Un piccolo ingranaggio di un meccanismo (quasi) perfetto

Ovvero: l’esperienza di un’aspirante attrice come comparsa nello spettacolo “Dopo la tempesta” di Armando Punzo

Frequento, dalla preadolescenza, con devozione quasi maniacale, i corsi di FareTeatro del teatro Verdi di Pisa. Ho scelto consapevolmente di tentare la strada dell’istruzione attoriale da poco meno di due anni, sebbene avrei potuto accorgermi della mia pericolosa inclinazione al lavoro dell’attore già dagli anni del liceo, quando, invece di tradurre coscienziosamente Catullo e Aristofane, passavo molte più ore ad orbitare intorno al Verdi, a pensare alle prove degli spettacoli, a imparare e ripetere non solo la mia parte, ma tutto il testo assegnatoci dai nostri insegnanti. Perciò, quando sono venuta a conoscenza della possibilità di partecipare a un laboratorio di due giorni con Armando Punzo in vista della rappresentazione dello spettacolo Dopo la tempesta al Verdi, al termine del quale Punzo avrebbe scelto qualcuno tra i ragazzi dei corsi di FareTearto per andare in scena come comparse insieme alla Compagnia della  Fortezza, non me lo sono fatto ripetere due volte e ho dato subito la mia disponibilità.

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Il laboratorio era articolato in due sessioni di lavoro, durante le quali, siamo entrati nella personale dimensione teatrale di Punzo. Per iniziare, il regista ci ha mostrato alcune registrazioni della versione messa in scena nel carcere dello spettacolo Dopo la Tempesta, dandoci in contemporanea informazioni sul tipo di lavoro che ha svolto all’interno del carcere in venticinque anni, delle condizioni in cui si trovavano a provare (spesso in celle anguste che a malapena contenevano tutta la compagnia), e sulla sua visione di teatro. Ci ha poi successivamente avviato ad un esercizio collettivo di respirazione e a un piccolo esercizio di interpretazione per poi indirizzarci verso l’atmosfera dello spettacolo: sofferta attesa, sospensione. Come ci ha spiegato, ci troviamo in uno stallo, in cui tutto potrebbe accadere, ma nulla accade. In cui il regista-Prospero-Shakespeare non vuole più andare in scena, non vuole più dar voce a quei personaggi che lui stesso a creato, e nel quale vi sono figure eteree che appaiono per un’ultima volta in scena. E allora ha incoraggiato la parte femminile del gruppo a comportarsi come attrici annoiate, che vorrebbero andare in scena ma non riescono mai, e la parte maschile a camminare sulla musica registrata  come spettri, ieratici ed evanescenti. Abituati ai comandi diretti degli insegnanti di teatro senza la spiegazione immediata sul perché della necessità dell’esecuzione del comando, abbiamo iniziato il nostro personale studio su quel che Punzo ci aveva richiesto, fiduciosi che la spiegazione ci sarebbe arrivata più avanti nell’esercizio. Spiegazione che, evidentemente Punzo aveva, ma che a noi è stata negata. Più che un laboratorio per noi, pareva un provino di gruppo, durante il quale  una sorta di selezione naturale è entrata in atto. Serpeggiava l’idea che il regista potesse scegliere qualche eletto aspirante attore per avere una parte nello spettacolo, come aveva già fatto in passato con lo spettacolo Il Santo Genet, ma era un’idea non esplicitata, sospesa, che aumentava la tensione nei partecipanti al laboratorio a fare bene quel che veniva richiesto. Terminate le quattro ore di lavoro del primo giorno, eravamo in pochi sopravvissuti ed esausti. Avevamo capito poco di quel che avevamo fatto, ma avevamo continuato a farlo, e ai miei occhi, questo non poteva essere che un merito. Eravamo felici del nostro piccolo traguardo e ci siamo preparati a essere presenti al secondo giorno di lavoro, senza aspettarci però quel che sarebbe successo: che i presenti del secondo giorno di lavoro venissero presi direttamente per lo spettacolo. Siamo arrivati, e ci hanno immediatamente detto di andare a provarci i costumi per poi andare in sala grande a provare con Punzo: noi spauriti, ma emozionati, abbiamo obbedito. Personalmente, sono venuta a sapere che il mio ruolo sarebbe stato quello di “Attrice Annoiata”: cioè che avrei avuto un ingresso tra il pubblico, che mi sarei dovuta annoiare progressivamente sempre di più, per poi decidere di uscire in grande stile, sdegnatissima per non essere stata mandata in scena dal regista-Prospero. Le prove dello spettacolo sono state quanto di più anticonvenzionale io abbiamo mai visto: non si è trattato del classico “filaggio”, né tantomeno della classica “prova generale”. Durante le innumerevoli ore che ho passato immersa nel mio abito simil-seicentesco ad annoiarmi tantissimo, continuamente dentro la parte, ho notato che Punzo fa tutto, e tutto insieme. Si occupa delle luci, come dei movimenti degli attori, come delle comparse e della scenografia. E tutti gli sono disponibili intorno, per ore, a montare singole parti dello spettacolo mentre altre vanno avanti all’infinito, in una ripetizione ipnotica. La compagnia, formata da carcerati, non era completa per questa rappresentazione, poiché molti di loro non hanno il permesso di uscire dal carcere. Così si spiega anche la nostra presenza qui, non solo per coinvolgere il territorio nella formazione dello spettacolo, ma anche per sopperire alla mancanza di chi quel giorno non ci può essere.

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E nonostante questa organizzazione che a noi piccoli ingranaggi è parsa caotica, lo spettacolo è andato in scena, il meccanismo ha funzionato. Grazie alla favolosa equipe di lavoro di questo spettacolo, alle costumiste, aiuto registi, coreografe, fonico, musicisti, attori e, si, anche grazie alle comparse molto diligenti, la macchina è andata in moto. E se avete per caso visto lo spettacolo e non avete notato minimamente quella montagna di panna montata seduta a lato del palco ad annoiarsi, non preoccupatevi, non mi arrabbio: una buona comparsa, non la nota nessuno, una cattiva comparsa, la notano tutti. Perché le comparse sono la scenografia vivente, i piccoli meccanismi di uno spettacolo, di cui, evidentemente, anche una macchina teatrale geniale e originale come quella creata da Punzo ha bisogno per funzionare.
Isabella Covelli

Francesco Bondielli
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