PISA – Il concetto di specularità non è estraneo al mondo della musica (basti pensare, ad esempio, all’imitazione per moto retrogrado nel contrappunto), tuttavia un concerto con il programma “a specchio” costituisce almeno per me una novità. Questa è la curiosa caratteristica del concerto diretto dal M° Daniele Rustioni al Teatro Verdi di Pisa martedì 24 gennaio, all’interno del festival I Concerti della Normale. A dire il vero, già un altro concerto dell’Orchestra della Toscana giocava con questa struttura speculare (mi riferisco a quello diretto dal M° Christoph Poppen), ma questa volta il gioco degli specchi è perfetto: Antonio Salieri con la Sinfonia Veneziana e il Concerto per flauto e orchestra di Jacques Ibert nella prima parte e nella seconda due composizioni celeberrime, la Pavane op. 50 di Gabriel Fauré e la Sinfonia n. 35 in re maggiore KV 385 “Haffner” di Wolfgang Amadeus Mozart. Ecco quindi formati i poli speculari, con le due composizioni di gusto squisitamente francese e le loro sinfonie di scuola italiana.
L’esecuzione è quindi iniziata con il piglio tutto italiano della Sinfonia Veneziana di Antonio Salieri, interpretata dalla bacchetta di Daniele Rustioni in modo fresco e giocoso e con una particolare attenzione per i bruschi contrasti tra piani e forti, connotazione genetica di questa breve ma gradevole pagina sinfonica. Ben più interessante il Concerto per flauto di Ibert: colle sue asperità armoniche e le irregolarità ritmiche, la composizione cattura immediatamente l’attenzione dello spettatore. Se poi a questo aggiungiamo un’orchestra di eccellente levatura come l’ORT e uno strepitoso flautista come Fabio Fabbrizzi, è pleonastico sottolineare che l’esecuzione si gioca su livelli davvero alti.
L’aspetto più interessante di questo Concerto è il fatto che, pur essendo una composizione “densa” e tecnicamente impegnativa, è molto piacevole all’ascolto e quindi gli esecutori sono obbligati a muoversi sulla lama di un rasoio per presentare agli spettatori l’efficace equilibrio creato da Ibert. Fondamentale in questo l’ottimo flauto di Fabbrizzi: duttile e camaleontico, capace di qualsiasi virtuosismo, sa adattarsi alla perfezione ai molti colori di questa cangiante partitura, dalle atmosfere stravinskiane ai gustosi riferimenti all’impressionismo francese (soprattutto Debussy), per culminare nei molteplici effetti che impreziosiscono il pirotecnico finale. Una prova certamente faticosa – sia per l’intrinseca difficoltà della partitura, sia per il fatto che un flauto debba gareggiare con un’intera orchestra – ma che Fabbrizzi a brillantemente superato, catturando l’immaginazione e il favore del pubblico sin dalle prime battute.
Molto garbata la delicatissima Pavane di Gabriel Fauré, ma anche piuttosto fiacca. Si tratta di un brano tanto semplice quando insidioso: se da una parte abbiamo un’apparente semplicità tecnica, dall’altra si richiede un’esecuzione attenta, misurata, fortemente sentita, dai musicisti e quindi uno studio molto approfondito della partitura. Naturalmente con questo non si vuole dire che l’esecuzione di martedì sera rispecchi uno studio superficiale di questa Pavane, ma poteva esserci molta più espressività. È anche possibile che la scelta di un tempo leggermente più lento di quello adottato possa essere d’aiuto, in questo senso, alla compagine orchestrale.
Per converso, l’esecuzione della Sinfonia n. 35 “Haffner” di Mozart è stata davvero travolgente. Dalla verve, spigliata e irresistibile, dell’Orchestra della Toscana, al suo perfetto controllo sulla partitura, all’interpretazione del M° Rustioni, la Haffner ha rappresentato il vertice del concerto. Interessanti alcune scelte del Maestro, che possono aver fatto storcere il naso a qualche purista ma che sono pienamente legittimate dal testo mozartiano: i bassi molto ben marcati, l’articolazione del fraseggio e le meravigliose esplosioni – quasi sturmeriane – dell’orchestra consegnano allo spettatore nel modo più autentico quel vorticoso caleidoscopio che è la Haffner. Non è solo la magnificente celebrazione di una famiglia, gli Haffner appunto, nel momento dei loro festeggiamenti per l’ottenimento di un titolo nobiliare, è anche e soprattutto un prodotto progettato da Mozart fin nei minimi dettagli (e in tempo record) per essere a tutti gli effetti un capolavoro del genere sinfonico; non a caso la tonalità d’impianto è quella di re maggiore, quella che solitamente in Mozart significa energia, vivacità, insomma la più sfavillante voce del suo spirito brillante. Questo è quello che è presente, inudibile, sulla carta ed è precisamente quello che il M° Rustioni ha fatto emergere, in particolare nel primo movimento, così ricco di entrate caratteristiche dei vari strumenti e dialoghi tra i vari gruppi.
Molto apprezzata la scelta di eseguire il Presto conclusivo a una velocità piuttosto elevata, esaudendo una ben nota preghiera che Mozart mosse ai primi esecutori di questa Sinfonia: non potendo essere presente alla “prima”, l’autore scrisse una lettera all’orchestra e si raccomandò in modo particolare che quest’ultimo movimento venisse eseguito il più velocemente possibile. Se proprio dovessi cercare delle imperfezioni, direi che i contrasti tra le varie intensità (di nuovo i piani e i forti!) dovrebbero essere ancor più accentuati e che i timpani dovrebbero essere molto più presenti, in particolar modo in situazioni come nelle battute 21 e 23 del Presto, quando il timpanista trova il trillo sul sol grave: un accento più marcato all’inizio seguito da un trillo strettissimo con un bel crescendo esprime ancor di più lo slancio che caratterizza questa splendida Sinfonia, tuttavia questi sono gli unici appunti che l’onestà mi impone, così come mi impone di ricordare ancora una volta quale alto livello di arte musicale si sia raggiunto nella sala grande del Teatro Verdi durante l’esecuzione e soprattutto quanta soddisfazione e ammirazione ha dimostrato il pubblico al termine del concerto, tanto che il M° Rustioni – visibilmente e giustamente soddisfatto – ha regalato al suo pubblico un bis del meraviglioso finale della Sinfonia Haffner.
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