Alessio Biagi è nato nel 1980 a Massa. Cresciuto con la passione della poesia, si è dedicato alla narrativa dopo il fortunato incontro con lo scrittore fiorentino Marco Vichi. Nell’ottobre 2006 ha pubblicato, per la casa editrice Pensa, un primo racconto nell’antologia La città che narra ed un secondo, contenuto nell’antologia La legge del desiderio. Nel 2009 ha pubblicato per la Meligrana Editore il suo primo romanzo In tutti i respiri che ti ho preso che ha dato il via alla sua scalata letteraria arrivando a pubblicare ben sei romanzi tra cui l’ultimo È tutta una follia Raymond Bosco.
Partendo dal titolo: a differenza degli altri romanzi, il titolo è a sé rispetto al romanzo. Mi spiego meglio: tutti gli altri titoli dei tuoi romanzi sono contenuti all’interno della storia. In questo caso no; come mai questa scelta?
«Semplicemente perché, in accordo con l’editore, abbiamo deciso di costruire un “Bosco-Mondo” che si distaccherà dai futuri romanzi che scriverò. Ho già cominciato, attraverso questa prima parte, creando uno stile del tutto differente, sia a livello narrativo, sia tecnico, che caratterizzeranno queste avventure in maniera evidente rispetto a tutto il resto, cominciando, ovviamente, dal titolo».
Ho notato che in altri tuoi libri i capitoli sono contrassegnati solo con dei numeri, mentre invece in questo romanzo oltre appunto a dei numeri ci sono tra parentesi delle parole che si ritrovano nei capitoli stessi. Come mai questa scelta?
«Esattamente come altre scelte operate per il romanzo, anche questa è avvenuta spontaneamente. Ho approcciato questa storia in modo cinematografico (molto più che nei precedenti), e come certi film tarantiniani, mi piaceva l’idea di introdurre il capito attraverso una parola chiave che pilotava il capitolo. Ideati i primi, è stato poi divertente trovarne per i seguenti. Sono piccoli giochi di ruolo. Piccole sfide e piccoli doni, oltre ad un modo per creare complicità in questo triangolo amoroso che ha come protagonisti: l’autore, il lettore e la storia narrata».
Il libro inizia con la descrizione del protagonista Ray Bosco, scrittore italo-americano di 53 anni con la passione per il Whisky “un piede per terra e l’altro a mollo nell’inchiostro”, così viene presentato nel libro; ma parlaci un po’ di lui.
«Potremmo definirlo una specie di “paraumano”, metà uomo e metà animale, dove l’animale è questa creatura notturna, curva sui tasti della macchina per scrivere, che si nutre di whisky e storie. Un uomo totalmente dedito alla scrittura, che trova soddisfazione unicamente nel raccontare, scaricando l’anima e la mente su fogli e fogli di carta. Questa è la descrizione e la versione più intrigante di Raymond Bosco, perché (come leggerete nel romanzo), non è propriamente un uomo cordiale, al contrario, è “impossibile” per la maggior parte del tempo».
Come mai hai scelto di descrivere e rappresentare così, in modo rude, questo personaggio?
«Per contrasto con il clima che respiriamo nel romanzo, dove Raymond risulta il personaggio più sgradevole, ma al contempo, quello che suppongo troverà più affinità con chi legge, perché totalmente umano, in maniera anche imbarazzante. Oppure, perché Raymond già esisteva e semplicemente è uscito fuori per quel che è. Neppure io ho potere su Raymond Bosco. Nessuno lo ha».
In cosa ti rivedi e cosa ti rende diverso da Ray?
«Siamo entrambi pigri e con una dedizione sacrale alla scrittura. Viviamo delle nostre storie, perché detestiamo la quasi totalità del mondo che ci circonda per com’è (anzi, mi piace immaginare che il disprezzo sia reciproco). I punti in comune temo finiscano qui. Raymond è la versione scomposta di qualsiasi essere umano, compreso il sottoscritto, ma scommetto che piace così tanto proprio per questo, compreso al sottoscritto».
Ray Bosco ha un approccio molto particolare con i suoi libri. Alcuni dei suoi romanzi sono arrivati ai vertici delle classifiche di vendita; altri sono stati un fallimento costringendolo a ricominciare tutto da capo, e reinventarsi come autore. Tu che rapporto hai con i tuoi romanzi? Alcuni hanno condizionato la tua vita in positivo o in negativo?
