Les Arts Florissants: “Mantova” – Madrigali di Monteverdi

PISA – Sono davvero pochi gli ensembles che hanno saputo interiorizzare in modo tanto autentico e profondo il peculiare sentire della musica barocca come Les Arts Florissants, il prestigioso complesso che si è esibito al Teatro Verdi di Pisa martedì 16 maggio. Il concerto – di per sé già notevole, visti gli esecutori – ha assunto un rilievo ancora maggiore a causa di quello che potremmo definire “l’ospite d’onore”, vale a dire Claudio Monteverdi. Quest’anno ricorre il 450° anniversario della nascita del compositore cremonese e l’ensemble francese ha deciso di andare ad impreziosire le celebrazioni con l’esecuzione di un’accurata selezione dei madrigali monteverdiani del periodo mantovano, nella fattispecie tratti dal QuartoQuinto Sesto libro dei madrigali.
Si tratta di composizioni straordinariamente raffinate che rivelano la pienezza del genio di Monteverdi, e come sottolinea il M° Paul Agnew, rappresentano uno dei momenti «più significativi dello sviluppo della musica occidentale. […] Con l’insieme di questi lavori il futuro della musica appare definitivamente mutato»: mai prima di questo momento – neanche tra le mani dello stesso Monteverdi – il madrigale a cinque voci aveva raggiunto un tale livello di perfezione, d’arditezza nella polifonia e dell’incredibile raffinatezza di una scrittura che riesce ad avvicinarsi al registro recitativo senza mai affrancarsi dalla polifonia.

Claudio Monteverdi ritratto da Bernardo Strozzi

Queste caratteristiche dei madrigali monteverdiani, pur essendo state tratteggiate in modo così superficiale e approssimativo, fanno ben intendere quale sia il livello di difficoltà che il compositore impone all’esecutore e si può ben affermare non solo che Les Arts Florissants hanno raccolto la sfida, ma anche che l’hanno ben meritatamente vinta per di più giocando con le medesime regole dettate da Monteverdi. Prima ancora di entrare nel merito dell’esecuzione, infatti, è doveroso per lo meno accennare alla splendida lettura filologica fornita dall’ensemble: innanzitutto non si tratta di filologia fine a se stessa ma volta a restituire al pubblico quella che era la prassi esecutiva dell’epoca e quella che era l’intenzione ultima di Monteverdi, il messaggio e le sensazioni che il compositore ha intessuto nella finissima polifonia. Da qui la scelta, tanto coraggiosa quanto obbligata, di eseguire la quasi totalità del programma a cappella, ricorrendo all’accompagnamento strumentale solo ed esclusivamente nei brani che lo prevedevano. Allo stesso modo è stata data grandissima importanza al testo poetico utilizzato da Monteverdi: a parte il fatto che questo riguardo era necessario solamente per l’alta levatura dei librettisti (da Francesco Petrarca a Torquato Tasso, passando per Ottavio Rinuccini e Battista Guarini), ma è impensabile cercare di effettuare un’esecuzione approfondita e consapevole di questi madrigali senza avere per il testo la stessa attenzione che si ha per la musica, sia nei casi in cui la parola si fa suono («anima dura», «cruda Amarilli») sia in quelli in cui la musica – anche visivamente in partitura – imita una particolare immagine del testo, come accade nel madrigale Piagn’e sospiri «in cui le linee tortuose della musica servono da immagine per il coltello che incide la corteccia dell’albero».

Les Arts Florissants

È proprio in virtù di questa lettura profonda e “autentica” che l’esecuzione pisana di questa antologia madrigalistica è stata in grado di raggiungere vette di perfezione tanto elevate, mi permetto di aggiungere non è da tutti eseguire più di venti madrigali e riuscire a tenere il pubblico inchiodato alla poltrona fino all’ultima nota. Tuttavia, per quanto inconsueto, questo risultato diventa quasi prevedibile quando si ha a che fare con una compagine del livello de Les Arts Florissants: un’intonazione pressoché perfetta unita a una vocalità sempre misurata e totalmente controllata, in ogni singola sfaccettatura, hanno dato vita a una sonorità incredibile, evanescente eppure solida, longilinea, che trova un equivalente solamente nel suono dell’organo… e di un organo di eccellente fattura, per di più. A questo proposito è obbligatorio menzionare il basso Cyril Costanzo, dotato di un timbro strepitoso, caratterizzato dalla morbida pastosità di un contrabbasso. 
Un particolare complimento va invece al sopracitato Paul Agnew, che in questo concerto si è esibito nella difficoltosa doppia veste di direttore e tenore con una tale grazia e maestria che dimostrano non solo la sua elevatissima preparazione professionale ma anche fino a che punto sia stato in grado di assimilare e, appunto, interiorizzare completamente la musica di Monteverdi e la relativa prassi esecutiva. 

Il M° Paul Agnew (©Oscar Ortega)

La performance è stata talmente eccezionale che ogni singolo madrigale meriterebbe un’analisi e un commento a sé, dalle meravigliose fioriture eseguite dal tenore Sean Clayton in E così a poco a poco, al sussurrato contrappuntismo de T’amo, mia vita, fino allo struggente Lamento d’Arianna e alla gioiosa danza che porta il nome di Zefiro torna, tuttavia c’è un punto del programma su cui vorrei esprimere un personalissimo apprezzamento: Sì ch’io vorrei morire.
Si tratta di uno dei madrigali dal più esplicito contenuto erotico tra quelli composti da Claudio Monteverdi che grazie all’interpretazione dell’ensemble evoca un erotismo nel più alto senso del termine: desiderio, attesa, una sensualità che pervade intenzione e musica in modo tanto capillare da poterla quasi toccare tra il sottile canto a imitazione tra i due soprani, le dolci asperità armoniche che così bene esprimono la tentazione. Solo grazie a tutto questo ha avuto luogo lo straordinario concerto che tanta ammirazione e stupore a suscitato nel pubblico letteralmente fin dalle prime note: la formazione di cinque cantanti non appena è apparsa sul palco ha immediatamente eseguito il madrigale Sfogava con le stelle. Intonare subito, a cinque voci, una polifonia senza neanche seguire il tono d’inizio fornito da uno strumento o canticchiarlo sotto voce è veramente notevole. Les Arts Florissants ha tutte le carte in regola non solo per confermare la sua attuale reputazione di uno dei migliori complessi barocchi al mondo ma anche per aspirare a divenire un punto di riferimento per questo tipo di repertorio; finalmente un valido candidato che potrebbe riempire il vuoto lasciato esattamente dieci anni fa da quell’eccelso ensemble che era la Musica Antiqua Köln.

lfmusica@yahoo.com

Luca Fialdini
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