La nave della cultura sbarca a Marina di Pisa

MARINA DI PISA (PI) – Diverse forme espressive nella densa giornata del 4 giugno hanno animato il festival Marina Libri. Presso il circolo Arci “Il Fortino”, il festival locale ha ospitato svariate realtà artistiche: dalla narrativa alla musica, dalla tradizionale cucina di mare alla poesia, dalle storie locali alle narrazioni degli interpreti.

La presentazione ufficiale del nuovo libro di Fabiano Corsini ha aperto la manifestazione culturale.

Il titolo, Da Pisa, Andata e Ritorno (Racconti fuori dal tempo) (Edizione ETS), è stato oggetto di analisi da parte di uno dei partecipanti in programma, lo scrittore Athos Bignogiali, che ne ha evidenziato l’ambizione e la portata, appellandosi alla famosa frase di Sant’Agostino (io so che cosa é il tempo , ma quando me lo chiedono non so spiegarlo). Agostino è stato chiamato in causa per delineare la dimensione “tendente all’esistenza” del testo di Corsini: una sfida, da parte dell’autore, contro la precarietà del presente, portata avanti attraverso il presente stesso. Le storie empatiche dei personaggi, con un richiamo continuo alla storia, seguono uno svolgimento sul filo della memoria che, in questo modo, diventa anche quella degli esterni, i lettori. Il tono narrativo si avvicina ad una ragionata malinconia sull’amore per la bellezza, la cultura e l’impegno civile.

A seguire, Michele Lischi, si è soffermato sulla natura dei racconti, lontani dalla spensieratezza e carichi invece di sofferenza, vissuta e trasmessa dai protagonisti. Da tutta questa oscurità, però, possono accadere anche miracoli sottoforma di speranza: come disse Leonard Cohen nel suo brano Anthem, “[..] C’è una crepa in ogni cosa. / Ed è da lì che entra la luce. [..]”.

Dalle storie emerge con chiarezza la specificazione nel titolo, di viaggi con andate e ritorni: infatti, ognuno di questi ci astrae dalla contemporaneità, e ci e fa immedesimare in quel che va sviluppandosi; sa coinvolgerci totalmente nella lettura, fino a riportarci al punto di partenza con una consapevolezza diversa.

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Nella visione dell’autore tutte le nostre fughe e/o esplorazioni sono in sostanza un ritorno alle origini, e nel viverle l’emozione più grande che possiamo provare è la meraviglia, intesa filosoficamente come thaumàzein. I due elementi principali da cui ha preso maggiore spunto per la genesi dei suoi racconti sono stati:

1) l’idea che ogni protagonista abbia sempre cercato di vivere come se ogni giorno della prorpia vita fosse l’ultimo;

2) la bellezza della storia, intesa anche e soprattutto come tramandamento.

Attraverso i suoi racconti, ha cercato di unire questi due punti, talvolta (come da lui specificato) “romanzando” coscientemente parti e/o finali di storie, che nella realtà erano differenti. Nonostante questo, la loro struttura poggia le proprie basi su documentazioni e testimonianze vere. 

L’evento si è così concluso con la lettura, da parte di Fabiano, della celebre frase estratta dal Tractatus logicus-philosophicus di Ludwig Wittgenstein, in risposta ad una domanda mossa da un partecipante tra il pubblico: Su ciò di cui non si è in grado di parlare, si deve tacere.”

Durante tutta la presentazione Daniela Bertini e Marco Azzurrini hanno contribuito legggendo alcuni racconti della raccolta, tra un intervento e l’altro degli ospiti.

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La giornata è proseguita con una cena a base di pesce per poi lasciare spazio all’esibizione del gruppo Risonanze+ e al loro spettacolo “Piccolo Recital Importante”.

Il gruppo, accompagnato dal poeta, attore e autore livornese Aldo Galeazzi (per gli amici Al Done), in veste di vice recitante, è composto dal giovane Igor Santini (voce e chitarra), Marco Fagioli (tuba e tromboni) e Lara Vecoli (violoncello).

L’esibizione musicale ha toccato – per scelta dei brani, interpretazione e riarrangiamento – alcune tra le vette più alte del cantautorato italiano, con i brani (in ordine):

Canzone dell’amore perduto (Fabrizio De André);

I Giardini di Marzo (Lucio Battisti – Mogol);

Amore che vieni, amore che vai (Fabrizio De André);

I treni a vapore (Ivano Fossati);

Pigro (Ivan Graziani);

La Libertà (Giorgio Gaber);

Guarda che Luna (Fred Buscaglione).

Tra le proposte non scritte, due particolari menzioni a parte meritano i brani L’uomo con la faccia di pane (interamente scritto e arrangiato dallo stesso Igor) e Ti Sento Nel Vento (Manolo Strimpelli), entrambe dedicate alla memoria dell’attore e poeta fiorentino Carlo Monni, prematuramente scomparso.

Per quanto riguarda la parte poetica-attoriale, proposta in alternanza a quella prettamente musicale, Al Done ha affrontato il pubblico con la sua comicità senza mai scendere nella volgarità gratuita, anzi, offrendoci spunti di riflessione e letture versificate di alto livello stilistico.

A seguito, l’ordine di esibizione:

Novella dell’incontro tra Carducci, Stecchetti e Neri Tanfucio;

Lettura comica dei brani Il Cielo in una Stanza (Gino Paoli) e Anna (Lucio Battisti);

Barche ammorrate (Dino Campana);

Estratto dei Canti Orfici (Dino Campana);

Le rose. Lettera di Dino Campana a Sibilla Aleramo;

Di notte tutti i gatti sono merde (Aldo Galeazzi);

All’amato me stesso (Vladimir Majakovskij);

Lapsus Freudiano (Aldo Galeazzi).

Anche in questo caso è doveroso segnalare due componimenti scritti entrambi da Aldo stesso: Amici e Lasciamo dunque aperta la bara del poeta sino che si compia il tempo necessario, in onore all’amico Carlo Monni.

È davvero difficile trovare artisti così giovani (almeno per la mia modestissima esperienza) della levatura di Igor Santini nel panorama musicale italiano contemporaneo, in particolar modo cantautoriale. Un ragazzo che con la sola voce e chitarra potrebbe reggere il peso di un’intera esibizione, senza venir meno al ruolo di “catalizzatore di emozioni”, prima che di contenuti. La dimensione che si è ritagliato premia lui e chi assiste ai suoi live. Il sostegno musicale diventa così un “in più” che aggiunge e risalta, ma non sostituisce in quanto non ne ha la pretesa. Le sue atmosfere riescono nell’ardua impresa di suggellare un patto forte tra il pubblico che assiste e l’espressività del suo essere in quel momento “una parte di noi, un richiamo muto verso chi siamo”, capace di far vibrare le corde più segrete della sensibilità grazie ad una voce calda, profonda e pulita.

Parlandoci a quattr’occhi durante la cena, ho intuito inoltre una profonda conoscenza della realtà musicale contemporanea e non, oltre che tecnica – elemenento per niente scontato, specie per chi propone, come nel suo caso, un genere che non ne necessiterebbe.

Davide Sereni
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