Mons. Filippini parla di Padre Ernesto Balducci
Sabato 16 gennaio prossimo, alle 17, nei locali del Teatro Lux a Pisa, verrà presentato “Un’imprevedibile simpatia per il mondo”, titolo con il quale la Casa editrice “Il Margine” di Trento ha dato alle stampe il testo di un intervento che Padre Ernesto Balducci svolse durante un Convegno della FUCI a Pisa nel 1966, a distanza di un mese dalla chiusura dei lavori del Concilio Vaticano II dell’8 dicembre 1965, e di 5 anni dalla costituzione apostolica Humanae salutis del 25 dicembre 1961, con cui Papa Giovanni XXIII indiceva il Concilio, che si aprì formalmente l’11 ottobre 1962.
All’incontro saranno presenti Mons. Roberto Filippini (oggi nuovo vescovo della diocesi di Pescia), e del prof. Massimo Toschi (consigliere della Presidenza della Regione Toscana per il dialogo e la pace fra le culture). Il testo rapresenta un primo bilancio di quella che agli occhi dei contemporanei rappresentava un momento di svolta epocale ed atteso da parte di molti esponenti della comunità cattolica. Lo “spirito” del tempo è espresso dallo stesso Balducci, nel momento in cui, già nelle prime righe del suo intervento, evidenzia come l’esigenza alla base del Concilio fosse quella di “rompere una rappresentazione consueta della Chiesa e dei suoi rapporti col mondo”, che vedeva la Chiesa arroccata sulla difesa di una immagine tradizionale legata a “certa tradizione di carattere filosofico, culturale, giuridico, di costume”. Questa impostazione aveva come precipitato culturale un pregiudizio di “illegittimità del mondo moderno”, visto come portatore di valori antitetici rispetto ai valori del Cristianesimo, ed in quanto tale da rifiutare. Sulla base di questo pregiudizio si misurava la qualificazione del Cattolico Perfetto come fedele, tenuto a credere a contenuti, ad esempio, come l’uso della lingua latina quale segno irrinunciabile della Universalità della Chiesa; l’ordinamento canonico presentato anch’esso come non un sistema giuridico storicamente dato e quindi soggetto, come tutti gli ordinamenti giuridici, agli adattamenti resi necessari dai cambiamenti storici, sociali, economici e culturali dei fenomeni che deve regolare, ma come irrinunciabile ed assoluto; la ricostruzione di un rapporto con i cristiani non cattolici sulla base di una mera accettazione da parte di questi ultimi “del contenuto culturale della Chiesa Cattolica”, assunto evidentemente come preminente rispetto a quelli delle comunità cristiane non cattoliche… A che questa visione “pachidermica” peraltro erano affezionati in molti: non solo parte del mondo cattolico, o, per dirla con le parole ben più efficaci dello stessso Balducci, i cattolici di stretta osservanza”, ma anche i “laici di stretta osservanza”, per cui il Concilio Vaticano II si poneva come sfida anche nei confronti di questi due “opposti clericalismi”, che per esistere avevano entrambi bisogno che nulla cambiasse. 2 Portare avanti questa sfida significava innanzitutto partire da una acquisizione di consapevolezza già di per sè tutt’altro che scontata e talmente importante da assumere la consistenza di un principio fondativo rivoluzionario: “un giudizio nuovo sul mondo moderno, un giudizio sostanzialmente ottimistico”, che comportava l’ “immersione della Chiesa entro lo spessore laico della storia”. Una Chiesa finalmente consapevole di dover abbandonare i rassicuranti confini della Tradizione per incamminarsi lungo gli inediti sentieri del confronto con la storicità della comunità umana e con le sue contraddizioni, perchè anche la Chiesa è “legata alla storicità”, anche la Chiesa “è una realtà che cammina”, perchè il dinamismo è nella sua stessa essenza e il camminare “è la sua legge”. Se questo è il nuovo paradigma spirituale, prima ancora che culturale, nella visione di Balducci una delle conseguenze necessarie ed inevitabili è il superamento, anche