Uno dei meccanismi commerciali più importanti a livello globale è sicuramente il turismo culturale: ogni giorno milioni di persone visitano i musei, le gallerie, i monumenti e le pinacoteche di tutto il mondo, un’economia in movimento; molte di queste, però, scelgono un tipo di turismo culturale molto particolare: il turismo musicale. Solitamente questo genere interessa città che ospitano importanti teatri o sale da concerto, come Vienna o Milano o Londra, ma a volte le mete possono essere anche piccole città come Ravello.
Nel 1880 Richard Wagner compiva un ultimo grande viaggio in Italia. I suoi precedenti itinerari lo avevano portato a visitare buona parte della penisola, da La Spezia a Venezia, e queste esperienze di viaggio hanno sempre avuto un peso importante all’interno della sua produzione (durante una traversata del golfo di La Spezia concepì la tempesta dell’Olandese volante, ad esempio) e anche quest’ultimo tour non fece eccezione. Dedicato alla Campania, Wagner visitò Napoli, Pompei con i suoi scavi archeologici e Amalfi, fino a giungere a Ravello.
Proprio in quel periodo il compositore stava ultimando la sua ultima opera e testamento spirituale, il monumentale Parsifal, un lavoro iniziato attorno al 1877 e destinato a concludersi solo nel 1882. È dunque solo una credenza comune che l’opera sia stata composta a Ravello; ad ogni modo la visita alla città della costiera amalfitana ha lasciato un segno indelebile sull’ultima fatica operistica di Richard Wagner.
Oggi come allora, a Ravello è custodito un inestimabile tesoro e fu quello a stregare Wagner: non il mare, né il paesaggio, ma la maestosa Villa Rufolo. Affacciata su piazza del Vescovado, proprio di fronte al Duomo, Villa Rufolo è una sontuosa costruzione duecentesca ma che ha subito importanti rimaneggiamenti nel corso dell’Ottocento. L’imponente torre della Villa, il suo cortile moresco cinto dal colonnato con decorazioni arabo-sicule, l’austera grazia della costruzione, fu su queste forme che Wagner modellò la torre di Klingsor per il secondo atto del Parsifal. Ma la Villa aveva un’altra meraviglia da offrire al compositore tedesco: il proprio giardino.
Il principale autore delle modifiche ottocentesche di cui si accennava sopra fu lo scozzese Lord Francis Neville Reid, grande esperto di botanica. Non deve sorprendere, quindi, che la Villa ospiti degli straordinari giardini che si affacciano direttamente sul golfo di Salerno. Questo giardino colpì con straordinaria forza l’immaginazione di Wagner, divenendo l’ispirazione per il giardino incantato. Come si suol dire, fu amore a prima vista e quella sera stessa il compositore scrisse su una pagina dell’albo della locanda che lo ospitava: «Finalmente il giardino di Klingsor è trovato!»
Esattamente settant’anni dopo la morte di Wagner, nel 1953, furono istituiti i Concerti wagneriani nel Giardino di Klingsor – il più antico festival musicale italiano ancora in attività dopo il Maggio Musicale Fiorentino – da Geroamo Bottiglieri e Paolo Caruso. Inizialmente i musicisti venivano collocati nello spazio libero tra le aiuole ma poi, anche a causa del numero sempre crescente di spettatori, si rese necessario creare uno spazio che potesse accogliere solisti, coro e orchestra. Da questa necessità deriva una delle caratteristiche più affascinanti del Festival: un palco costruito sul vuoto a 340 metri sul livello del mare (e su uno strapiombo di 15 metri sul giardino sottostante). Allo stesso modo, a causa dell’elevato numero di spettatori, non è più bastato usufruire dello spazio libero tra le aiuole e si è dovuta costruite una tribuna soprelevata che si erge sulle aiuole del “giardino incantato”. Col passare del tempo si sono studiate diverse soluzioni poco invasive e oggi si è giunti al notevole risultato di poter comunque fruire del giardino di Villa Rufolo anche nei giorni del festival. A questo si deve aggiungere anche la grande opera di miglioramento dell’acustica: come ognuno saprà, suonare in uno spazio completamente aperto causa una forte dispersione del suono; per ovviare al problema sono stati installati degli speciali pannelli che limitano questa dispersione.
In questo modo a Ravello, con intelligenza e tenacia, hanno creato una delle eccellenze italiane in merito ai festival di musica colta, un ambiente in cui si sono esibite le più importanti formazioni orchestrali del mondo, dalla Dresden Staatskapelle alla Royal Philharmonic, dalla London Symphony Orchestra alla Orchestra Nazionale della Rai, all’Orchestra del Maggio Musicale, all’Orchestre National de France, alla Filarmonica di San Pietroburgo dirette da prestigiose bacchette come Sir Colin Davis, Daniel Barenboim, Valerij Gergiev, Paavo Järvi, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Antonio Pappano, senza contare l’infinita schiera di solisti di rango internazionale che si sono esibiti sul palco celeste (Mstislav Rostropovich, Placido Domingo, Martha Argerich, Bruno Canino, Uto Ughi, Violeta Urmana, Ruggero Raimondi, per non citarne che qualcuno).
Ravello ha dimostrato quanto la semplice volontà riesca a creare e a quale livello si possa assurgere. Purtroppo il suo esempio non è ancora stato recepito in larga parte, ma oggi più che mai deve essere incoraggiata e sostenuta la diffusione delle arti liberali. In questo il Ravello Festival – giunto quest’anno alla 66^ edizione – ha già dato un’impronta fondamentale.
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