Febbraio è il mese della maschera. Impossibile trovare un’associazione migliore con il mondo del Teatro!
La maschera è un elemento tipico di quest’arte millenaria fin dai suoi primi vagiti. Attraverso le epoche storiche ha rivestito ruoli diversi, ha avuto numerose forme e dimensioni, ha sì perso l’innata potenza degli albori, ma è rimasta capace di esercitare una forte attrattiva nell’immaginario comune. Di una maschera in particolare vogliamo parlarvi in questo articolo; la più famosa, se pensiamo alla nostra penisola: la maschera di Arlecchino.
La storia di questo personaggio ha inizio secoli fa, nei romanzeschi anni della cosiddetta Commedia dell’Arte. Siamo in Italia, in pieno 1500, epoca in cui le rappresentazioni teatrali non erano basate su testi scritti ma sul canovaccio, una sorta di struttura generale della trama di un’opera. I canovacci servivano da traccia per gli attori che recitavano improvvisando, secondo le caratteristiche del proprio personaggio. Le compagnie di giro erano costituite da una decina di attori. Questi sono anche gli anni di una grande rivoluzione: per la prima volta fanno la loro comparsa sul palco le donne (dal teatro greco, al teatro religioso medioevale, le donne erano bandite dalla scena ed erano giovani uomini a interpretare le parti femminili).
Arlecchino nasce in quest’epoca turbolenta e variopinta dal lavoro di un attore di nome Tristano Martinelli, nato a Marcaria, nei pressi di Mantova, il 7 aprile del 1557 e a Mantova morto “di febbre e di catarro in due giorni” il 1 marzo del 1630. Un interessante libro di Siro Ferrone – Arlecchino. Vita e avventure di Tristano Martinelli attore – ne racconta la rocambolesca esistenza e di come, un passo alla volta, abbia creato una maschera che ancora oggi tutti conoscono e riconoscono.
Martinelli fu un acrobata e un attore comico, girovago fin dalla più tenera età, al seguito del fratello Drusiano.
Tra il 1584 e il 1585 Martinelli recitò con la sua compagnia, protetta dal duca di Mantova, in Francia. Qui, venendo incontro al gusto del pubblico parigino, modificò il proprio costume da zanni (il servo, personaggio tipico della Commedia dell’Arte), scegliendo, al posto della consueta casacca grigia, un abito aderente, adatto alle evoluzioni e alle acrobazie, decorato con pezze di stoffa colorata, un lascito forse dei giullari medioevali.
Il nome poi è “un arrangiamento tanto riuscito quanto complicato e difficilmente ricostruibile di nomi provenienti dal folclore nordico”. Il nome di Arlecchino evoca personaggi mascherati a capo di masnade di spettri e demoni, narrate nelle ballate e nelle leggende (nota fin dal Medioevo la maisnie di Hielekin o Hellequin): diavoli vestiti con colori sgargianti, rumorosi, osceni, provenienti da un altrove indefinito.
Sono pochi, purtroppo, i documenti sopravvissuti ai secoli con cui è possibile ricostruire la storia di Tristano Martinelli. Il racconto della sua vita è denso di lacune e di incertezze, le rare carte rimaste sono testimonianze di personaggi dell’epoca che ebbero con lui dei contatti. Nonostante questo la maschera di Arlecchino ha fatto breccia nella nostra tradizione come poche altre sono riuscite a fare, tanto da non subire il logorio dei secoli.
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