Dopo Rubén Peréz, Tutto Mondo vola negli Stati Uniti con Heather Cornell, tap dancer e musicista di fama internazionale.
1. Photo by courtesy of Heather Cornell.
Heather Cornell è un’artista Canadese e risiede a Valley Cottage, NY. È la direttrice artistica di varie compagnie di danza/musica, tra cui Manhattan Tap e CanTap.
Fra i suoi progetti più recenti, Heather è famosa per Making Music Dance con Andy Algire, Finding Synesthesia con Andy Milne (commissionato dal London Jazz Festival), and Conversations (commissionato dalla Capilano University).
Heather Cornell ha studiato direttamente con la prima generazione dei grandi maestri di tip tap come Cookie Cook e Steve Condos ed è l’unica tap dancer a cui il famoso bassista Ray Brown ha fatto da mentore.
Salve Heather Cornell, grazie infinite per questa intervista, una grossa opportunità per Tutto Mondo News.
Cosa significa per lei tip tap e che cosa ama di questo stile di danza?
«Quello che amo del tip tap è che unisce ogni aspetto performativo: musica, danza e teatro. Per me, il tap è un’esperienza equamente fisica e musicale con l’aggiunta dell’elemento teatrale ed amo che esso definisca la storia del teatro in Nord America.
La tap dance è l’essenza dell’American vernacular theatre ed è ciò che definisce il mondo del vaudeville e il primo periodo di Broadway. Molte delle big bands erano fronteggiate da tap dancers. Se guardate a nomi come le Whitman Sisters, che hanno calcato le scene al cambio del secolo (1899), hanno iniziato come ballerini e musicisti. Se non era per loro non avremmo avuto il teatro che abbiamo in America oggi e una gran parte del loro vocabolario era il tip tap. Alice Whitman era considerata la miglior tap dancer nell’industria dello spettacolo.
2. Photo by courtesy of Heather Cornell, copyright John F. Pastore.
Il tap è così importante per la storia del Nord America, sia socialmente che culturalmente ed è stato frainteso a causa della sua visione culturale da parte della società (razzismo, segregazione), a partire dai Minstrel Show.
La tap dance è una forma d’arte che è molto gioiosa per chiunque la provi. È così piena di gioia per via di quel bilanciamento tra musica, danza e teatro. Porta molta felicità a tante persone».
Qual è stato il suo spettacolo preferito in cui ballare, durante la sua carriera, e perché? Ha qualche ricordo che vorrebbe condividere con noi?
«Sono tutti i miei preferiti. Voglio dire, ho fatto uno show una volta con Jackie Shue, Buster Brown e Chuck Green. Lo spettacolo era con la band preferita di Chuck Green, composta da tre cantanti e quattro musicisti, ed è stato incredibile.
Amo gli anni di Manhattan Tap perché ho adorato poter creare, scrivere e collaborare con musicisti di così alto livello.
Ho amato lo show con Ray Brown, è stata una esperienza che mi ha cambiato la vita. Ma così tutti i miei lavori dopo Manhattan Tap. Ogni singolo spettacolo che ho creato era molto differente. Amo Can Tap perché è stato un progetto tutto Canadese ed ero libera di far andare avanti le cose nel mio paese di nascita. E ho amato Finding Synestesia con Andy Milne perché mi ha spinto, mi ha portato avanti, e infranto più barriere che con ogni altro spettacolo in cui ho lavorato, ad eccezione di quelli con Ray Brown.
Ed in seguito Making Music Dance è un punto di riferimento per me. È stato interrotto a causa del Covid. Tutto si è fermato mentre lavoravamo sul secondo CD. Comunque, quell’esperienza di essere sul palco con musicisti così affini e al contempo culturalmente diversi, e il fatto che era multi generazionale -avevamo cinque differenti generazioni in un gruppo di cinque. Ha esaudito così tanti dei miei desideri in termini di spezzare barriere.
E poi ci sono alcuni dei miei primi lavori come quando ero un clown insieme a Noel Parenti. Quando ero a Broadway per coreografare The Play What I Wrote è stata un’esperienza interessante. Non sono solita fare la stessa cosa ripetutamente, ogni spettacolo che faccio è un nuovo bambino. Non si può scegliere il figlio preferito.