«In verità il procedimento corretto è quello inverso, ovvero, la vita ha condizionato i romanzi. Tutti quegli amori falliti. Le persone che ho amato moltissimo senza poterle avere. Le esperienze che ho fatto, i luoghi che ho visitato, tutti i sentimenti che ho vissuto. Le bellezze e le brutture hanno trovato e troveranno un posto, ed in alcuni casi, addirittura la loro soluzione solo all’interno dei romanzi ai quali debbo moltissimo: la salvezza della mente, certamente, per quella dell’anima credo servano ancora parecchie pagine».
La rottura dalla quotidianità del protagonista avviene proprio a causa di una disgrazia; ovvero la caduta delle torri gemelle. Come mai a distanza di così tanti anni hai scelto di tornare su questo evento dando vita ad un romanzo?
«Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno segnato un solco profondissimo. Hanno significato l’improvvisa perdita di quella verginità spirituale ed emotiva che immaginavamo immacolata e immacolabile. La dinamica, totalmente inaspettata e nuova per ognuno di noi, ha d’un tratto risvegliato le nostre paure più profonde. Ammutolito e scioccato sul divano di casa dei miei genitori, cresceva la sicurezza che da quel momento in avanti il mondo sarebbe cambiato per sempre, e che nessuno avrebbe più potuto sentirsi totalmente al sicuro. La storia recente ha drammaticamente dimostrato che è accaduto proprio questo. Di conseguenza, questo caotico fluire d’emozioni contrastanti, avrebbe prima o dopo, trovato libero sfogo all’interno d’un romanzo».
Passando ad un altro personaggio importante nel racconto. Chi è Anna? Cosa puoi dirci di lei?
«Anna è (parafrasando i Pink Floyd) “il lato luminoso della luna”. È il negativo esatto di Raymond, l’uomo che ama “per ciò che potrebbe essere e non per quel che è” citando il romanzo, e di conseguenza è il personaggio più coraggioso, non soltanto per ciò che sarà costretta ad affrontare, ma anche e soprattutto per essersi innamorata di uno come Raymond Bosco».
Uno dei momenti di maggiore curiosità è proprio il giorno in cui Ray ed Anna si sono conosciuti, forse anche perché si intravede un po’ di dolcezza nella ruvidità di Ray. A te è mai capitato di fare un incontro che ti ha segnato la vita all’interno di una libreria?
«Oh la maggior parte; purtroppo è capitato con tutti uomini e tutti praticamente già morti. Parlo di Dostoevskij, Poe, Hemingway, Carver, Fante, Tolstoj, Pasolini, Faulkner, Fitzgerald ecc. Uomini che hanno indicato ad un adolescente introverso, la direzione che avrebbe potuto dare alla propria vita e soprattutto, gli hanno mostrato la chiave per conquistare il cuore di tutti uomini: le parole».
I romanzi che hai citato, che sono all’interno della libreria in cui i due si incontrano, come ad esempio “Non puoi tornare a casa” di Thomas Wolfe, “Il giovane Holden” di Salinger, “Uomini e topi” di Steimbeck, fanno anche parte dei tuoi romanzi preferiti? Pensi anche tu, come Raymond, che “Il giovane Holden” sia sopravvalutato?
«Gli autori sono inevitabilmente tra i miei preferiti. La scelta dei romanzi citati, invece, è stata condizionata dal fatto che altri romanzi che adoro, purtroppo non erano editi al momento dell’incontro tra Raymond ed Anna. Rimangono comunque tutti grandissimi romanzi. “Il giovane Holden” è il romanzo di formazione per eccellenza. Ammetto che arrivai a leggerlo dopo aver ascoltato le numerose storie “di sangue” legate a quest’opera e quindi l’aspettativa che ebbi fu quella d’un romanzo demoniaco (o quasi) e inevitabilmente restai deluso nel scoprire soltanto un meraviglioso romanzo. Raymond, a parer mio, tentava meramente di far colpo su Anna, e quale modo migliore che disprezzare un capolavoro della letteratura? Quantomeno Anna avrebbe sempre ricordato quello strano tizio in libreria».
Ad un certo punto compare un fantasma del passato di Ray: Clara. Vuoi parlarci di lei?
