VERONA – È sempre più infrequente trovare nel cartellone di un teatro italiano Il matrimonio segreto, l’unico titolo di Domenico Cimarosa rimasto saldamente in repertorio: è quindi da accogliere con entusiasmo la proposta della Rassegna autunnale del Teatro Filarmonico, che pone come primo appuntamento operistico proprio il capolavoro di Cimarosa.
L’allestimento è quello – ormai noto – del 2012 realizzato dal Teatro Coccia di Novara, che ha attirato i riflettori sulla produzione affidando la regia a Marco Castoldi, in arte Morgan. L’impronta dell’ex frontman dei Bluvertigo si ravvisa facilmente più nell’allestimento che nella regia vera e propria; Castoldi ha molte idee e confuse, alcune vincenti, altre discutibili, in alcuni momenti fa risaltare il puro spirito comico del libretto di Bertati, in altri è solo pura provocazione. Quel che manca è una solida idea di base, quel quid che faccia intendere che esiste qualcosa di più grande di sei persone che si muovono in scena. Manca la mano di un regista. Le scene di Patrizia Bocconi, così essenziali e a tratti minimaliste, sono sicuramente adeguate: la forza del Matrimonio segreto non risiede nella necessità di impianti grandiosi, ma nella musica stessa, nella sua freschezza d’invenzione, che le scene devono catalizzare. Per converso, i costumi di Giuseppe Magistro sono un pendolo che oscilla tra l’imbarazzante e il fuori luogo: intellettualmente si possono apprezzare le sontuose parrucche del XVIII secolo che incontrano abiti dal gusto punk/rock, ma sulla scena questa idea obiettivamente funziona poco. Perplime decisamente anche il robusto rilievo dato alla sfera sessuale: Il matrimonio segreto è poco più di una commediola, ingenua e innocente, priva di quegli abissi in cui ci si imbatte nella trilogia italiana di Mozart/Da Ponte. Ognuno è libero di seguire le proprie idee, ma le provocazioni hanno senso quando vanno a incrinare o addirittura a spezzare una sovrastruttura, non quando non hanno nulla a che vedere con ciò di cui si sta parlando.
Decisamente più interessante il comparto musicale, a cominciare dal direttore Alessandro Bonato: preciso, energico e soprattutto attentissimo alle esigenze dei cantanti (elemento spesso mancante anche in direttori di età decisamente maggiore alla sua): con questo Matrimonio segreto Bonato ha dimostrato una squisita musicalità e una non comune attenzione al dettaglio musicale, talvolta intervenendo direttamente sulla partitura: geniale l’idea di affidare a due violini soli l’inizio del concertato del II Atto. Deve solo fare attenzione a non lasciarsi prendere la mano, pena il rischio di qualche incomprensibile scivolone: la grancassa (più che opinabile in questo contesto), l’eccessivo protagonismo delle trombe che in più occasioni ha reso inefficace il resto dell’orchestra e in qualche rara occasione una certa pesantezza del suono (un caso su tutti, la parte iniziale dell’aria Pria che spunti in ciel l’aurora). Ottima l’Orchestra dell’Arena di Verona, fresca e colorata, in altre parole perfetta per l’intento di Cimarosa, soprattutto la sezione dei legni. Unico – proverbiale – pelo nell’uovo, l’ingombrante presenza del clavicembalo, tanto nei recitativi quanto nei numeri musicali.
Ad ogni buon conto, sono i metastasiani sei cantanti gli effettivi protagonisti tanto dell’opera quanto dell’allestimento stesso: al netto delle considerazioni individuali, è da applaudire la coesione del gruppo, la formidabile tenuta che sono riusciti a garantire in tre ore di spettacolo, sia sul versante musicale sia su quello attoriale, tanto che si può ben affermare che buona parte dello spettacolo si è retta sulle loro spalle, a cominciare da quelle – solidissime – del mezzosoprano Irene Molinari: la sua Fidalma è graffiante, salace, dotata di grande controllo della propria vocalità.
Meno convincente il soprano Rosanna Lo Greco (Elisetta). La sua presenza scenica è ineccepibile, ma la sua prestazione vocale è stata piuttosto altalenante: in certi momenti appariva chiusa poco efficace, in altri sfoggiava un timbro e un colore di prim’ordine. È possibile che dipenda da come è stato affrontato il ruolo, ma resta comunque un peccato.
Ottimo il Paolino del tenore Matteo Mezzaro, timbro un po’ pastoso ma interessante, specialmente nella regione centrale. Essendo il Matrimonio segreto un titolo para-mozartiano, lo è anche il tenore, con tutte le insidie che questo comporta, ma Mezzaro le ha dignitosamente superate, divenendo un prezioso elemento in special modo nei concertati. Il basso Salvatore Salvaggio è un Geronimo «cum laude»: ha saputo catturare lo spirito del personaggio nei modi e nell’atteggiamento (anche con una buona dose di capacità improvvisativa), prima ancora che nella voce; in buona sostanza Salvaggio è stato in grado di incarnare l’archetipo del basso buffo.
Eccellente il basso Alessandro Abis: autentico animale da palcoscenico, si trova perfettamente a suo agio nei panni del Conte Robinson fin dal primo ingresso sul boccascena del Filarmonico. Irresistibile per espressività e vis comica, Abis si conferma una volta di più (se ce ne fosse ancora bisogno) come una delle più interessanti giovani promesse del panorama musicale italiano. Di spicco la performance del soprano Veronica Granatiero, una Carolina di insolito spessore: oltre quello più al fascino e alla “piccantezza”, Veronica Granatiero ha fatto emergere anche la dolcezza, la malinconia di un personaggio assai più complesso di quanto solitamente si lascia intravedere, il tutto racchiuso in un timbro vocale sicuro e cristallino in ogni sua regione.
Photocredit: ©Foto Ennevi/Fondazione Arena di Verona
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