Bene o male, tutto quello che ho fatto è stata una differente esperienza e, sapete, si può imparare qualcosa da ogni cosa, si cambia».
Fra i suoi progetti, Making Music Dance ha un ensemble musicale multi generazionale e le scarpe da tap sono pienamente integrate con il resto degli strumenti. Com’è stato lavorare con tutti i musicisti? Potrebbe raccontarci di più riguardo al processo dietro la creazione di Making Music Dance?
«Non penso che Making Music Dance sarebbe mai potuto esistere senza che prima ci fosse Finding Synestesia. Andy Milne era pronto a fermarsi e dedicarsi anima e corpo al processo. Passammo un’intera settimana, ventiquattr’ore al giorno al Banff Centre of Fine Arts in Canada. Ci avevano dato uno studio con un pianoforte a coda e una tap board. Abbiamo trovato laggiù Rebecca Birch, una video artist inglese che ci ha dato questi video assolutamente visionari. Mi sono forzata in un procedimento estremamente difficile che mi ha aiutata a comprendere quanto potessi andare oltre i miei limiti nei miei spettacoli.
3. Photo by courtesy of Heather Cornell, copyright John F. Pastore.
Con Making Music Dance, ho aperto un dialogo con le persone intorno a me perché abitavo al nord e non volevo andare a New York. Il primo gruppo era composto dalla la ballerina di flamenco Anna de la Paz, da Adriel Williams, Bobby Moses, e Andy Algire. Anna ha portato un chitarrista di flamenco, Carlos Revollar, e noi cinque stavamo dentro il mio studio cercando di trovare un terreno comune. Avevamo il flamenco, il violino, il balafon, la chitarra flamenca, il tip tap, la sand dance e le nacchere come strumenti. Abbiamo provato a mettere tutto insieme e abbiamo cercato di trovare elementi che potessimo usare come terreno comune per collaborare l’uno con l’altro. E nel secondo spettacolo Anna è andata via. Lei era meno incline all’improvvisazione rispetto a noi e stava inoltre entrando in conflitto con le strutture del flamenco. Non voleva romperle mentre tutto ciò che noi volevamo era appunto spezzare creativamente queste strutture.
Perciò Anna ha voltato pagina e abbiamo purtroppo perso Carlos, morto improvvisamente. Abbiamo quindi coinvolto Antonio Vilchez , un ballerino di zapateado e musicista di cajon/cajita, e il chitarrista Tony Romano. Eravamo quattro generazione distribuite su cinque persone e rappresentavamo molte culture e espressioni culturali differenti. Andy era molto legato alla comunità africana, Adriel a quella Reggae e inoltre suonava Jazz. Tony suonava molta musica latina e Antonio ha portato la sua arte afro-peruviana. In aggiunta a questo, la mia esperienza di ballare con le texture del tap, della sabbia e del legno.
Abbiamo iniziato a comporre e abbiamo scritto un pezzo insieme. Anche io ho scritto un pezzo ma Andy e Adriel erano i compositori principali. Abbiamo apportato idee, attraverso i filtri sociali delle persone nella stanza, e creato una nuova esperienza con il contributo di ogni strumento. Era molto creativo ma al contempo difficile perché eravamo molto diversi e caparbi. Va detto che quando ero in scena con questi show, non volevo essere da nessun’altra parte. La musica era così perfetta per me, era esattamente quello che volevo suonare, come volevo suonarlo. Le percussioni principali per questa seconda formazione erano tip tap e zapateo, ma stavolta Antonio ha contribuito anche con la cajita e il cajon.
In quel modo avevamo ogni tipo di sonorizzazione, di percussioni con cui suonare così come la chitarra, il violino e il balafon per la melodia. E Adriel inoltre ha aggiunto al suo violino il looping e la m-base. Amo la musica, la ascolto e mi rende felice. Posso ascoltare ciò che suoniamo tutto il giorno perché è così ricco, così pieno di sonorizzazioni, così pieno di idee, così pieno di cultura e approcci. È come una comunità vera e propria. È un po’ triste il fatto che adesso siamo distanti. Stiamo parlando di riunire la band ma è difficile, adesso che siamo sparpagliati per via del Covid.
