Berlinguer: ieri e oggi, la stessa grande emozione

Pisa – Il notevole successo del film di Andrea Segre “Berlinguer La grande ambizione” ha sorpreso molti, sia nel mondo della critica cinematografica che tra le tantissime persone che si sono presentate nelle sale  negli ultimi mesi del 2024. I dati parlano di oltre seicentomila spettatori e, soprattutto, colpiscono i commenti di forte partecipazione emotiva e anche le dichiarazioni di interesse e di curiosità espresse da molti giovani che all’epoca di Enrico Berlinguer non erano ancora nati. Una partecipazione che si è riscontrata anche in occasione della Mostra nazionale “ I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” organizzata dall’Associazione Berlinguer a Roma, a quarant’anni dalla scomparsa, e successivamente a Bologna, facendo registrare quasi novantamila presenze.

Mostra che, tra l’altro, anticipiamo volentieri la notizia, sarà visitabile al Mandela Forum di Firenze a settembre 2025, con una sezione aggiuntiva su Berlinguer e la Toscana.

La domanda che sorge è perché, a distanza di decenni e di una fase della politica italiana ormai lontana anni luce, così tanto interesse per una personalità che in molti, fuori e dentro il suo partito – il PCI – hanno descritto come un segretario sconfitto, incapace di incidere nella realtà politica italiana. Per chi ha vissuto quegli anni riaffiorano i ricordi, i sentimenti, il senso di un impegno politico collettivo fondato sulla partecipazione e sulla lotta per cambiare le cose, che aveva in Enrico Berlinguer il principale punto di riferimento, e per questo c’è una comprensibile componente legata alla nostalgia.

In tanti hanno visto il film di Andrea Segre con gli occhi lucidi.

Ma, la sincera emozione, non basta a spiegare interamente il successo di queste iniziative. E’evidente che il film, come peraltro la mostra, nel loro racconto, hanno incontrato una domanda di politica, di buona politica, che oggi non trova risposte e sbocchi visibili e praticabili. I partiti come soggetti catalizzatori di partecipazione non ci sono più, del tutto schiacciati sulle logiche personalistiche, e anche nel dibattito politico non esiste più lo spazio per il dialogo e il confronto sui contenuti, a cominciare dal Parlamento ormai ridotto a una funzione subalterna ai voleri e ai numeri della maggioranza. Però, se, l’attenzione raccolta dal ricordo della figura di Berlinguer qualcosa ci dice, significa che esiste un bisogno di rilancio e di rinnovamento della partecipazione per rimettere al centro una politica capace di interpretare le istanze dei ceti popolari e dei valori della nostra Costituzione. Allora ragionare, riflettere e approfondire, sulla politica e le idee di Enrico Berlinguer non è una operazione di pura nostalgia. E certamente non si tratta di una riflessione solo sulla “linea del compromesso storico”, che è il periodo affrontato nel film di Segre.

“La grande ambizione” citata nel titolo, infatti, allude alla proposta del compromesso storico elaborata da Berlinguer dopo il golpe in Cile, in un mondo condizionato e immobilizzato dalla contrapposizione fra il blocco atlantico e quello sovietico, e sulla quale aveva costruito un terreno di dialogo e di iniziativa con Aldo Moro. Contro quella proposta si misero in movimento forze potenti, a Ovest come a Est, che contrastavano ogni ipotesi di scongelamento dei blocchi, anche attraverso esplicite minacce come di quelle di Kissinger verso le aperture di Moro, e con il ricorso al terrorismo rosso e nero, mirato a generare paura e sconcerto nel Paese. L’obbiettivo politico principale delle Brigate Rosse, dichiarato nei loro documenti, era proprio la proposta del compromesso storico, l’idea di una possibile intesa fra il PCI e la DC per aprire una fase nuova nelle prospettive della politica italiana. Un’idea che fu bloccata e uccisa con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro. Ecco, “La grande ambizione” di quella politica finisce lì, e anche il film, che lo esplicita onestamente, si chiude con un Berlinguer deluso, seriamente preoccupato e amareggiato, che ne prende atto.

Resta la forza di una figura straordinaria per onestà, coerenza nei principi e nell’azione, legame con il mondo del lavoro e con i più deboli. Che per taluno può sembrare comunque la sconfitta di una brava persona. Così, nel suo iconico testo, Giorgio Gaber sintetizza “qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona” (e giù applausi), e “qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona” (e ancora giù applausi). Un po’ poco, viene da dire. Infatti l’autorevolezza e la popolarità di Enrico Berlinguer nel popolo di sinistra aumentarono notevolmente negli anni che seguirono – dopo la fine di quella sorta di solidarietà nazionale messa in piedi per contrastare il terrorismo – con la linea dell’alternativa democratica, che purtroppo rimase isolata e fu osteggiata dal PSI di Craxi. Ma il PCI rimaneva una grande forza, con quasi un terzo dei consensi elettorali, sulla quale Berlinguer contava per impostare una proposta politica in grado di guardare al futuro. I passaggi più importanti furono l’intervista a Scalfari del 1981 in cui denuncia i processi di degenerazione e di corruzione del sistema politico, con l’occupazione del potere da parte dei partiti di governo, che fu chiamata la “la questione morale”.

Ma come dimostrarono e dimostrano gli anni passati, da “mani pulite” ad oggi, si trattava non di moralismo ma della individuazione di un rischio che è diventato realtà e ha affossato la credibilità dei partiti e della fiducia nella politica e nelle istituzioni. Basta pensare all’enorme crescita dell’astensionismo. E poi, ancora in quei primi anni ottanta, la battaglia sul disarmo, le manifestazioni contro l’istallazione dei missili nucleari in Italia. “La pace prima di tutto” era il tema centrale della festa de l’Unita’ di Tirrenia. Proprio da Berlinguer, inoltre, arrivarono stimoli e aperture importanti sulla questione della “liberazione delle donne” e sul tema dell’ambiente. Un discorso che riguardava il modello di sviluppo, che in parte aveva già affrontato con l’intervento sulll’austerita’ del 1977, nel quale parlava dei limiti dello sviluppo e dei pericoli connessi alla crescita esponenziale e incontrollata del consumismo. Ma anche il senso che stava assumendo la profonda presa di distanza dal socialismo sovietico con l’affermazione prima sul “valore universale della democrazia” e poi sulla “fine della spinta propulsiva della rivoluzione d’Ottobre”. Infine, la bellissima intervista nel dicembre del 1983 a l’Unita’, intitolata “Verso Duemila: Orwell, il computer, il futuro della democrazia”.  

Emerge ancora, a più di quarant’anni da quelle parole, una capacità di guardare al mondo con una visione innovativa e con la ricerca di un ancoraggio permanente con le motivazioni e i valori di libertà, di eguaglianza e di giustizia sociale. In conclusione l’invito è a leggere – o rileggere – i suoi interventi più importanti, che si possono agevolmente trovare nella raccolta pubblicata da Einaudi con il titolo “La passione non è finita

Tutte le foto sono tratte dal libro “Tirrenia 1982”

Credit: Franco Marmugi

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