se graduale, delle strutture che erano nate e si basavano sulla contrapposizione ideologica della Chiesa rispetto al mondo moderno, nel nome di quella che Balducci definisce come una “santa confusione”, perchè la nuova regola dell’agire della Chiesa nel mondo è l’”attenzione diligente ai segni del tempo”. Non che i segni del tempo dell’apertura dei lavori conciliari fossero particolarmente rassicuranti, peraltro: l’anno di inizio del Concilio è anche quello della Crisi dei missili di Cuba, che nel contesto della permanente Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica, aveva fatto apparire lo spettro di uno scontro tra le due superpotenze-perno degli equilibri del mondo intero. Tuttavia, accanto a questi motivi di preoccupazione, altri “segni” avevano invece il crisma della innovazione e della trasformazione, e quindi anche questi non potevano essere misconosciuti o rinnegati dal mondo cattolico: Luigi Sandri, nel suo libro “Dal Gerusalemme I al VaticanoIII”,li sintetizza efficacemente indicandoli nell’affacciarsi sullo scenario politico delle classi lavoratrici, nell’ingresso della donna nella vita pubblica, nella fine del colonialismo. Perciò non contrapposizione, ma confronto col mondo. E lo strumento del confronto non può che essere quello del dialogo costante con la laicità, “perchè essa non è estranea al Regno di Dio, ma è una sua dimensione”, e il dialogo non è una facoltà ,ma un ‘Imperativo categorico”.
La nuova dimensione spirituale e culturale deve essere portata avanti con un rinnovamento istituzionale: da questo punto di vista Balducci guarda con fiducia, ad esempio, alla collegialità episcopale con l’istituzione da parte di papa Paolo VI del Sinodo Episcopale, visto come “organo di trasformazione”, a differenza della Curia; alla sostituzione del Sant’Uffizio, “organo di 3 conservazione” con la Congregazione per la dottrina della fede, che avrebbe dovuto farsi portatrice, secondo l’auspicio di Balducci, di una nuova e diversa “intenzione”: non più la pericolosità di qualsiasi opinione innovativa, ma soprattutto il dialogo teologico all’interno della Chiesa. Con la stessa fiducia Balducci guarda ai nuovi strumenti del dialogo con il mondo non cattolico, vale a dire i 3 segretariati: per i non credenti, per i non cristiani e per i non cattolici. Tutto ciò perchè la missione della Chiesa non è la sua autoconservazione, ma “garantire la pace”, missione storica che essa ha in comune con i non cristiani, attraverso la costruzione di una civiltà del dialogo. Leggere oggi parole scritte ormai 50 anni fa significa anche riconoscerne la straordinaria freschezza ed attualità: freschezza nella vivacità e chiarezza dell’espressione, attualità nella consonanza del suo pensiero col messaggio pastorale portato avanti oggi con forza, e non senza fatica, da Papa Francesco. Bergoglio ha infatti fondato tutto il suo pontificato sul potente rilancio del messaggio conciliare. Mons. Roberto Filippini nella sua prefazione infatti ricorda gli insegnamenti dell’attuale pontefice, basati su temi come la necessità sempre attuale di una riforma della Chiesa, che non può prescindere da quella “generale disposizione positiva nei confronti del mondo, che Balducci indica come simpatia”. Una simpatia tanto necessaria , quanto “imprevedibile” forse ancora oggi, in un mondo in cui rigurgiti violenti di vari “integralismi” (pseudo religiosi, economici, culturali) possono dirsi tutt’altro che debellati, e stanno lì a ricordarci che il dialogo, la pace, la libertà religiosa e di coscienza, sono concetti esigenti, perchè non possono mai dirsi acquisiti una volta per tutte, ma richiedono attenzione costante: non l’astrazione dei ragionamenti immutabili, ma la cura e l’assunzione di responsabilità del giorno per giorno.
Franca Panza, associazione Rosa Bianca Pisa
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