4. Photo by courtesy of Heather Cornell, copyright John F. Pastore.
Un altro aspetto di ciò che faccio è quello di andare in mezzo alla gente di una comunità per creare uno show con persone del luogo. Questo è cominciato con uno show in Vancouver. Mi è stato chiesto di creare uno spettacolo con il dipartimento di danza e musica del Capilano College e ci siamo esibiti al North Shore Credit Union Centre for the Performing Arts a Vancouver Lo show si chiamava Conversations. Era molto sperimentale e completamente improvvisato. Tutto questo era interessante per me dopo aver avuto Manhattan Tap per così tanti anni, poiché è stato come passare ad un altro tipo di muscolo. Ed è molto diverso che, diciamo, andare a un tap festival. Qui ti presenti come un’artista indipendente e provi a raggiungere una comunità per far suonare persone del posto, creando qualcosa insieme. Può essere molto azzardato in quanto non hai molto controllo su chi farà funzionare le cose, ma è molto gratificante quando riesce».
Heather Cornell, ha qualche tap dancer preferito di ieri e/o di oggi?
«Sono intrigata storicamente dalle donne perché non hanno ricevuto sufficiente riconoscimento e non si sono fatti abbastanza i loro nomi. Nomi come le Whitman Sisters. Quando ho chiesto a molti dei ballerini maschi con cui ho studiato, come Cookie, chi pensassero fosse il più grande tap dancer, non hanno detto Bill Robinson ma Alice Whitman. E successivamente hanno nominato Bill Robinson. Penso che le donne siano storicamente sottovalutate.
Jeni LeGon, ricordo di averla vista camminare sul palco e rapire il pubblico con la sua presenza sin dal primo momento in cui era sul palco, era fenomenale. Sono grata a tutte queste donne che sono venute prima di me per aver iniziato a spezzare le barriere dentro la comunità.
Eddie Brown ha cambiato la mia vita e stare al suo fianco era come fare un dottorato in improvvisazione. Ma erano tutti importanti per me: Cookie o Buster, Steve e Chuck. Harriet Browne era fenomenale. Sono stati tutti ugualmente importanti.
Una delle cose a proposito di studiare e insegnare la storia è che essa non registra tutto ciò che è successo ma registra i più grandi successi, le cose che sono state scritte o di cui si è parlato di più e perciò ci sono molte vicende di cui probabilmente mai ne verremo a sapere.
5. Photo by courtesy of Heather Cornell, copyright John F. Pastore.
Oggigiorno, adoro molti ballerini al punto che ho paura di nominarne qualcuno perché ce ne sono altrettanti di cui mi dimenticherò. Amo Anthony, amo Travis, Thomas Wadelton, e tanti altri.
Inevitabilmente, quando insegno ci sono un paio di ballerini che mi stupiscono, perciò è difficile dirne uno in particolare. È molto importante sottolineare che gli artisti sono ovunque, sono intorno a noi. Ed è inoltre importante continuare a ripetere ai ballerini di essere sé stessi, e di essere unici. Finché continueremo a ripeterlo e finché le persone continueranno a trovare la loro strada verso quell’unicità continueremo ad avere sempre più ballerini fantastici. Perché i tap dancer sono una razza speciale».
Parliamo di Manhattan Tap, una delle compagnie di spicco nel mondo della tap dance durante gli anni Ottanta e Novanta. Com’è iniziato tutto? Quali erano gli obiettivi della compagnia?
«Era un periodo dove stavamo imparando la storia e come si potesse essere tap dancer professionisti e non c’era nessun posto dove potessimo provare a fare qualcosa. Stavamo imparando una così ricca cultura e forma d’arte, ma cosa avremmo potuto fare con ciò? Necessitavamo di portare il tap sul palco per capirlo veramente. E così cominciammo ad andare in una stanza per ballare e creare uno spettacolo. Inoltre andammo per un po’ fuori, lungo le strade.
Ero amica di Tony Scopino della compagnia di Gail Conrad, Shelly Oliver della New York University e Jamie Cunneen della compagnia di Anita Feldmann. Ero loro amica e tutti loro volevano creare un duo con me. Allora pensai a quanto sarebbe stato bello mettere tutte le nostre energie assieme per creare qualcosa di più grande. Invitai tutti e tre dentro la sala prove, e iniziammo a provare. Molto presto divenne chiaro che saremmo potuti essere degli ottimi partner. La magia era definitivamente là. Sapevamo che il nocciolo della questione, per me e Jami, era quello di lavorare con musica live. Sin dal primo giorno avevamo un fantastico direttore musicale, David Leonhardt, che era anche, in quel momento, direttore musicale per Jon Hendricks.
