Voyvoda una band post wave

Voyvoda: post punk bulgaro tra le nebbie emiliane

Sabato 13 dicembre, Ekidna, circolo musicale di S. Martino sul Secchia presso Carpi (Modena). L’atmosfera era quella di un film dark-trash sui vampiri, sullo stile di Miriam si sveglia a mezzanotte. Tra le nebbie emiliane brillava nel buio l’insegna del locale all’interno di un cortile spoglio, circondato da una cancellata in ferro, alberi secchi e pietrisco. Io e il mio collega musicista Paolo Neri (frontman dei Monitor, band di cui avremo modo di parlare in questo numero) eravamo lì per sentire i Voyvoda, band a noi sconosciuta ma che molto ci aveva intrigato da come era stata presentata nella locandina e nell’evento online: “Voyvoda è una band Post Punk / Cold Wave che si è formata a Gainesville, Florida, nel 2007 e che ora risiede a Sofia in Bulgaria. Nel 2012, esce il loro secondo album Iztok che ha ricevuto molte recensioni favorevoli […] il leggendario giornalista Goth/Post-punk Mick Mercer lo ha classificato come uno dei migliori album del 2013/2014”.

Se era una band post punk o cold wave doveva fare il caso nostro. Superata la porta d’ingresso del locale coperta da tende in plastica trasparente che facevano molto “macellaio degli orrori”, ci siamo inoltrati all’interno di quel piccolo mondo darkwave dell’Ekidna che come un’isola riusciva ancora a sopravvivere nel silenzio delle pianure modenesi. Tra un neon, qualche lampada uv, luci rosse e personaggi inquietanti vestiti in pelle nera, con borchie e magliette nostalgiche dei pionieri del post punk, abbiamo atteso l’inizio del concerto. I Voyvoda erano al piano di sotto a cui si poteva accedere attraverso una scaletta tortuosa immersa nella luce rossastra di un privè. Ma noi, quando siamo scesi giù per incontrare degli amici, non li abbiamo nemmeno riconosciuti. Classico problema delle band di nicchia o band emergenti che spesso si riscontra in questi ambienti.

Persa ormai anche quella patina si spettacolarità proibita che risiede nel poter vedere di nascosto o per caso gli artisti che aspettano di esibirsi, siamo tornati su poco prima dell’inizio dello show.

voyvoda

Il concerto si è aperto con una discreta violenza: chitarre distorte, volumi incredibilmente alti, la batteria che picchiava con una forza e una andamento che poco faceva pensare alla delicatezza minimale della cold wave. Il cantante era scatenato, rabbioso, gridava e si dimenava, mentre il tastierista si sentiva appena. Un pezzo dopo l’altro, senza un attimo di pausa, i Voyvoda si sono spinti fino a rasentare il metal, come nella produzione più recente dei Killing Joke. Qualche pezzo brillava tra il frastuono, mentre la lingua bulgara di alcuni brani dava un tocco di oscurità esotica alla loro produzione. Batterista e chitarrista si sono anche scambiati di posto e ciò che è venuto fuori da questo mix è stato addirittura un brano che tendeva all’hardcore: breve, asciutto e nervoso.

Io e il mio collega eravamo un poco stupiti da come la band si stava presentando alle nostre orecchie, ma nonostante tutto abbiamo apprezzato quel poco di “wave” che riusciva ad emergere, in particolare da alcuni giri di basso. Grinta e rabbia come in una formazione hardcore ma con decisi richiami al post punk, i Voyvoda si sono rivelati un esperimento curioso e a mio giudizio positivo.

voyvoda

Tornata a casa dopo il concerto, ascoltando i loro pezzi in versione studio, mi sono resa conto che quella carica tendente al metal si percepiva molto di più nel live. Brani come Doubts o Iztok, che sono giocati sulle chitarre distorte, in realtà in versione studio hanno una preponderanza di suoni liquidi simili a quelli dell’ultima produzione dei Clan of Xymox, dove chorus e distorsione si tengono testa a testa. I ritmi sono convulsi e i tempi spesso dispari e nevrotici come in Nowa Aleksandria dei Siekiera (gruppo post punk polacco); la tastiera e la voce sono infine un eco che rimbomba, effetto che purtroppo nel live si era completamente perso.

Forti sono i richiami ai Joy Division per tutte quelle sfumature catacombali della voce e della tastiera, ma la band più che post punk, può essere decisamente  definita con il termine post wave (così come i Voyvoda si sono auto proclamati) poiché incanala esperienze della prima onda oscura degli anni 70 con la musica industrial e metal più recente a cui si sovrappongono influenze da Nick Cave e Johnny Cash. La musica dei Voyvoda però non è soltanto un omaggio alla scena oscura, poiché è carica di esperienze personali e di storia passata: il frontman è infatti originario di una famiglia di guerriglieri e musicisti che hanno combattuto per l’indipendenza e la libertà della Macedonia. Questi combattenti e ribelli avevano dei leaders che venivano chiamati Voyvoda (signori della guerra). Da qui il nome della band che è un omaggio alla storia della resistenza bulgara.

Le loro canzoni trattano diversi temi, ma tutte si concentrano sull’immagine dell’est, изток (iztok) in bulgaro, che è il nome del loro album: in pezzi come Staroverets e D.A.S.F si trasmette una visione molto oscura del mondo e della realtà dei Balcani, mentre altri narrano di alcune storie immaginarie che hanno come sfondo la vita operaia balcanica trasfigurata talvolta nell’assurdo, come Mr Mrak che parla di un impiegato della compagnia croata dell’elettricità che avvelena una persona con onde radioattive. Al centro della produzione dei Voyvoda vi è anche l’amore per il folk balcanico, per le storie ormai dimenticate, storie d’amore e di guerra, ispirate dalle memorie del rivoluzionario bulgaro Hristo Silyanov, storie di alienazione che rivivono anche nella copertina di Iztok dove è ritratta la piazza principale di Sofia negli anni 30 nella nebbia, agente atmosferico che per i Voyvoda ha il significato di dimenticanza, mistero e alienazione, per loro che sono sempre stati a metà tra la Florida e la Bulgaria e che hanno faticato per rendere vivo e tangibile quel mondo dell’est attraverso la musica.

http://voyvoda.bandcamp.com/album/iztok

Iztok

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Virginia Villo Monteverdi
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