Dov’è, dov’è?
Qua non c’è niente, provo a vedere sotto, o sopra, non può essere finita, la devo trovare assolutamente, ne ho bisogno! Ma ecco, vedo un luccichio d’argento che spunta dal cartone, è poca, solo un pezzettino, ma può bastare. Criollo al 75% con granella di caffè, non potevo sperare di meglio, sono salva. Domani andrò a rifare le scorte, non voglio più trovarmi con la dispensa desolatamente vuota, vuota di quella che ormai è un’ossessione, una dipendenza vera e propria. Ma ora fatemi assaggiare lentamente questi pochi grammi di paradiso: i profumi di terra bagnata dalla pioggia d’estate e il sentore amaro del caffè si fondono insieme per un piccolissimo momento d’estasi. Ti adoro Teobromina! Il Cibo degli Dei: come avevano ragione gli Atzechi, anche se loro la cioccolata la bevevano soltanto, e per di più non zuccherata. Non so se fosse proprio buona, ma si sa, i gusti attraverso i secoli sono cambiati, magari a loro piaceva!
Comunque amo gli Aztechi e quelli che hanno iniziato a coltivare il cacao, chi l’ha portato in Europa, chi ha cominciato a mescolarlo con lo zucchero e chi ha avuto la bellissima idea di trasformarlo in una tavoletta sempre a portata di mano, chi ci ha aggiunto vaniglia, caffè, arancia, thè, gelsomino, peperoncino, pistacchi, nocciole, rhum, insomma qualsiasi ingrediente che l’esalti, e chi ha inventato i diablottini, le praline, i gianduiotti, i cremini, i truffles.
La cioccolata mi ossessiona, forse perché il mio innamoramento è iniziato da poco, prima non mi piaceva, lo so che sembra strano ma anche da bambina non la mangiavo. A Pasqua volevo le uova solo per la sorpresa, a una fetta di pane e nutella ne preferivo una con olio, sale e aceto, e vivevo tranquilla così. Poi per un problema temporaneo di salute mi tolsero per alcuni mesi le uova: oddio, niente più biscotti, buccellati, creme catalane, torte margherite, come avrei fatto a sopravvivere? Visto il mio sgomento Il dottore mi disse tutto allegro che avrei potuto consolarmi con la cioccolata fondente, e così per disperazione ho iniziato ad assaggiarla, scoprendo piano piano un mondo fatto di odori, profumi, consistenze, differenze sottili fra le diverse qualità: il Criollo è il cacao migliore, più profumato, morbido e raro, il Forastero è il più comune e diffuso, e poi c’è il Trinitario, che è un ibrido fra i due, ma ce ne sono anche altri! La differenza la fa anche la zona di coltivazione, un Criollo messicano è diverso da uno coltivato in Venezuela e così via, il Trinitario dell’Isola di Sao Tomè ha un sapore lievemente tostato mentre quello del Madagascar è leggermente più acidulo, insomma, come nel vino, ogni territorio di produzione ha le sue caratteristiche, che donano al cacao gusto e aromi speciali.
Il cacao è una pianta delicata, che ha bisogno di un clima umido e caldo per crescere, e si coltiva solamente intorno all’Equatore, in una fascia che abbraccia il mondo, dal Sud America alle Isole Salomone, passando per Africa e Asia. Quando il cacao si diffuse in Europa nel XVII secolo, la cioccolata era solo quella liquida, si consumava in tazza e veniva chiamata brodo indiano. Anche la Chiesa ne approvava l’uso, sostenendo addirittura che non rompeva il digiuno, e quindi vai con cuccume e cuccume di cioccolata nei giorni altrimenti dedicati alla sofferenza e alla mortificazione della carne. In effetti la Chiesa aveva il suo tornaconto, infatti furono proprio i Gesuiti e i Francescani delle missioni in Sudamerica a favorirne il commercio in Europa. Quindi, con l’approvazione della chiesa, l’uso di bere cioccolata si diffuse ben presto negli strati sociali più alti, al popolo, chiaramente, sempre e solo acqua fresca! Alla calda bevanda venivano aggiunti, oltre allo zucchero che ne fece la fortuna, anche cannella, agrumi e, estrema raffinatezza, i gelsomini. Fu alla corte del Granduca di Toscana Cosimo III dei Medici, per opera del medico e naturalista Francesco Redi, che fu ideata la cioccolata al profumo di gelsomini, una sorta di cioccolata modicana fatta con zucchero, fave di cacao tritate e messe a strati, e infine i meravigliosi e profumatissimi gelsomini a fiore stradoppio di cui il Granduca era un appassionato coltivatore. La ricetta fu mantenuta nel più assoluto riserbo, una sorta di segreto di stato. Nei primi dell’Ottocento, con l’invenzione della tavoletta solida industriale per merito di Coenraad J. Van Houten, la cioccolata passò da privilegio di ricchi e nobili a piacere per i borghesi, e poi nel secondo ‘900, finalmente, a piacere per tutti. Ma oltre al piacere, ora abbiamo anche la certezza scientifica che la cioccolata fondente fa bene: contrasta il colesterolo e favorisce il flusso di sangue nelle arterie per merito dei polifenoli e dei flavonoidi, attraverso la feniletelamina stimola la produzione di serotonina, e aumenta la concentrazione mentale grazie alla teobromina, che è un blando eccitante a lenta cessione. Quindi è normale sentirsi meglio dopo aver mangiato un po’ di cioccolata, è un vero dono degli dei per noi agitati e stressati occidentali, e quindi avrete capito perché in casa ne devo sempre avere un po’.
Lascio però la creazione della cioccolata e dei cioccolatini ai veri esperti, il concaggio non mi viene molto bene! Invece adoro fare la torta caprese: non mangiatene troppa però, perché è una vera deliziosa bomba dal cuore tenero e cioccolatoso.
La torta caprese non è un dolce molto antico, si dice sia nata negli anni Venti del secolo scorso dall’errore di un pasticciere di Capri, che si dimenticò di mettere la farina in una torta al cioccolato. Non so se è vero, ma crediamoci pure, il risultato è meraviglioso.
Ingredienti: 250 g di cioccolato fondente, 200 g di burro, 200 g di zucchero, 300 g di mandorle pelate, 5 uova, zucchero a velo e se vi piace la scorza di un’arancia grattugiata.
Fondere dolcemente a bagnomaria il cioccolato e tritare le mandorle nel mixer. Montare il burro con 150 g di zucchero, e con delicatezza aggiungere sempre montando un tuorlo alla volta. Quando la cioccolata sarà tiepida aggiungetela all’impasto assieme alle mandorle tritate finemente e alla scorza tritata di un’arancia biologica. C’è anche chi aggiunge un po’ di liquore, Rum o Grand Marnier. Con lo zucchero rimasto montate a neve ferma gli albumi e, sempre delicatamente, incorporateli poco alla volta al composto: il segreto della riuscita è far incamerare dolcemente più aria possibile agli ingredienti. Nel frattempo avrete portato il forno a 180°, metteteci la torta per circa 40 minuti. Prima di sfornarla provate con uno stecchino se la crosta è giusta e se il cuore del dolce è morbido: non deve seccare troppo, la sua bontà consiste proprio nella morbidezza. Quando giudicate che sia pronta toglietela dal forno, lasciatela riposare almeno 15-20 minuti e servitela cosparsa di zucchero a velo.
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