La storia inedita di Angelo Samaia
Si avvicina il ventisette gennaio, giorno che scandirà il settantunesimo rintocco dall’apertura dei cancelli di Auschwitz e in questa occasione il mondo si interrogherà sul significato della parola Memoria. Suppongo che ognuno possa fornire una spiegazione personale sul senso che oggi ha celebrare il Giorno della Memoria per onorarne assieme le vittime.
Il popolo ebraico piangerà i suoi martiri, qualcuno pregherà in loro ricordo, Auschwitz darà inizio alle sue rituali commemorazioni, l’Europa e il Mondo terranno vivo il ricordo di una pagina della nostra storia recente che può e non deve essere oscurata.
E Io, per quanto posso, apporterò il mio omaggio raccontando gli ultimi mesi della vita di un uomo. Presenterò ai lettori di TuttoMondo il lavoro di ricerca che per sei anni mi ha visto protagonista.
Era il duemilanove quando conobbi Gina Samaia, un’ anziana signora ormai quasi al crepuscolo della vita. Eravamo nel suo salotto di via Amerigo Vespucci in compagnia della figlia e della nipote quando in un giorno piovoso cominciò a raccontare del suo passato. Tutti ascoltavano estasiati la sua storia fin quando non dovette interrompersi dopo aver menzionato un nome: Angelo. La voce le si ruppe e per quel giorno il suo racconto finì. Mi fu riferito che Angelo era suo fratello morto ad Auschwitz e che la signora Gina non aveva mai raccontato particolari al riguardo.
Successivamente, con una sfrontatezza inaudita, ma con assieme la delicatezza di cui necessitava la situazione, le chiesi di raccontarmi quella storia vecchia di settant’anni. Acconsentì e ne ebbi così un’intervista che poi avrei trascritto.
La storia che mi raccontò si fermava al momento dell’arresto del fratello, da lì non ne aveva saputo più nulla. Intrapresi così una ricerca sul territorio per avere qualsiasi informazione che riguardasse Angelo. Intervistai persone che lo avevano conosciuto e visitai le lapidi che lo commemoravano. Scrutai delle vecchie bobine nel registro della Provincia in cerca di notizie risalenti al dopoguerra sulla sua deportazione. Niente. Quell’uomo era un fantasma del passato. Nel giugno del duemilaundici la signora Gina si spense, ma la mia ricerca era appena iniziata. Nel duemiladodici, avendo come unica informazione certa la morte di Angelo ad Auschwitz, mi recai direttamente in Polonia, dopo aver proposto una visita al luogo dell’olocausto come meta di un viaggio studio. In questo modo ebbi l’opportunità ricercare informazioni direttamente all’archivio del campo ma, poiché gran parte degli archivi erano stati distrutti dai nazisti prima dell’evacuazione del lager, anche qui non vi era alcun documento che riguardasse Angelo Samaia.
Ero sconfortato. Dove potevo trovare altre informazioni?
Cercando su internet venni a conoscenza dell’apertura nel 2007 dell’archivio di Bad Arolsen (nelle stanze dell’ex caserma delle SS a Bad Arolsen si trovava e oggi è accessibile al pubblico il più grande archivio esistente sulla deportazione nazista) e del progetto H.E.A.R.T. (acronimo per Holocaust Era Asset Restitution Taskforce, un database online che raccoglie notizie sui beni confiscato durante l’epoca nazista). L’archivio, aperto dopo trattative diplomatiche sessantennali tra ben undici paesi, contiene tutti i documenti che i nazisti, nella loro ossessiva minuziosità, redigevano sempre in triplice copia. Scrissi subito a Bad Arolsen e gli operatori mi risposero che, rispettando l’ordine di richieste, avrebbero ricercato i documenti relativi ad Angelo, pubblicandoli poi sul loro sito. Lo scorso duemilaquindici, finalmente, furono trovati i documenti di Angelo che raccontavano cosa fosse successo dopo il suo arresto. Così, con le informazioni già in mio possesso, potei ricostruire la sua intera storia.
Quella che segue è la biografia di Angelo Samaia, un nome ed una storia che mi accompagneranno per tutta la vita.
Angelo Samaia nasce a Pisa il 21 aprile del 1917, figlio di Arturo ed Ernesta Giuili. Fino al 1942 gestisce la sartoria di famiglia situata in Borgo Largo, nel centro storico della città. Negli anni trenta si iscrive al Partito Nazionale Fascista verso il quale nutrirà fedeltà fino all’ultimo.
Dopo l’annuncio ufficiale del censimento delle persone di razza ebraica del cinque agosto 1938, l’intera famiglia Samaia viene segnalata e censita. Le leggi razziali, emanate nel novembre dello stesso anno, restringono fortemente la libertà individuale degli ebrei, ma Angelo è sicuro che non siano atte a fare del male ai cittadini, piuttosto una manovra strategica per non perdere l’alleato tedesco. Questo è uno dei motivi per i quali continua a svolgere una vita normale, convincendo i propri famigliari a fare lo stesso.
Ha, in questo periodo, il primo figlio dalla moglie Vera Cardosi. Le informazioni parlano di un importante amico di Angelo, Ezio, il quale tenta, essendo membro della resistenza partigiana, di convincere l’amico a lasciare clandestinamente la città poiché è in pericolo l’incolumità degli ebrei, ma questi rifiuta.
Nel 1942 la Prefettura di Pisa comincia la precettazione per il lavoro coatto degli ebrei e stila un elenco dettagliato delle loro proprietà e, in questo, Angelo risulta possedere un deposito ingente di denaro presso la Banca Toscana. Nel momento in cui si chiede agli ebrei di lasciare le attività e di denunciare le loro proprietà, Angelo si avvede del pericolo e chiede alla resistenza, per mezzo dell’amico Ezio, di trovare delle sistemazioni isolate per lui e la famiglia. Chiude quindi la sartoria e provvede a fornire viveri alla famiglia per un lungo periodo, mentre sta per lasciare la città.