«Clara è il primo grande amore, ed in quanto tale, non è possibile dimenticarlo (o in questo caso “citarlo”). In realtà, vi parlerò di Clara, ampliamente, nel prossimo romanzo della saga di Raymond “Ray” Bosco».
Dato che questo romanzo è il primo di una serie di 3 (forse 4) romanzi, dedicherai spazio alla storia d’amore tra Ray e Clara? E per il il terzo e (forse) il quarto hai già delle idee? Puoi anticiparci qualcosa?
«Clara, come in parte anticipato in questo romanzo, ha un ruolo fondamentale nell’adolescenza e nel destino da scrittore di Raymond e sarà interessante (quantomeno per l’autore) capirci e saperne di più. Posso anticipare che il prossimo romanzo tratterà della nascita e l’adolescenza di Raymond fino alla pubblicazione del primo romanzo dal titolo “Fever” – “Febbre” (ispirato proprio dalla storia d’amore di Clara). Mentre il terzo, sicuramente tratterà Raymond immediatamente dopo la fine di “E’ tutta una follia Raymond Bosco”. Per il quarto suppongo che dipenderà molto da ciò che avverrà nel terzo».
So che hai una sfrenata passione per le macchine da scrivere. In particolare collezioni Olivetti giusto?
«Si, a parte una».
Hai mai scritto anche solo una pagina di uno dei tuoi romanzi con una delle tue Olivetti?
«Ho scritto alcune lettere, ma mai pagine di romanzi. Troppo complicato, oppure io troppo imbranato. Preferisco scrivere appunti sui vari taccuini che ho sempre appresso e poi riportare tutto sul computer».
Come mai hai deciso di iniziare questa collezione?
«La macchina per scrivere è uno di quegli oggetti che definirei magici col potere di attrarre chiunque: dai più piccoli agli adulti. In realtà ho cominciato comprandone alcune che desideravo possedere, poi è avvenuto il degenerato ed un modello dietro l’altro. La più rare da trovare? La rarità è nelle condizioni in cui possono essere trovate. La macchina per scrivere ha una vita relativamente breve, ed una diffusione capillare, quindi la maggior parte dei modelli, sono più o meno tutte rintracciabili. L’acquisto ad un buon prezzo è la rarità. Certamente esiste una versione “Celeste” ed una “Verde” della Valentine Olivetti che è molto, molto complesso rintracciare o in alternativa, acquistare».
La prossima che acquisterai o vorrai acquistare?
«Sono molto attratto da Corona “pieghevole” che è lo stesso modello utilizzato da Hemingway durante i reportage di guerra. Un capolavoro di meccanica compatta, ed ovviamente la Olivetti M1, la prima macchina per scrivere prodotta dalla Olivetti. Probabilmente, quando troverò il coraggio di vendere uno degli organi non vitali, l’acquisterò».
Per quanto riguarda il Whisky, c’è un passo del romanzo che fa capire meglio di qualsiasi altro il rapporto che Ray Bosco ha con il Jack Daniel’s: “Tra i newyorkesi che incrociava riuscì persino a scorgere un lieve trucco di felicità. Bisognava inevitabilmente festeggiare la ripartenza della città di NY, dell’amore, del nuovo romanzo, del lavoro, della quotidianità, del venditore di hot dog all’angolo, dell’economia, degli impiegati, dei programmi tv, delle commedie divertenti, dei desideri e di tutte quelle speranze impacchettate accantonate in soffitta ora ritraslocate in salotto. Al primo locale s’infilò dentro senza troppe smancerie. Gli sembrava proprio il posto perfetto e Ray aveva il cosiddetto “bernoccolo” per questo genere d’affari. Sedendo sullo sgabello, ordinò al barman un BICCHIERE DI FELICITÁ con ghiaccio”. Hemingway sosteneva che si può scrivere solo di ciò che si conosce, quindi, tu sei un consumatore di Whisky?
«“Consumatore” occasionale. Amo di più il vino, ma non potevo certamente entrare nello strano mondo di Raymond Bosco senza conoscere gli odori, il gusto e soprattutto le conseguenze che hanno sulla mente e sul fisico un paio di bicchieri di Jack Daniel’s».
- Satire - 1 Marzo 2019
- Borgo del Ponte, la nascita di Massa - 5 Gennaio 2019
- Rossini: una vita in musica - 19 Novembre 2018