L’era digitale ha rivoluzionato le interazioni personali fra milioni d’individui, e il cinema non ha mai smesso di documentare il passaggio radicale verso nuove forme di comunicazione. I social network hanno giocato un ruolo cruciale nella percezione altrui, in una partita a ping pong fra essere e apparire. Abbattere le distanze, permettere a tutti di dire la propria, far conoscere realtà celate ai più ma anche un’alienazione sociale crescente e una dipendenza clinica dal dispositivo tecnologico, sono solo alcuni dei pregi e difetti dei social. Il gigante imbattuto nel cyberspazio della condivisione è senza dubbio Facebook, con il suo miliardo e mezzo di utenti.
Il film di David Fincher, The social network (2010), comincia nel 2004, quando un giovanissimo Mark Zuckerberg è ancora una matricola della facoltà d’informatica ad Harvard. Scaricato dalla fidanzata Erica, Mark torna al college e crea un sito per mettere a confronto le ragazze dell’università: “FaceMash”. In questo modo viene notato dai gemelli Cameron e Tyler Winklevoss, che in quel momento stavano cercando un programmatore per dar vita a un sito che facesse interagire tutti gli studenti dell’università. Mark rifiuta l’offerta dei gemelli e da vita a un proprio sito con i finanziamenti dell’amico Eduardo Severin e in seguito grazie alla collaborazione con Sean Parker. Prima con il nome di “TheFacebook” e poi semplicemente Facebook, il social network di Mark si diffonde a macchia d’olio nel globo.
Fincher racconta questa storia in parallelo con un’altra. Agli anni di Havard, si alternano le deposizioni stragiudiziali susseguite alle denunce fatte a Zuckerberg dai gemelli Winklevoss per avergli rubato l’idea e da Serverin perché si è visto ridurre le azioni con il subentro di Parker. La storia viene romanzata facendo emergere il genio nerd del computer, bramoso di riscatto, contro i brillanti gemelli/atleti del collage. Quello che potremmo definire “l’eroe” di questo film non è propriamente simpatico e Fincher ne fa emergere proprio questo lato. Zuckerberg è un frustrato, un ragazzo non proprio abile nei rapporti sociali dal vivo ma sicuramente vincente in quelli davanti alla tastiera. Nonostante il film abbia riscosso un notevole numero d’incassi e premi, non è sicuramente questa l’opera più riuscita del regista americano. Il guizzo dietro la macchina da presa si può notare nel pathos, crescente durante le sequenze che alternano le versioni date dai protagonisti durante le deposizioni, e il reale andamento dei fatti ai tempi dell’università. La dicotomia fra la storia reale e quella raccontata è la stessa di una qualsiasi pagina Facebook, intessere un racconto per gli “spettatori” virtuali su una base parzialmente reale.
Altra rete quella indagata in Citizenfour (2014), il documentario di Laura Potrias che ha vinto l’Oscar nel 2015, realizzato su iniziativa del protagonista stesso. Edward Snowden è l’informatico della CIA che nel 2013 è salito alla ribalta per aver portato all’attenzione mediatica una serie di documenti segreti del governo statunitense e britannico. I documenti contenevano una serie d’informazioni di spionaggio riguardanti altri paesi competitor dell’occidente. Provocando le furie del governo americano, Snowden è stato denunciato dal suo stesso paese e da allora vive tra Europa e Asia ottenuto l’asilo politico. Il documentario della Potrias parte dal gennaio del 2013, quando lo stesso Snowden contatta la regista tramite un messaggio criptato. Quest’ultima si reca a Hong Kong con Glenn Greenwald del The Guardian per incontrare l’informatico e le riprese cominciano proprio da quel momento. Con un taglio molto asciutto, a tratti amatoriale e una sporcatura legata ai numerosi imprevisti, la regista alterna la paura di essere spiati, le fughe improvvise per non farsi scoprire dall’intelligence alla continua necessità di spostarsi.
Il documentario segue le discettazioni dei tre protagonisti riguardo alle divulgazioni fatte da Snowden stesso, su quanto sia lecito da parte di un governo spiarne un altro, sulle politiche obaniane e su quanto sia giusto controllare milioni di persone violando l’intimità dell’individuo. L’impianto stilistico dell’opera agisce su più livelli. Da una parte siamo di fronte a un cinema-verità, che mette davanti alla macchina da presa gli autori del film e indaga su una questione d’interesse etico globale. Dall’altra, il duo Snowden-Potrias non rinuncia a inanellare elementi drammaturgici, soprattutto sulla ritmica delle informazioni da divulgare, e grazie a un montaggio che acuisce gli elementi da spy story, diventa un autentico thriller.
The social network e Citizenfour sono due esempi di cinema che riesce a raccontare il ripensamento del rapporto tra individuo e tecnologia. La rete digitale, diversamente nei due film, penetra la vita dell’uomo in un ventaglio di sfumature parecchio differenti. Non solo nella comunicazione uno a uno, ma, come in un Grande Fratello orwelliano, ci ritroviamo tutti a chiederci: mi stanno spiando? Chi sono? Cosa conoscono?
Antonio M. Zenzaro
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