Alessandro Scarpellini traccia un ricordo di Igino Masetti l’anarchico che Pisa non vuole dimenticare
Gino Masetti lo incontravo a volte a Pisa per le strade più che alla Federazione di Via San Martino, illuminata da lampade a petrolio sopra la sede della Pubblica Assistenza. Lui non amava troppo le stanze, i luoghi chiusi, le riunioni obbligatorie e programmate, i lunghi e astrusi discorsi sulle rivoluzioni future, le astrali dicerie filosofiche spesso dettate da egocentrismi o da fame di briciole di potere, le associazioni di troppe persone, i guru dei discorsi ideali e le complicate stramberie ideologiche.
Anarchico individualista dichiarava di essere con orgoglio senza chinare il capo davanti ad alcuno che voleva decidere e ordinare in qualche modo la vita delle altre e degli altri.
Mi colpiva col suo cappello, il grande fiocco nero, la camicia con le punte rosse, i pantaloni tirati su con un nasino perché non si impigliassero nella catena della sua bicicletta con la quale veniva da Calci.
Ricordo un giorno d’averlo trovato in Piazza Vittorio Emanuele che osservava con attenzione sul suo biciclo, unico mezzo di trasporto che aveva, una manifestazione che sfilava con bandiere rosse gonfiate dal vento e da slogan che all’apparenza potevano sembrare rivoluzionari.
Lui guardava e suonava il campanello… drin, drin, drin!
Quando mi vide, inarcò le ciglia, conoscendomi, e mi chiese con voce profonda: “O dove vanno tutte quelle pecore? Chi è il pastore che le guida? Chi è che li porta al macello?”
Io ero colpito da quella figura austera e severa che sembrava guardare tutto dall’alto, sorridendo delle piccolezze umane e delle abitudini da servi o padroncini di tanti piccoli uomini. Mi faceva un po’ pensare a Nietzsche il visionario o a Max Stirner il grande iconoclasta.
La manifestazione sfilava e Masetti suonava il campanello della sua bicicletta… sapendo che quella processione non si sarebbe certamente trasformata in una insurrezione contro i potenti per un altro mondo qui e ora.
Si lisciava il suo fiocco nero e sorrideva amaramente.
Solo dopo ho saputo che aveva dovuto espatriare all’estero per le sue idee politiche, poiché, dopo una iniziale simpatia per il nascente movimento fascista allora antiborghese, s’era avvicinato all’anarchismo percependo che i prepotenti teppistelli nero vestiti sarebbero diventati potere e avrebbero fatto dell’Italia un pollaio di gallinelle succubi e galli medagliati sfruttatori di poveri.
La sua resistenza era personale e decisa, un incontrollato testardo e coraggioso.
Oh sì, Igino, detto Gino, aveva subito anche aggressioni dai fascisti ancora giovane, essendo nato nel 1896, che non gli perdonavano d’essere un sovversivo e di aver scritto un opuscoletto intitolato Le idee di un pazzo sull’umanità che le autorità in camicia nera avevano sequestrato nel 1924 per distruggerlo. Era stato poi rinchiuso, considerato pericoloso eretico, più volte al manicomio di Volterra, ma non era pazzo… detestava solo Mussolini e la sua corte, il servilismo e la rassegnazione, gli italiani che avevano piegato il capo a quel dittatore dal grande testone e ai suoi gerarchi mangiapane a tradimento.
Ah, lui non s’era fatto ingannare.
Se uno va a spulciare il Dizionario biografico online degli anarchici italiani, la sua voce è stata curata da Franco Bertolucci della Biblioteca Franco Serantini di Pisa, ne scopre delle belle e comincia a capire come l’anticonformismo non può essere sopportato da alcuna autorità di destra o di sinistra.
Egli era semplicemente e con ardore un uomo libero.
Gino ci ha lasciato nel 1984 ed è ora sepolto a Nicosia, fra quelle alture piene di olivi che tanto amava, poco sotto all’aspra Verruca e non lontano dal fiume fangoso che scorre quieto o arrabbiato verso il mare.
Qualche upupa solitaria ogni tanto si posa sulla sua tomba.
Gino, se esistesse un aldilà… che lui ha sempre negato, riderebbe di questo mondo servo della stupidità e dei governi di ogni tipo.
Scuoterebbe il capo e ripeterebbe all’infinito queste parole de L’Unico e la sua proprietà: “Io non sono il nulla nel senso della vacuità, ma sono il nulla creatore, il nulla da cui io stesso, quale artefice, plasmo ogni cosa”.
Gino avrebbe sicuramente sottoscritto Lo statuto dei Gabbiani scritto da Horst Fantazzini.
Il maestro Enrico Fornaini, esimio pittore ed amico, ne ha fatto un ritratto vivo e ribelle che io ho accompagnato con dei miei versi pubblicati con la sua opera in Altra gente di Pisa (MDS Editore, 2015):
L’Anarchico
Cammini
all’ombra dei dubbi
fra la silenziosa schiuma
del nulla.
Incespicando
nei labirinti dell’utopia,
pugno di polvere e luna.
La fortuna per te
è scarabocchio di stelle,
malinconia,
l’imprevisto di un sorriso,
sogno ribelle,
bramosia d’amore.
.
LO STATUTO DEI GABBIANI
- I gabbiani sono nati per volare liberi. E’ l’amore e la gioia di vivere che determina il loro essere sovversivi.
- Con il loro comportamento essi insegnano a volare agli altri uccelli, senza la presunzione d’essere l’avanguardia di chicchessia.
- Essi si cercano e si trovano in base alle affinità comuni e non accettano regole all’infuori delle proprie passioni, dei propri desideri e del loro piacere di vivere e di volare insieme. Su questa base si uniscono in piccoli stormi d’affinità, federati fra di loro, per vivere e volare insieme e per lottare contro tutto quanto umilia il senso della vita e della libertà.
- I gabbiani praticano il mutuo appoggio e quindi s’impegnano ad aprire e rompere le gabbie dove sono rinchiusi i gabbiani e gli uccelli.
- Con questo articolo si annullano i precedenti quattro ed eventuali futuri articoli, perché i gabbiani non riconoscono statuti, né leggi, né regolamenti, né forme programmate d’esistenza , all’infuori del loro piacere di volare liberi. Tutto il precostituito il programmato non fa che limitare e umiliare la vita
Horst Fantazzini
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