6. Photo by courtesy of Heather Cornell.
Così cominciammo questo progetto perché volevamo lavorare e il nostro primo spettacolo fu a Toronto al Toronto Dance Theater Studies. Ricevemmo immediatamente due recensioni eccellenti, cosa che era molto difficile da ottenere. Dopodiché andammo direttamente a New York e ci esibimmo al Clark Center festival presso il Duke Theatre. Dopo due spettacoli ci venne offerto un agente. Ci domandarono se avevamo uno show insieme, poiché al festival stavamo facendo solamente Rhythm Suite, un pezzo di venti minuti. Mentimmo e dicemmo “certo!”.
Stavo uscendo da un anno di tour con il Jazz Tap Ensemble e Fred Strickler mi faceva da tutor. Ci diede un ingaggio con il programma di tour del Lincoln Center e mettemmo su due cast, ognuno con due ballerini e due musicisti. Dovevamo creare quarantacinque minuti per uno spettacolo e così ci ritrovammo molto occupati. Poi eravamo al Riverside Theatre per una residenza di due mesi e finalmente potemmo montare un intero show insieme. Cookie Cook era il nostro artista ospite. Ed è così che Manhattan Tap è cominciato».
Dopo il suo training come ballerina modern, è passata al tip tap. Lei ha letteralmentre rintracciato grandi artisti del calibro di Eddie Brown, Cookie Cook, Steve Condos, Chuck Green, e Harriet ”Quicksand” Browne e passato molto tempo a studiare con loro. Che cosa ricorda con affetto di quel periodo?
Oggi andate ad un festival, pagate per le lezioni e imparate da diversi insegnanti, tutto è a vostra disposizione. Per noi era molto differente, non c’erano i festival, non c’erano le lezioni. Così dovevamo rivolgerci direttamente alle persone e trovare quegli artisti che alla fine ci avrebbero insegnato. Cookie ad esempio insegnava una lezione settimanale di un’ora perciò andai da lui e naturalmente il mondo intero si rivelò ai miei occhi dopo averlo incontrato. Mi presentò alla comunità di tap. Quando andavi alle lezioni di Cookie, membri dei Copasetics erano là di tanto in tanto, o un famoso performer che avevo visto all’Ed Sullivan show, così potevi sperimentare la comunità dentro la stanza. Era una comunità molto piccola.
Negli anni Ottanta eravamo una manciata di persone a studiare con Cookie, altri studiavano con Brenda Bufalino e Peggy Spina. La gente a quel tempo non si spostava molto. Ho seguito forse una classe di Brenda ma capii subito che non era il mio genere, Cookie lo era. Lui era più orientato verso la musica swing mentre Brenda era più interessata al concetto di orchestra che è il modello classico. Ero veramente attratta dal possedere la forma vs caos tipica del jazz e perciò mi avvicinavo a chiunque potesse rinforzare ciò. Trovarsi in una sala con Cookie era respirare swing ed ho imparato così tanto sui jazz standard. Mi sono veramente buttata nella danza melodica grazie al periodo passato con lui.
Non ho studiato molto con Buster Brown ma ci siamo frequentati tanto come amici e lui è venuto in tour con la mia compagnia. Ogni tanto però improvvisavamo insieme in uno studio. Ed è proprio lì che ho iniziato ad avere lo swing, grazie a Buster. Buster era un uomo di swing. Steve Condos andava e veniva, ho passato del tempo con lui soprattutto ai festival o quando eravamo nello stesso spettacolo. Steve era così appassionato e così dedito al suo concetto dei rudimenti e della batteria. Ho imparato a contare il tempo e pensare come una batterista. Da Steve. Ma di nuovo, non ero là per la tecnica, non pensavo in quel modo. Per me era tutto legato all’aspetto musicale. Con Chuck Green si trattava soprattutto di essere vicino a quella mente incredibile, irreale e creativa. Si può imparare da tutti loro anche solamente stando al loro cospetto.
