I turisti sono i peggiori nemici dei viaggiatori. Il profeta Maometto aveva idee molto chiare in proposito già molto tempo fa. Un aforisma che gli viene attribuito dice: «Non dirmi quanti anni hai, o quanto sei educato e colto, dimmi dove hai viaggiato e che cosa sai». Viaggiare serve per imparare. Fare il turista per divagarsi. Andare in posti diversi dal luogo di residenza migliora l’esistenza e la conoscenza. Stare a casa fa male, non c’è dubbio. Ma chi viaggia a volte esagera e si degrada a turista, che fa rima con consumista. Tra viaggiatore e turista ci sta quella stessa differenza che c’è tra guardare e vedere. Si può infatti guardare il mondo senza vedere nulla. Attenti, però, che questo può capitare a ognuno di noi. Stiamo in guardia, siamo consapevoli. il turista che è in te può prendere il sopravvento.
Il turista si fa i selfie ma il viaggiatore fotografa il paesaggio, si usa dire, per appunto dire che il viaggiatore è migliore del turista. Io direi che, invece, il vero viaggiatore deve buttare via anche la macchina fotografica, non fare fotografie né istantanee polaroid, deve guardare tutto attentamente, vedere i particolari e riporli ben dentro l’anima. Al massimo si può canticchiare mentre si medita.
Sono stato qui, sono andato là, ero, qui, ero lì… e non ho visto nulla, perché ho messo tra me e il mondo un filtro e dovevo scegliere il tempo di esposizione. Meno male che mi salvano gli smartphone che sono automatici. Ho mangiato qui, ho mangiato là, non mi è piaciuto quasi nulla, mi mancavano gli spaghetti pomodoro e basilico e il caffè. Già, il caffè. Come in Italia non lo fa nessuno. Quello del bar, quello della mamma: è lo stesso. Oddio, quello tedesco è una ciofeca, quello inglese un troiaio, gli americani poi… acqua riscaldata. Ma come fanno?
Sai che cosa faccio? Evito la folla, quest’anno vado in crociera. Una nave che è un palazzo, che dico? una nave che è un intero paese, una vera città, tre cinema, tre piscine, tre teatri, cinque piani e cinque ponti, anzi sette, e l’animazione che ti tiene sempre sveglio. Tavoli da gioco, spettacoli, balli, tavole sempre imbandite, si mangia di continuo: siamo ingrassati sette chili, ma che panorami… il giro del Mediterraneo low cost, un’esperienza unica, 300 euro due persone e una non paga: una pacchia (nata).
Chi non si sente viaggiatore e non turista? Chi non crede di essere stato l’unico ad aver visto cose che voi umani non vi sognate di vedere mai? Il guaio è che al mondo i turisti sono ormai più di un miliardo, contando solo quelli che fanno turismo fuori della propria nazione: si dice international arrivals. Anzi sono quasi un miliardo e duecento milioni. Cui vanno sommati quelli che viaggiano all’interno del proprio paese. Nel 2030 saranno un miliardo e mezzo. E’ come se ogni anno tutti i Cinesi andassero a fare i turisti fuori della Cina. Che pensare? Che è un’industria e come tale tratta i propri clienti. Sarà sempre più difficile sfuggire al destino di sentirsi viaggiatori e trovarsi ad essere turisti. A me è capitato. Ve lo racconto.
Nel millenovecento e qualcosa, insieme alla signora che allora era mia moglie mi capitò di fare un viaggio di lavoro in Malesia. Dopo il periodo di lavoro il soggiorno si allungò con un viaggio di piacere per visitare il Borneo. Avevamo studiato e sapevamo che qui vivevano i “veri” cacciatori di teste. Non si può rinunciare ci dicemmo. Andammo, arrivammo, fummo prelevati da una guida che dopo un viaggio dissestato prima su una jeep dissestata e poi su una piroga a motore scassata ci depositò in una longhouse, “tipica” casa dei tagliatori di teste del Borneo. Per inciso Orang-Utang significa “uomo”; ne prendemmo atto con rispetto. Balli tribali, vista di teste umane rimpicciolite e affumicate nei camini, cena frugale cotta nelle foglie di bambù. Luce di candela. Racconto di tagliatori che mangiano i nemici. Frecce avvelenate, cerbottane, coltelli, pugnali. A letto all’aperto dentro una gabbia per proteggerci dagli animali feroci. Notte infernale con stridi e grida di uccelli. Secondo giorno a imparare come si fanno trappole artigianali per la cattura di animali selvatici. Poi altri balli tribali… nel bel mezzo di quali squilla un telefono. Ahi! penso. Che sarà?
Mi allontano un po’, non tanto: in pratica supero una siepe. Mi appare un paese di villette in stile british, un campo di badminton con tanto di partita in corso tra ragazze in gonnellino candido e righe blu. Entro in una villetta, linda e pulita. Al muro manifesti della Princeton University. Beh? chiedo alla padrona di casa. E lei, felice di vedermi: I’m so proud, my son is studying at the Princeton University for perfectioning economics! Where are you from? In inglese! mi parlava in inglese la moglie del feroce cacciatore di teste…
E noi che che avevamo paura di perderci nella foresta tropicale e di essere cannibalizzati. Meglio cercare di perdersi in Mugello o cercare l’avventura nel lago di Massaciuccoli, alla faccia dei croceristi di mare.
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