”, infine il ruolo di art director presso “House and Garden” e “Aperture”: tutto quello che Kruger ha imparato sul linguaggio, i segni e la comunicazione grafico-pubblicitaria, serve a costruire nuovi livelli di significato, invertendo il rapporto tra l’elemento verbale e quello visivo.
Il risultato è un universo immaginifico e per certi versi inquietante, dove lo slogan pubblicitario suggerisce il tono della minaccia o dell’ammonimento e dove il carattere rassicurante e allegramente popolare del kitsch entra in cortocircuito con la morale finale del racconto.
Talvolta perfino le massime filosofiche del pensiero moderno vengono sovvertite, incontrando la necessità – mai sacrificata – di ritrarre un’epoca storica: quella contemporanea.
Nelle opere di Kruger l’universo pubblicitario vive e coinvolge lo spettatore emotivamente e intellettualmente, sconfinando fino alla dimensione spaziale: i lavori della fotografa americana abitano i luoghi solitamente destinati agli spazi pubblicitari, come la strada e le pagine dei giornali.
Perfino all’interno delle realtà museali, l’opera di Kruger invade nuovi spazi: accanto alla classica esposizione in sala, l’artista ha sperimentato delle installazioni che prevedevano il riempimento di alcuni spazi architettonici non destinati all’esposizione. Nel 2012 il vano scale e l’area bookshop dell’Hishhorne Museum di Washington vennero ricoperti da brevi frasi sul potere e la volontà d’acquisto, dando un nuovo valore agli elementi architettonici del museo, trasformando la percezione spaziale in un flusso continuo di linguaggio e colore, ragione ed emozione.
Barbara Kruger sfida l’universo comunicativo pubblicitario e provoca la società parlandole attraverso un linguaggio che le è familiare. Il suo punto di vista attira l’attenzione e prende a sberle, innescando un meccanismo dove non si può far a meno di vestire i panni complicati del piccolo roditore in trappola, costretto a scegliere tra un succulento pezzo di formaggio e la sua piccola, fragile zampetta.
Giulia Buscemi
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