Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare.
S’intitola Terra matta ed è l’avvincente autobiografia di Vincenzo Rabito, un semianalfabeta siciliano, classe 1899, che ha vissuto quasi tutto il Secolo Breve.
La miseria dei suoi primi anni, la partecipazione alla Prima guerra mondiale, il fascismo, la guerra d’Africa, la Seconda guerra mondiale, l’emigrazione in Germania, il ritorno in Sicilia, il boom economico e quindi la famiglia.
Bracciante agricolo fin da bambino, soldato e poi reduce di guerra, muratore, minatore, e cantoniere fino alla pensione. Verso la fine dei suoi anni, tra il 1968 e il 1975, ha deciso di mettersi a raccontare tutto questo, la sua vita, ingaggiando un’epica lotta quotidiana con una vecchia macchina per scrivere, chiuso a chiave nella sua stanza.
Dopo la morte di Rabito, avvenuta nel 1981, il figlio Giovanni (tra i personaggi protagonisti dell’autobiografia paterna) ha ritrovato il dattiloscritto, una straordinaria mole di 1027 pagine fittamente riempite, con un uso ipertrofico della punteggiatura, senza margini e a interlinea zero. Nel 1999 lo ha inviato all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (Arezzo), facendolo concorrere all’annuale Premio Pieve Saverio Tutino riservato a diari, memorie, epistolari, e in genere a ogni tipo di scrittura intimistica.
E nel 2000 Terra matta è risultato il testo vincitore del Premio Pieve. La motivazione della giuria parlava del «capolavoro che non leggerete». Fortunatamente per noi, il capolavoro di Vincenzo Rabito è stato pubblicato da Einaudi nel 2007, in edizione critica a cura di Evelina Santangelo e Luca Ricci.
Io era picolo ma era pieno di coraggio, con pure che invece di antare alla scuola sono antato allavorare da 7 anne, che restaie completamente inalfabeto.
Il fascino di questo libro, di là dalle appassionanti vicende descritte e dalla travolgente bellezza narrativa, potrebbe risiedere anche solo nella veste linguistica. Un siciliano italianizzato che, a differenza di quello usato da Andrea Camilleri, è spontaneo, vero, l’unico modo in cui l’autore sapesse scrivere, e che perciò trova pienamente la sua ragione d’essere in un indissolubile legame tra contenuto e forma. Una storia, cioè, che non poteva essere raccontata altrimenti se non in una forma sgrammaticata e semidialettale.
«Un’opera monumentale, forse la più straordinaria fra le scritture popolari mai apparse in Italia», si legge nella Nota dell’editore. E a ragione, tornando alla motivazione della giuria, si è parlato dell’opera di Rabito come di «un affresco della sua Sicilia così denso da poter essere paragonato a un Gattopardo popolare».
Terra matta ha tutte le carte in regola per essere annoverato a pieno titolo tra i classici della nostra letteratura. Perché, se Italo Calvino ha scritto che «i classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo…” e mai “Sto leggendo…”», questo è davvero un libro che viene voglia di rileggere non appena finito di leggere la prima volta.
300; giorni; senza; scrivere; niente; epoi; 3; giorni; per; scrivere; di; unalbero; e; poi; neanche; uno; dopo; per; scrivere; di; un; libro; che; non; e; un; libro; senza; ragione; e; solo; perche; mi; va;
(Dal dattiloscritto originale)
Un’inestimabile e singolare testimonianza della letteratura italiana del Novecento che riguarda non solo la vicenda personale di Vincenzo Rabito, ma il passato e il presente di tutti gli italiani, se non dell’intero genere umano.
E quindi, anche solo per questo, un libro da (ri)scoprire, da conoscere, da studiare, da approfondire, e senz’altro da far leggere a scuola.
Francesco Feola