7. Photo by courtesy of Heather Cornell, copyright John F. Pastore.
E poi incontrai Eddie Brown, ed è proprio allora che ho cominciato a bilanciare tecnica e improvvisazione. Ma Eddie era in qualche modo bello e tragico nello stesso momento e aveva problemi con l’alcol. Era una delle persone più creative che abbia mai incontrato. Era il più florido improvvisatore che abbia mai visto».
Ultimo ma non meno importante, quali sono i suoi piani per il futuro?
«Ho il progetto Tap Legacy. L’obiettivo è di disseminare conoscenza, storia ed il mio archivio alla più grande fetta di pubblico possibile senza perdere la inerente tradizione orale. Sto cercando di trovare un modo per coltivare l’importanza del mentorship nel mondo coreografico. Questo è uno dei nostri punti deboli, non abbiamo nessun training consistente per coreografi. Di quando in quando salta fuori un solido coreografo ma non abbiamo una consistente preparazione in questo campo.
Sto provando a riequilibrare la pedagogia nel tap. Uno dei grandi problemi che abbiamo è il disequilibrio in termini di training nel settore della musica e della danza. Poiché continuiamo a chiamarla una forma di danza, la tap dance, il modo in cui studiamo è basato sulla modalità della “danza classica”. Facciamo tante lezioni di gruppo mentre lo studio di un musicista è composto lezioni private, studio in solitaria e lavoro di gruppo. Se non ti puoi ascoltare, come è possibile che tu capisca la tua stessa voce?
Perciò sto puntando molto a modificare la pedagogia, portandola fuori dal dipartimento di danza verso un luogo che dovrebbe esistere, tra i dipartimenti di musica e danza. Sto combattendo per questa battaglia quaggiù. È una cosa enorme per me perché mi sento come se non facessimo nessun favore alla nostra forma d’arte permettendoci di essere erroneamente classificati da quello che deriva dall’appropriazione della forma. È una forma di musica-danza-teatro che viene dalla diaspora afroamericana. Sto cercando di ritornare a una pedagogia legata alla vernacular jazz. E penso che abbiamo tutti molto lavoro da fare per riuscirci.
Oggi ho avuto una lunga conversazione con i miei ballerini a proposito di non contare 5 6 7 8 nel contesto del tap e loro mi guardavano come per chiedere “che importanza ha?”. Ed importa così tanto perché è un linguaggio differente. 5 6 7 8 non esiste nella musica jazz. E allora, perché parlare un linguaggio diverso? Perché non parlare il linguaggio che state riscontrando in questo momento?
8. Photo by courtesy of Heather Cornell, copyright John F. Pastore.
Sto anche finendo la mia biografia e mettendo in ordine il mio archivio per creare un punto d’accesso per le prossime generazioni. Voglio continuare a creare spettacoli, che è quello che mi è mancato negli ultimi tre anni. Mi piacerebbe vedere una compagnia di tip tap che onori tutti gli stili, dall’inizio a dove siamo oggi, ed anche lo spazio, il tempo e la distillazione delle tecniche, oltre alla musicalità che puoi avere solamente con l’esperienza. Ci sono molti altri show in me da realizzare e inoltre mi piacerebbe creare una compagnia multigenerazionale. Mi piacerebbe avere una compagnia multigenerazionale come alla fine lo stava diventando Manhattan Tap, ma estendere ognuna delle generazioni. Non uno spettacolo di varietà di stili, ma per informare veramente e influenzare gli stili degli altri.
Voglio vedere il tip tap nel modo più ampio possibile, immaginare quante cose la tap dance ha influenzato. Il tip tap… musica, teatro e danza. Quando noi abbracceremo il tutto, cosa potrà essere migliore?».
Ringraziamo Heather Cornell per il tempo che ci ha dedicato.
Potete visitare, per maggiori informazioni sul suo lavoro, il suo sito web.
Read the interview in English here.
- Heather Cornell: la tap dance è musica, teatro e danza - 21 Gennaio 2024
- Heather Cornell: tap dance is music, theatre, and dance - 21 Gennaio 2024
- SETTE MUSICAL CINEMATOGRAFICI PER SETTE SERATE ESTIVE - 22 Agosto 2023