A lezione di cinema

A lezione di cinema – Conversazione con il docente Maurizio Ambrosini

Il cinema troppo spesso è considerato un dilettevole passatempo, una forma di intrattenimento, ma sin dai suoi antenati contiene elementi che vanno al di là dell’abilità di creare “maraviglia” nello spettatore. Gli strumenti ottici che lo precedono sono stati utilizzati non solo come intrattenimento spettacolare per l’uomo della piazza, ma acquisivano anche un preciso scopo educativo. La lanterna magica veniva utilizzata per divulgare episodi biblici dai gesuiti, recuperando la tradizione della più alta pittura muraria che andava ad illustrare vite di santi ed episodi della Passione nelle chiese. Il nuovo mondo illustrava episodi storici e il panorama compiva una sorta di Grand Tour virtuale mostrando vedute, usi e costumi di popolazioni oltre oceano.

Il cinema, strumento ottico per eccellenza del XXI secolo, contiene tutti questi aspetti sin dalle sue origini; nato grazie agli sviluppi percettivi dell’epoca moderna post rivoluzione industriale, è stato utilizzato ampiamente come materiale di divulgazione didattico soprattutto attraverso la fruizione del documentario. Tra i primi, Robert Flaherty nel 1922 realizza il lungometraggio, in ambito documentaristico, Nanuk l’eschimese con l’obbiettivo pedagogico e didattico di mostrare, pur con una forte componente drammaturgica, usi e costumi degli eschimesi. Con questo film il regista statunitense apre le porte all’adozione del cinema come metodo didattico, per l’apprendimento della storia dei costumi dei popoli e delle nazioni, che si sviluppa anche nella trattazione di tematiche sociali: numerose sono oggi le scuole che per introdurre un argomento o per sviluppare un dibattito si servono del materiale filmico come supporto al testo scolastico.

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Abbiamo chiesto al Prof. Maurizio Ambrosini, docente di Storia e critica del cinema e di Teoria e tecnica della sceneggiatura presso l’Università di Pisa, un suo giudizio sull‘ utilizzo didattico del cinema nelle scuole:

L’impiego del cinema a scopo “didattico” è senz’altro utile e può diventare un modo attraverso il quale il pubblico può riavvicinarsi alla storia e alla società, a patto che lo spettatore sia consapevole che la ricostruzione di un evento e di uno scenario di carattere storico o la rappresentazione di uno scorcio di società in un film non producono una loro visione “oggettiva”, ma sono sempre il risultato di un atto di lettura e di interpretazione dei fatti, più o meno documentato, più o meno plausibile e fondato. Insomma, il processo di ricostruzione storica all’interno del film è sempre filtrato dallo sguardo dell’autore, dai suoi presupposti culturali, dalla sua visione del mondo e del cinema. Quando un giovane studente si trova a guardare Senso, il film di Luchino Visconti del 1954 dedicato alle vicende della terza guerra d’indipendenza, dovrebbe sapere o sarebbe bene sapesse che il suo autore propone una lettura di quegli eventi profondamente influenzata dall’interpretazione che offrì Antonio Gramsci del Risorgimento, come rivoluzione mancata o tradita, dalla quale sono rimaste escluse le masse popolari; e anche che lo sguardo di Visconti nella rappresentazione dei paesaggi e degli ambienti è fortemente ispirato ai dipinti di Fattori e dei Macchiaioli.

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Lo statuto del cinema non deve quindi limitarsi a quello di intrattenimento o di materiale didattico, ma deve essere considerato come forma di espressione, di arte visiva, in contatto perenne con storia, filosofia ed estetica. Solo negli anni venti del Novecento, grazie al critico Ricciotto Canudo, che lo definisce „settima arte“, il cinema entra a far parte del sistema delle arti e viene ufficialmente riconosciuto come atto performativo artistico. Così il cinema diventa anche materia di insegnamento: nel 1935 nasce il Centro sperimentale a Roma, sotto la direzione di Luigi Chiarini, la più antica scuola di cinema ed una delle più quotate attualmente, ma bisognerà aspettare l’inizio degli anni sessanta e il fertile ambiente dell’Università di Pisa perchè si arrivi a considerare il cinema come materia di studio, al pari della storia dell’arte all’interno dell‘Università, e perchè si arrivi all’istituzione di una cattedra in Storia e Critica del cinema. Le prime lezioni universitarie di cinema in Italia sono legate proprio alla figura di Luigi Chiarini presso l’ateneo pisano.

