Anche nella sez. Letteratura questa sarà una Rubrica fissa, e quindi tutti i mesi potrete leggere una riflessione su un libro entrato ormai a far parte di quelli che sono considerati i classici della letteratura.
Perchè, secondo noi, se un libro (così come un film, un disco o quello che volete) entra nell’immaginario collettivo, continua a piacere a generazioni diverse, un motivo ci sarà….
Questo mese, buona lettura con
L’Ultima lacrima
di Stefano Benni
Quanti anni deve avere un libro per essere definito classico? Esiste una regola precisa? Oppure l’unica regola possibile è la regola della qualità? E con quali criteri si stabilisce la qualità di un libro? Prestando ascolto a quelli enumerati da Italo Calvino, forse non sarà un azzardo includere in questa rubrica L’ultima lacrima, di Stefano Benni, edito da Feltrinelli nel 1994.
E’ un libro di racconti.
In Italia, lo sappiamo, si legge poco, pochi romanzi, pochissimi saggi e veramente pochi libri di racconti. Non si sa perché ma il racconto, in Italia, è considerato un sottoprodotto della letteratura, come se saper dosare ritmo e significati in poche pagine fosse un talento di serie b, rispetto a quello necessario alla costruzione delle più complesse architetture di un romanzo.
Eppure Hemingway o Carver dovrebbero bastare per dimostrare il contrario. Così come il fatto che il premio Nobel della letteratura 2014 sia andato a Alice Munro, che nella sua vita ha scritto solo racconti.
Ma l’Italia, lo sappiamo, è un paese strano, e forse neanche questi racconti sarebbero stati pubblicati se l’autore non fosse già noto per romanzi come Terra!.
E sarebbe stato veramente un peccato.
Questi racconti hanno vent’anni ma sembrano scritti ora. E ne sono cambiate di cose negli ultimi venti anni, pensiamo a come Internet si è impossessato di noi, per non parlare del panorama politico e economico internazionale. Questi racconti però sono ancora freschissimi, il mondo che ci presentano è ancora il nostro. E’ il mondo del continuo lavaggio del cervello e della globalizzazione pseudo-democratica alla quale la televisione ci condanna. E’ il mondo dell’omologazione obbligatoria, dell’odio per il diverso e il disprezzo per il più debole.
Nella quarta di copertina si parla di mostri, ma è stupefacente vedere quanto questi mostri ci assomiglino, quanto questo mondo fantasmagorico sia simile al nostro assurdo e impietoso vivere quotidiano.
Ma siccome l’autore ha una spiccatissima capacità satirica, tutto questo, e molto altro, ci viene raccontato con la meravigliosa leggerezza dell’ironia, con la sorridente ma agghiacciante forza di situazioni surreali.
E quindi incontriamo sportelli bancomat che prendono decisioni ‘umanitarie’, aragoste che si salvano la vita con la filosofia , libri assassini e tirannosauri innamorati.
Tra l’altro, non sai mai cosa ti aspetta nel racconto successivo, quali personaggi e quali situazioni. Non c’è nulla che ti prepari alla pagina seguente, ai paradossi e alle metafore, ai giochi di parole, ai cambiamenti di registro .
Ma, come dicevo, questo mondo fantasmagorico, assurdo e, a volte, apparentemente allegro è ferocemente simile al nostro e i paradossi servono soprattutto a farci guardare alla nostra realtà e, spesso, anche a riflettere sul significato ultimo dell’esistenza, di cui, questo mondo assurdo e falso sembra aver perso il valore..
Una sorta di racconti filosofici che, tuttavia, in alcuni casi possono essere gustati anche solo come divertimento puro, per la forza comica che li attraversa.(Lombritticoetica, Coincidenze).
Molti altri sono invece feroci satire di un mondo nel quale comportamenti stereotipati impediscono ai personaggi di avere una visione lucida della realtà, tutti presi come sono dal loro giuoco delle parti (Il ladro), oppure dove si impiegano le proprie energie nel continuo inseguimento di una omologazione, un annullamento di ogni traccia di individualità. Questo è il mondo dove si preferisce non avere idee (Un uomo tranquillo) o dove avere idee è vietato (Il sondar, Un cattivo scolaro). Un mondo popolato di tronfi pseudo intellettuali alla ricerca continua di visibilità ( Il ritorno di Garibain) e di piccolo borghesi desiderosi di apparire, anche a se stessi, conoscitori e estimatori di capolavori artistici sconosciuti alla massa (La Vergine del Moscato)
Un mondo violento e meschino nel quale giocare con la vita altrui è il passatempo di un noioso fine settimana (Il fagiano) o lo spettacolo serale per famiglie ( Papà va in tv).
Sono ventisette i racconti di questa raccolta.
Potete divertirvi molto a leggerli, ma potreste anche ricavarne un groppo in gola
Donatella Piccini
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