We are of the earth. To her we do return.
The Numbers – Radiohead
Dopo 5 anni di attesa i Radiohead tornano con un nuovo disco: A Moon Shaped Pool, uscito l’8 maggio del 2016. In questo disco la band storica dà vita ad un’atmosfera di sogno, fatta di luci ed ombre, e torna a scavare nelle pieghe di un’intimità tutta personale. Album scurissimo e sinistro porta con sé una serie di riflessioni sulla vita, sulla fragilità dei rapporti, sulla lontananza e sulle trasformazioni culturali attuali, e in particolare si pone come un tentativo di esorcizzare un dramma personale, la fine della relazione tra Thom Yorke e la storica compagna Rachel Owen. I messaggi universali di capolavori come Ok Computer e Kid A lasciano il posto a sussurrate confessioni personali, verso un ritorno alla conciliazione con il mondo naturale, lontano dalla metropoli e vicino ai sogni ad occhi aperti.
Burn the Witch
Daydreaming
Decks Dark
Desert Island Disk
Ful Stop
Glass Eyes
Identikit
The Numbers
Present Tense
Tinker Tailor Soldier Sailor Rich Man Poor Man Beggar Man Thief
True Love Waits
Con A Moon Shaped Pool (d’ora in poi AMSP ) i Radiohead abbracciano lo stesso senso di fredda malinconia che si può ritrovare in Blackstar di David Bowie, ed esprimono un’emotività quasi rassegnata, con delle sonorità che ricordano In Rainbows del 2007 ma senza le note più colorate e solari, che lasciano qui il posto ad una maturità a tratti cinica che molti scambierebbero per noia e mera tristezza.
Gli archi della London Contemporary Orchestra, diretti dal compositore Johnny Greenwod, giocano un ruolo da protagonisti in questo disco, sono le risposte corali e agitate alla voce sfuggente e tremante di Yorke e spesso compaiono associati ai synth e alle parti minimali di elettronica che oscillano tra trip-hop e psichedelia, con cenni jazz, wave e bossanova.
AMSP è anche un ritorno al passato e un recupero di vecchi brani che erano sempre stati suonati live ma mai inseriti in pubblicazioni studio (una caratteristica tipica dei Radiohead che si ritrova anche in In Rainbows con Nude). Burn The Witch è infatti un pezzo dei primi anni duemila, brani come Identikit e Ful Stop erano già stati suonati dalla band nei tour passati, True Love Waits risale al 1995, e allo stesso modo Present Tense, The Number e Desert Island Disk venivano spesso presentati nei live dal solo Yorke in versione chitarra e voce.
È difficile stabilire cosa stia davvero ricercando Yorke in questo disco. Forse un bagliore di speranza che si intravede in fondo ad una strada buia, forse una riconciliazione con il suo passato e un ritorno alla natura selvaggia, silenziosa oltre le mura casalinghe. Al primo ascolto AMSP sembra un lavoro senza pause, quasi eccessivamente pesante, ma piano piano emergono tutti i dettagli curatissimi, dalle parti elettroniche agli archi da colonna sonora, dalla voce di Yorke ai cori eterei, lontani e a tratti quasi dissonanti, fino ai beat che tengono su ogni pezzo come un mondo a sé stante. Ogni canzone ha infatti una sua identità che va colta non solo nei testi, ma in particolare nei suoni e nei ritmi che, nonostante non troppo accennati e ultra minimali, riescono comunque a farsi percepire in modo preponderante. Interessante e inquietante allo stesso tempo è l’uso del pitch e del reverse che emerge in pezzi come Daydreaming (sul finale dove si confonde con la voce di Yorke), The Numbers e Tinker Taylor, strategie che rendono i pezzi ai limiti dello psichedelico ma con una decisa concretezza fisica.
Il pianoforte in questo disco gioca un altro ruolo d’atmosfera molto importante. Dipinge paesaggi sfuggenti, a tratti decisamente folk, e in alcuni passaggi richiama alla memoria pezzi di Nick Drake. È una specie di cascata cristallina in molti brani, autonomo come una voce principale in True Love Waits; mentre la chitarra scalda quei brani che al primo ascolto risultano spesso nevosi e malinconici. Un esempio di questo tipo è Desert Island Disk, un pezzo costruito su un giro di accordi di chitarra acustica dal suono caldo e folk che si accompagna in modo affascinante a pad dal sapore Massive Attack e Björk, per aprirsi in seguito con l’ingresso di orchestrazioni e batteria frammentata di evidente matrice jazz.