Si trasferisce in un zona isolata sui monti del Grossetano con la moglie in stato interessante e il primogenito, mentre la sorella Gina viene sistemata, insieme ai genitori, in una spelonca sul Monte Chiesa, in provincia di Lucca, località Campignano. L’altra sorella, Zaira, si trasferisce poco più sotto, mentre gli altri fratelli provvedono autonomamente alla loro sistemazione. I mesi che seguono sono duri, la guerra rende difficili gli spostamenti, specialmente per gli ebrei, nonostante questo, Angelo raggiunge spesso le dimore delle sorelle portando loro viveri ed oggetti di primo bisogno con l’ausilio di un calesse.
Nel frattempo arriva l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’ex alleato tedesco inaugura la caccia all’ebreo sul suolo italiano, perpetrando rappresaglie nei confronti della popolazione civile. Da Pisa, intanto, giunge voce che qualcuno, forse un concorrente di Angelo in ambito lavorativo, ha denunciato la sua scomparsa e la chiusura dell’attività.
Le ronde da parte dei nazifascisti si fanno più intense e un giorno due squadristi italiani in borghese arrivano alla spelonca di Gina Samaia chiedendo di Angelo presentandosi come due suoi amici. Il padre, Arturo, sapendo che il figlio ha stretti rapporti con la resistenza non si fa problemi a rispondere che Angelo si trova più in basso a casa della sorella Zaira col calesse dei viveri.
E’ il 29 dicembre 1943 quando Angelo Samaia viene catturato e tratto in arresto mentre torna verso la spelonca della sorella.
Gina tenta di impedire che lo portino via, ma i due fascisti rispondono che hanno degli ordini precisi e che devono portarlo in prigione. Gina si offre per andare con lui, ma per qualche motivo sconosciuto le viene impedito. Non si conoscono i motivi per i quali solo Angelo fu catturato, anche se da varie testimonianze trapela che i nazisti cercassero uomini in forze da impiegare per lo sforzo bellico.
Da questo momento in poi tutto ciò che gli avviene è confermato dai documenti.
Viene portato nel campo di transito di Bagni di Lucca per poi essere trasferito presso il carcere San Giorgio di Lucca. Durante questo periodo ha diritto a delle libere uscite, a patto che qualcuno garantisca per lui. L’amico Ezio e la moglie Vera vanno a trovarlo proponendogli la fuga, ma questi rifiuta asserendo che un amico del partito gli ha garantito la libertà. Poco dopo viene trasferito nel carcere Sollicciano di Firenze e di là al San Vittore di Milano.
Dopo un mese di prigionia in Italia viene poi inserito nel convoglio numero 6 del 30 gennaio 1944, lo stesso di Liliana Segre, che parte dal binario 21 della stazione centrale di Milano con destinazione Auschwitz-Birkenau.Durante il viaggio il treno si ferma a Verona dove vengono agganciati altri vagoni per un carico complessivo di 605 persone, poi ferma in una stazione deserta dove viene data dell’acqua ai prigionieri.
Il convoglio arriva a Birkenau il 6 febbraio, fermandosi a circa un chilometro dal campo, non esistendo ancora il troncone del binario che dalla fine del 1944 avrebbe portato direttamente all’interno del campo. Qui ha luogo la prima selezione dopo la quale entrano nel campo vivi 31 donne e 97 uomini. Infatti, su 605 persone, 477 vengono uccise nella camera a gas del bunker II immediatamente. I 97 uomini vengono immatricolati dal numero 173.394 al 173.490, tra questi è sicuramente incluso anche Angelo, che viene assegnato al kommando di lavoro nelle miniere di carbone di Janinagrube -Libiaz Maly – , un sottocampo di Auschwitz. La data della morte di Angelo è sconosciuta, si possono solo trarre delle conclusioni dedotte dalla condizione del campo e dai fatti storici.
La data della morte è sicuramente compresa tra il 31 luglio e il 20 agosto 1944. Le ipotesi sono diverse. Le miniere potrebbero essere state evacuate e i prigionieri inviati nelle camere a gas di Birkenau, oppure Angelo potrebbe essere morto di inedia, stenti e lavoro coatto.
L’unica tesi documentata è il bombardamento del 20 agosto 1944 da parte delle forze angloamericane che distrugge il complesso di Janinagrube e la IG Farben (Multinazionale tedesca, colpevole di essere stata la maggiore fornitrice di Zyklon-B, l’agente fumigante mortale utilizzato nelle camere a gas), sita ad Auschwitz III “Buna”, non è possibile però affermare che Angelo si trovasse ancora al suo interno al momento dell’incursione aerea.
La sua morte, quindi, è destinata a restare per sempre avvolta nel mistero.
Questa di Angelo Samaia è solo una delle migliaia di storie che hanno avuto luogo o fine ad Auschwitz, ma è una di quelle che, forse come tante altre, non sarebbero mai state raccontate.
In vista dell’avvicinarsi del Giorno della Memoria, questo racconto vuole essere un omaggio a coloro che non hanno potuto e non hanno avuto chi potesse raccontarci la loro tragedia.
Finalmente, dopo settant’anni di silenzio, la storia di un uomo è stata raccontata perché non sia mai più dimenticata.
“Se non avesse tenuto così tanto alla famiglia, forse Angelo sarebbe ancora vivo”. Gina Samaia
Nicola Di Nardo
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