La prima opera lirica sulla Shoah il 22 e 23 novembre, al teatro Verdi di Pisa
Il 22 novembre, al Teatro Verdi, Pisa avrà l’onore di ospitare la prima mondiale di un’opera lirica del tutto particolare e matura: scritta nel 1970 e mai interpretata, “Il ghetto – Varsavia 1943” è un concentrato di emozioni, storia, umanità. Una scenografia fedelissima al testo, in cui si vede una cucina diroccata e a fianco una strada esterna. Otto persone che vivono nella stessa casa, due famiglie, una notte, quella tra il 15 e il 16 maggio del 1943. Come decideranno di affrontare la fine? Basta fare mente locale e spolverare un poco di storia e di geografia per avere un’idea di cosa, nella mente dell’autore, accadde quella notte.
Giancarlo Colombini, autore di quest’opera in tre atti, allievo del grande Pietro Mascagni. Un artista assolutamente innovativo e diverso: stando alle parole di Marcello Lippi, direttore artistico del Verdi,
le persone ormai vanno a teatro a vedere soltanto la Traviata, l’Aida, la Bohème. L’opera lirica, invece, offre molto di più, ad esempio “Il ghetto”: personalmente non voglio che questi avvenimenti si ripetano. E si può ricordare tutto ciò con della bellissima musica e delle parole melodiose che destano la sensibilità di chi assiste.
La musica del “Ghetto” è un flusso continuo di ispirazione verista; non mancano influenze dal neoromanticismo e dall’ impressionismo. L’orchestra, in versione ridotta rispetto all’idea originale di Colombini, è condita da un tenore drammatico, un soprano, un baritono, un mezzosoprano e un basso, oltre ad altri due tenori e un ulteriore baritono che si caleranno nei panni dei tre soldati. Soprano, tenore e mezzosoprano sono estremamente importanti per la drammaturgia; si tratta di parti di gran rilievo e di grandissima difficoltà vocale. L’assenza di dissonanze e il canto che va a braccetto con il ritmo delle scene rende il tutto molto coinvolgente e facilmente ricordabile, chiosa il M° Lippi.
Ferenc Anger, regista, parla della necessità di conservare e documentare:
Siamo nel periodo in cui la generazione testimone della seconda guerra mondiale se ne sta andando, quindi abbiamo il dovere di fare tutto ciò che possiamo per evitare l’oblio. E “ Il Ghetto” è perfetta allo scopo, penso che tutti dovrebbero vederla: è un’opera spesso molto brutale, continua, perché il teatro tira fuori la verità cruda dei fatti con l’aiuto della forza della musica. Come disse Pico della Mirandola: convivono in noi due realtà, una divina ed una bestiale. A volte prevale l’una, a volte l’altra; il teatro aiuta a guardarci in un’ottica introspettiva per capire quale delle due sia dominante, offrendo degli spunti di riflessione forti per capire chi siamo e come siamo fatti, dando al tempo stesso un’opportunità di miglioramento personale per evitare di bloccarsi verso il basso.
Il teatro, forma d’arte a volte bistrattata, è un orgoglio italiano nel mondo, in particolare se si parla di opera lirica. È l’unica arte che parla italiano dappertutto: un pilastro fondante della nostra cultura e dell’identità italiana, ma in un mondo che corre veloce è difficile che la maggioranza lo capisca.
Perché il teatro necessita di tempo, di predisposizione al pensiero lento, alla riflessione, e invece siamo immersi nella frenesia: tutto sommato vale la pena fermarsi un paio d’ore al teatro Verdi il 22 (o il 23) novembre per ricordarsi di ricordare.
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