A scurire la musicalità di AMSP è anche Aphex Twin che ha realizzato l’intro di Glass Eyes, un pezzo che porta Yorke a tornare sui suoi passi, a vedere il passato da un paio di occhi di vetro che possono essere letti, fuor di metafora, come un momento di cecità nei confronti di un futuro tutto personale. In questo pezzo Yorke si perde in un sogno angosciante dove tenta di fuggire dalla città per raggiungere i sentieri nascosti nelle montagne, per perdersi, senza preoccuparsi di una destinazione definita. Le stesse sensazioni di ritorno e fuga (i leit motiv dell’album) sono ben evidenziate anche in Daydreaming: «Dreamers, they never learn. Beyond the point of no return, then it’s too late. The damage is done». Il sogno e la fuga sono l’unico modo per tornare a qualcosa di sereno e piacevole e il videoclip trasforma perfettamente in immagini quello che i Radiohead dicono in questo pezzo.
Nel video infatti Yorke vaga smarrito in diversi edifici, collegati l’un l’altro attraverso un labirinto di porte, passa attraverso stanze abitate, come se passasse indifferente attraverso le vite delle persone. Il suo punto di arrivo è una collina innevata che lui scala con foga, fino ad infilarsi in una grotta di neve, quasi un buio utero materno, per tornare a quello stadio in cui la percezione del mondo non è contaminata dai brusii della quotidianità.
Sembra che ormai non ci sia più via di scampo e che quindi l’unica soluzione sia rinchiudersi in un mondo intimo e prendere coscienza di un cambiamento, con una forte dose di nostalgia e dolore, come esprimono le parole di Ful Stop: «You really messed up everything/ But you can take it all back again/ Strike up what’s in the box/ Why should I be good if you’re not?/ […] Truth will mess you up/ All the good times/ When you take me back/ Take me back again/ Will you take me back/ Take me back again». Ful Stop è una ballata kraut rock dove le chitarre suonano come campanelli, e potrebbe benissimo inserirsi in un film come Lemony Snicket. In questo caso però il pezzo suona più come una fiaba adulta che difficilmente arriva alla fine, e si perde in una chiusura a dissolvenza sospesa.
È interessante anche come la disposizione dei pezzi nel disco non segua un ordine da concept album, anche se il sapore di concept è presente comunque. Se si fa attenzione infatti, i pezzi sono disposti tutti in un rigoroso ordine alfabetico che destabilizza. Un rigore dispositivo adulto e quasi compulsivo blocca in un ordine non emotivo tutti i brani del disco, che a loro volta lottano per liberarsi dalla gabbia, come delle emozioni represse per troppo tempo.
La maggior parte dei pezzi di AMSP è senza dubbio un inoltrarsi dell’emotività più privata di Yorke, ma non mancano alcuni timidi sguardi al mondo esterno. The Numbers, bellissimo pezzo che richiama i Beatles di White Album, con un po’ di Pink Floyd di The Wall, Echo and the Bunnymen e Bowie anni 90, è una specie di inno contro il cambiamento climatico con una vena intimista che non cessa di comparire. Anche qui ritornano ossessivamente i verbi “to take back”, “return”, a dimostrare una voglia di ritornare a qualcosa di perduto, in questo caso la natura incontaminata, come simbolo di protezione autentica e madre a cui inevitabilmente apparteniamo.
Anche Il singolo Burn The Witch, apre a riflessioni più universali. È il pezzo più “pop” dell’album e si pone come voce di contrasto ad un sistema opprimente che pratica la censura e il pregiudizio («Abandon all reason, avoid all eye contact, do no react») e che ricorda l’impegno politico di Hail To The Thief. È carico di tensione, di ostinati galoppanti, mentre la voce di Yorke scivola via eterea e malinconica come un torrente.
A Moon Shaped Pool è un disco decisamente maturo, sognante, difficile e ben costruito con suoni studiati e a dir poco perfetti. Un ritorno eccellente, adulto e posato per una band storica come i Radiohead.
Virginia Villo Monteverdi
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