Sabato 5 e domenica 6 novembre, al teatro Verdi di Pisa, è andato in scena Il filo dell’acqua, uno spettacolo scritto da Francesco Niccolini e da lui diretto insieme a Roberto Aldorasi.
La pièce racconta della terribile notte del 4 novembre 1966, in cui Firenze fu travolta dalla forza distruttrice dell’Arno che esondava. Un fenomeno di portata eccezionale che sconvolse il capoluogo toscano e il resto d’Italia. Il pericolo di perdere le bellezze della città del Giglio mosse uomini e donne di tutto il mondo, che si precipitarono a recuperare libri e opere d’arte colpite dalla melma. Gli “angeli del fango”, di cui tutti noi abbiamo memoria.
L’importanza del ricordo è il nucleo dello spettacolo. Ricordare il passato e trasmetterlo al futuro, perché non si dipinga come imprevedibile ciò che poteva essere ipotizzato e previsto.
L’Arno ha esondato molte volte dal Trecento a oggi e in maniera disastrosa almeno una volta ogni secolo. E lo ripetono come un mantra i tre attori sul palco. Dimitri Frosali, Lucia Socci e Massimo Salvianti alternano narrazione indiretta e monolghi, gestendo magistralmente questo passaggio, tipico del teatro di narrazione.
Così lo spettatore assiste al racconto dettagliato di quella notte rimasta nella storia; il pubblico si commuove con le parole dei tanti personaggi che gli attori ci permettono di incontrare. La storia diventa quella degli orafi di Firenze, del cittadino devoto che non riesce a immaginare una vita senza la sua città, del prefetto che non sa gestire l’emergenza e di una donna incinta e della sua bambina bloccate per due giorni sopra un balcone in attesa dell’uomo che le ha salvate. Tutti si incontrano e si scontrano sul palco. Il suono della pioggia e dell’acqua che scorre si intrecciano alle parole degli attori. Il risultato è un ritmo scorrevole del racconto, unico vero protagonista. La scenografia è essenziale proprio a sottolineare la potenzialità del teatro di narrazione come strumento per risvegliare e tenere attiva la memoria.
Tuttomondo decide di chiudere l’anno parlando del ritorno, tema che tocca il teatro in tanti e diversi aspetti. Questo spettacolo richiama due diverse riflessioni sul tema del ritorno: la prima investe la coscienza storica. La seconda, invece, riguarda il ritorno a teatro delle giovani generazioni.
Lo spettacolo di Niccolini racconta una delle guerre che il nostro paese ha combattuto. La gente si è armata, rifugiata, difesa come poteva. Complice della furia dell’Arno, indomabile nemico, è stata l’indifferenza verso il passato: “Un’esondazione disastrosa al secolo, dal Trecento a oggi”.
Il racconto teatrale diviene un modo per evitare tragici ritorni. Raccontare la storia attraverso uno spettacolo consente di stimolare una diversa forma di ricordo, forse più incisiva e pregnante di quella scolastica e nozionistica. Perché se è vero che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, converrà sforzarsi di ricordare come questo fiume nei secoli è tornato a bagnarci.
Il teatro potrebbe certamente aiutare a ricordare per evitare tragici ritorni, tuttavia, guardando rapidamente gli spettatori soddifatti che escono dal Verdi, appare in tutta evidenza come ben pochi fossero giovani. Avvicinare i giovani al teatro, renderlo accessibile e fruibile è un obiettivo che dovrebbe animare gli operatori di questo settore. Il teatro è un gioco a tre: testo, attore e pubblico, ognuno ha un proprio compito. Tra quelli dello spettatore il più importante è ricordare.
Giulia Contini
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