L’uomo privato (Emidio Greco, 2007)
La rubrica Cinema & Toscana di questo mese ospita la recensione del film L’uomo privato di Emidio Greco, girato a Pisa (e in egual parte a Torino).
Nel 1974 Greco debuttò sul grande schermo – dopo una gavetta in RAI – con L’invenzione di Morel, un notevole esempio di cinema fantascientifico ed intellettuale, tra Antonioni e Resnais, interpretato magistralmente da Giulio Brogi e John Steiner. L’esordio in pellicola faceva già intuire la difficoltà di inquadramento di Greco all’interno di un panorama italiano variegato e stratificato tra generi e autori ma poco ricettivo – a livello critico e produttivo – verso cineasti fuori dagli schemi come i vari Franco Brusati, Luigi Bazzoni, Corrado Farina, Mauro Bolognini, Valerio Zurlini, tanto per citare cinque nomi dalla differente estrazione culturale.
Greco è un autore di quella razza, un uomo che attenderà ben otto anni per dare alla luce il secondo film – Ehrengard – e che per vari motivi non verrà distribuito sino al 2003. Seguiranno, a distanza di molti anni l’uno dall’altro, Una storia semplice, Milonga, Il consiglio d’Egitto: pellicole che fanno intravedere il coraggio di una personalità raffinata e colta, sempre in bilico tra genere e autorialità.
Ecco, è forse il coraggio delle produzioni passate quello che manca a L’uomo privato, sesto lungometraggio di Greco (settimo se si considera Un caso di incoscienza, girato solo per la televisione) che racconta la vita di un professore di diritto, diviso tra Pisa e Torino, alle prese con un’esistenza impossibilitata a trasmettere emozioni, sentimenti e amore. Ogni avvenimento, anche il più traumatico, imprevisto e inatteso, che il protagonista subisce è soltanto una tacca invisibile in una vita votata al vuoto intellettualismo.
Tommaso Ragno, attore con una lunga carriera teatrale che grazie alla sua faccia avrebbe fatto la fortuna di Dario Argento nel periodo aureo, è perfetto per il ruolo del docente estraniato dal mondo comune; non si può parlar bene invece del resto del cast (Catania, Pampiglione, Spaak, Gravina).
Quelli che a prima vista potrebbero sembrare difetti, ad una lettura più approfondita, risultano tasselli che vanno a completare il puzzle della vita dell’uomo privato. La mancanza dello scioglimento di alcuni nodi narrativi non è un’operazione costruita per portare lo spettatore a dubitare degli sceneggiatori, bensì per rendere il film tale e quale al protagonista. Un’operazione che si riallaccia ad un certo cinema italiano, come ad esempio Identificazione di una donna (Michelangelo Antonioni, 1982), oppure, in piccola parte, le prime opere di Sorrentino, film nei quali si vuole accennare a situazioni che vorrebbero appartenere al thriller, al noir, al dramma familiare e in generale alle narrazioni popolari ma che invece vanno a sfociare in riflessioni apatiche, slegate dalla realtà di tutti giorni ma legate esclusivamente al protagonista.
Le scene girate a Pisa rendono onore al meraviglioso capoluogo toscano, grazie ad una luce perfetta tant’è che la scena diurna sul Lungarno Pacinotti sembra essere uscita da un quadro di Ippolito Caffi grazie agli splendidi tagli di luce; altre location pisane utilizzate per il film sono il Palazzo della Sapienza, la Stazione Centrale e alcuni parchi.
Concludendo si può dire che L’uomo privato fa intravedere – con un po’ di sforzo, bisogna ammetterlo – la cifra stilistica che Greco aveva già definito nel suo debutto, quarant’anni fa: creare il vuoto attorno alle persone. Nel 1974 era un vuoto temporale, nel 2007 un vuoto personale e, per l’appunto, privato.
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