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L’insegnamento della storia del cinema – commenta il Prof. Ambrosini – è fondamentale perché questa storia, la storia dei suoi modi di produzione e delle sue forme espressive, è parte integrante della storia e della cultura del ‘900, perché ci racconta come questo secolo ha voluto e saputo presentare se stesso attraverso progetti culturali e prospettive ideologiche diverse; e anche perché il cinema ha “dialogato” in modo profondamente significativo con i media e le arti principali del XX secolo». Insegnare la settima arte all’Università comporta notevoli impegni e responsabilità per un docente.

Sempre secondo il Prof Ambrosini:

Insegnare Storia e critica del cinema all’Università significa forse soprattutto provare a trasmettere agli studenti un interesse verso il cinema e i film che vada oltre un’attenzione spettatoriale occasionale e spontanea o una pur appassionata cinefilia. Significa provare a restituire questa storia come un fenomeno artistico-culturale complesso da studiare con rigore sul piano storico e su quello formale ed espressivo, in costante connessione con il contesto di riferimento. Per esempio, gli studenti di cinema devono convincersi che non si può comprendere a fondo un fenomeno cinematografico come quello del Neorealismo senza conoscere adeguatamente i fatti e le vicende dello storia dell’Italia del Ventennio, del Secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra. Insomma, non si tratta solo di provare a far nascere o ad alimentare un amore o una passione, ma creare le condizioni per far fare un salto di qualità all’esperienza spettatoriale degli studenti, ad alimentare la passione di consapevolezza.

indexApprocciarsi allo studio del cinema significa anche avvicinarsi ad altre discipline, non solo la pittura e la storia ma anche la semiotica, materia che spesso fa storcere il naso agli studenti, risultando ostile e distante. Per far acquisire conoscenze dirette agli studenti e avvicinarli a questo campo, lo scorso giugno è stato realizzato un incontro con il professor Roger Odin, uno dei massimi studiosi di Semiotica applicata al cinema ed autore del celebre Della finzione presso la facoltà di Storia delle arti visive, curato dal Professor Augusto Sainati.

In questo contesto il Prof. Ambrosini precisa l’importanza dello studio della semiotica in campo artistico:

L’incontro fra semiotica e cinema, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso, così come quello con altre discipline e orientamenti di studio come la linguistica, la psicanalisi, il cognitivismo, la fenomenologia, e oggi perfino le neuroscienze, ci racconta, tra le altre cose, l’aspirazione del cinema ad essere riconosciuto come linguaggio complesso da studiare con rigore, la volontà di considerare i film come testi dotati di struttura e attraversati da un discorso che rimandano a una soggettività autoriale e, infine, il desiderio di indagare l’esperienza dello spettatore cinematografico come esperienza stratificata, sensoriale, emozionale, cognitiva e valutativa, come esperienza integrata del corpo e della mente.

Un altro ostacolo che lo studente di cinema deve assolutamente affrontare è soprattutto quello nell’ambito della post formazione: occorrono una buona dose di coraggio e tanta passione per trasformare gli anni di studio in una professione. Il professore consiglia ai suoi studenti di:

non esaurire lo studio del cinema nella frequenza dei corsi universitari e/o nello studio dei relativi programmi, ma che questo debba nutrirsi della costante partecipazione a ogni iniziativa extra-universitaria interessante, dalla frequentazione della sale e dei cineclub alla partecipazione ai festival, alle mostre, agli incontri con gli autori. E’ questo il momento per cimentarsi nelle prime prove di scrittura critica o nella partecipazione a qualche avventura creativa e realizzativa all’interno di troupe e set allestiti con gli amici. Più in generale, corsi di laurea come quello dell’Università di Pisa in Discipline dello spettacolo e della comunicazione (o come il corso di laurea magistrale in Storia e forme delle arti visive e dello spettacolo) puntano a formare studenti in grado di operare efficacemente all’interno di tutto il reticolo intermediale che investe il panorama odierno, segnato dal fenomeno della convergenza digitale e dalla interconnessione dei media, da internet alla tv, dalla radio al cinema e ai fumetti. Ovviamente, trovare collocazione e affermarsi in questi campi professionali non è affatto semplice e presuppone forza di volontà e determinazione, creatività e spirito di sacrificio nella ricerca di occasioni lavorative propizie.

Francesca Lampredi

 

 

 

 

 

Tomas Ticciati
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