Continuiamo a parlare di donne: Emma Dante
Il Teatro italiano contemporaneo ha la fortuna di avere tra le fila dei suoi artisti la siciliana Emma Dante, classe 1963, prolifica drammaturga e regista diplomatasi all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma nel 1990.
Dal 1999, anno in cui nasce la sua compagnia Sud Costa Occidentale, ha dato vita a numerose produzioni. Tra le più famose ricordiamo la Trilogia della Famiglia (Mpalermu, con cui ha vinto il premio Scenario nel 2001 e il premio Ubu nel 2002, Carnezzeria del 2002 e Vita Mia del 2004) e la Trilogia degli Occhiali del 2011 ( Acquasanta, Ballarini e Il castello della Zisa) .
Da ricordare inoltre un altro premio Ubu, molto più recente: miglior progetto artistico nel 2014 con Le sorelle Macaluso.
Attraverso l’uso del dialetto siciliano, la ricerca di una ritmica anche ossessiva nei movimenti, le coreografie e le parti corali la Dante ci parla, raccontandoci drammi familiari dalle fosche tinte, storie di mafia, amori travolgenti, e molto altro ancora, il tutto senza dimenticare un certo gusto per lo schiaffo allo spettatore. Un teatro estremamente fisico, che non lascia però nell’angolo la parola, sporcata, evocata, gutturale e perfino cantata.
Oltre agli spettacoli per adulti, la regista siciliana ha deciso da tempo di misurarsi con il teatro per ragazzi, partendo dalle fiabe classiche della tradizione europea.
Emma Dante però non addolcisce il suo linguaggio, non indora la pillola per i bambini, la sua cifra stilistica rimane sempre incredibilmente riconoscibile, autentica.
Per questo è stata una vera delusione, quasi un colpo al cuore, vedere lo spettacolo “Tre favole per un addio”, in scena al teatro F. di Bartolo domenica 1 marzo.
Interessante e ben costruita l’idea drammaturgica alla base: tre famosissimi racconti, La Piccola Fiammiferaia, La Sirenetta, Scarpette Rosse, il primo dei quali fa da cornice all’intero spettacolo. Il tutto con soli tre attori: Elena Borgogni, Italia Carroccio e Davide Celona.
Confuso tutto il resto. E la reazione dei bambini in sala è illuminante. Dalla platea e dai palchetti si levano di tanto in tanto voci infantili di protesta. C’è chi non distingue La Piccola Fiammiferaia (Elena Borgogni) dagli altri personaggi femminili interpretati dalla stessa attrice. Chi non si spiega come mai il principe della Sirenetta (Davide Celona) entri in scena per la prima volta con la coda di pesce (probabilmente per giustificare “il passo a due”, magistralmente eseguito dai due ballerini, ma puramente estetico, senza un vero significato drammaturgico, anzi fuorviante). Quando poi la Sirenetta continua a parlare, dopo che la strega del Mare le ha strappato la lingua, qualcuno proprio non ci sta e chiama a gran voce i genitori, stufo.
E poi l’uso del siciliano (ad esempio per la mamma della Piccola Fiammiferaia, interpretata da Italia Carroccio), in questo caso forzato, non aiuta il pubblico a distiguere un personaggio dall’altro, ma serve unicamente per apporre la firma di Emma Dante ad un lavoro su favole di tutt’altra origine ( è il celebre scrittore danese Hans Christian Andersen l’autore dei racconti).
Se vogliamo entrare ancora di più nel dettaglio molte altre cose stonano nel confronto con i lavori della Dante che abbiamo così tanto apprezzato negli ultimi dieci anni: le musiche ed esempio, banali, danno l’impressione di essere usate solo per riempire il vuoto, per allungare lo spettacolo.
Uno spettacolo non riuscito insomma, sia per i bambini, che ne escono perplessi e disorientati, sia per gli adulti, delusi e annoiati.
Emma Dante è una grande regista, ce lo ha già ampiamente dimostrato, non una, decine di volte; ma, per usare la frase di un amico saggio “ genio e costanza di rendimento non sono mai stati fedeli compagni”.
Attendiamo con ansia il prossimolavoro, certi di rimanere nuovamente colpiti ed affascinati dal mondo interiore di questa grande donna ed artista siciliana.
Chiara Lazzeri
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