Che cosa vuol dire trasgressione: un viaggio nei significati

Dall’enciclopedia Treccani così viene definito il termine trasgressióne: s. f. [dal lat. transgressio -onis, der. di transgrĕdi (v. trasgredire), part. pass. transgressus]. – 1. L’atto del trasgredire, dell’andare oltre i limiti consentiti; violazione di una norma, di un ordine, di una legge. 2. estens. Deviazione dal comportamento condiviso dalla maggioranza, in una società o in un gruppo sociale. 3. In geologia, evidenza stratigrafica della graduale estensione del mare sopra terre già emerse, consistente in una sovrapposizione di depositi marini (detti trasgressivi), prima di acqua poco profonda e poi di acqua profonda, su terreni precedentemente esposti ad erosione subaerea con i quali si presentano in discontinuità stratigrafica.

Il termine deriva dal latino trans (oltre, oltrepassare) e gredior (andare). Nella lingua latina il significato di tale termine era legato ad un’idea di oltrepassare, spostarsi, muoversi oltre un luogo, con un semplice senso di movimento e superamento di un ostacolo o un’impedimento fisico. Al prefisso latino trans dobbiamo parole che rimandano all’ “andare contro”, “rendere diverso”, ma anche a operazioni di transito e trapasso come sopra detto. Il termine transgredior veniva impiegato anche con il significato di “superare” qualcuno in qualcosa, con il significato di oltrepassare uno status o un’età, passare da un’azione ad un’altra, da uno stato d’animo ad un altro. Alcune accezioni latine più rare di transgredior vedevano il verbo con il significato di omettere, esporre e anche passare in rassegna. Nel latino classico e almeno fino al periodo imperiale il termine non compariva mai con l’accezione negativa che oggi si attribuisce ad esso. Poteva anche essere utilizzato all’interno della semantica retorica (trasgredire significava anche passare da un argomento ad un altro, oppure più semplicemente sostituiva la figura retorica dell’iperbato).
Transgredior assume il significato più vicino all’attuale soltanto nella Vulgata di Girolamo (traduzione latina della Bibbia realizzata nel IV secolo) dove viene tradotto come “la violazione di una norma divina”, termine che si riscontra anche nei testi dei Padri della chiesa come Agostino e Ambrogio. Solamente nel lessico ecclesiastico quindi il verbo e il suo sostantivo si coloravano di quell’accezione più negativa e ribelle che tutt’oggi rimane contenuta nella parola: si “andava oltre” una legge stabilita da Dio e di conseguenza il trasgressore (almeno in quell’ambito semantico e culturale) era definito come il peccatore e colui che non osservava le regole. Il miglior esempio di trasgressione nell’ambito della letteratura ecclesiastica fu Lucifero, punito dal giudizio divino perché voleva essere più di ciò che era (andò oltre la sua natura), e insieme a lui chiaramente Adamo ed Eva tentati dal demonio, figura questa che nel medioevo assumerà le principali caratteristiche della trasgressione come “deviazione dalla norma” e “mostruosità ibrida”.
Soltanto intorno al XII-XIV secolo (rielaborato da alcune esegesi del terzo libro della Genesi in particolare sul l’episodio del Peccato Originale) Il termine inizia ad essere usato più ampiamente e anche fuori dal lessico ecclesiastico, nell’accezione di violazione di una norma (non sempre negativo). Il trasgressore è colui che va contro una condizione prestabilita, contro una legge umana e non esclusivamente divina. Ma il trasgressore è anche colui che conosce le regole per poi romperle ed effettivamente (in ambito culturale e artistico) portare qualcosa di nuovo.

Virginia Villo Monteverdi
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