Donne e arte: La musa Clio di Artemisia Gentileschi
Il 23 marzo 2013 è stata inaugurata a Palazzo Blu una mostra dedicata ad Artemisia Gentileschi: Artemisia, la musa Clio e gli anni napoletani, che si è focalizzata sulla produzione partenopea dell’artista e sulle sue vicende biografiche in Campania e in Toscana, dove l’artista conservava interessi e proprietà. A restare in esposizione permanente al museo, e a prendere parte alla collezione è proprio il dipinto che raffigura la musa Clio, la musa della Storia, dipinta dalla Gentileschi nel 1632.
Artemisia, figlia del pittore toscano Orazio Gentileschi nacque a Roma nel 1593 e si formò nella bottega del padre insieme ai fratelli dimostrando sin da subito un grande talento nel disegno. La fortuna della pittrice crebbe in un clima romano denso di stimoli artistici (vi erano presenti i Carracci e Domenichino) che la guidarono nell’elaborazione del suo stile, lo stile caravaggesco e luministico, appreso dal padre, dalle frequentazioni che la sua bottega aveva con Caravaggio, ed elaborato a Firenze, quando la pittrice fu presso la corte Medicea.
Amata e allo stesso tempo discriminata in quanto donna, Artemisia nonostante fosse una pittrice richiesta e di successo, dovette sempre esercitarsi in bottega o autonomamente poiché non riuscì ad avere subito accesso all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze, proprio a causa del suo essere donna. Solo nel 1616 riuscì ad essere ammessa e divenne la prima donna a godere di tale privilegio artistico.
Nel XVII secolo infatti per una donna, sebbene talentuosa, le vie dell’istruzione erano spesso bloccate e la misoginia era un sentimento diffusissimo testimoniato a chiare lettere dalla letteratura, che attraverso trattati evidenziava i difetti delle donne come la lussuria, la gelosia, l’invidia, l’ipocrisia e l’adulterio, criticando anche tutte quelle “femmine” che esercitavano ruoli maschili. Pittrici, donne al governo, scrittrici, filosofe, insegnanti erano stigmatizzate violentemente e accusate di traviare il buonsenso, come spesso riportavano alcuni testi dell’epoca dai titoli eloquenti: I donneschi difetti di Giuseppe Passi (1599), L’oracolo, overo invettiva contra le donne (1616), L’Alfabeto dell’imperfezione delle donne (1617) etc. Artemisia era una donna, lei, però, riuscì a oltrepassare questi diffusi pregiudizi, diventando un’artista completa e ammirata, amica di Galileo, di Francesco I d’Este, del duca Cosimo II dei Medici, di Cassiano dal Pozzo, ammiratrice di Maria dei Medici, la vera femme forte, celebrata dalle lodi di Andrea Cioli (segretario della corte medicea) e Guicciardini.
Sin dai suoi esordi i suoi temi prediletti furono i ritratti di immagini femminili tratte dalla storia, dalle Sacre Scritture e dal mito, insieme alle allegorie, tanto che Artemisia viene tutt’ora spesso definita la “pittrice di eroine”. Esemplari in questo contesto risultano L’inclinazione, probabilmente una delle prime opere allegoriche realizzate a Firenze e datata circa 1612, Giuditta che decapita Oloferne (1613 e 1620), Susanna e i vecchioni (1610), Danae (1612), Giuditta con la testa di Oloferne (1619), Maddalena penitente (1616), Giaele che uccide Sisara (1620), Lucrezia (1623-25), Cleopatra (1633-35), Davide e Betsabea (1636-38), Minerva (1634), Allegoria della Fama (1630-35) e altre, senza però dimenticare la nostra musa Clio che sarà l’oggetto del nostro articolo.
La musa nasce proprio in un momento in cui Artemisia aveva raggiunto un alto livello di preparazione ed era conosciuta e richiesta dai principali committenti. Dipinta nel 1632 Clio è frutto di un contesto nuovo per Artemisia che fino al 1629 aveva viaggiato tra Firenze, Roma e Venezia: la pittrice infatti dipinge il quadro a Napoli, città in cui era giunta nella primavera del 1630 invitata probabilmente dal duca di Alcalà (vicerè di Napoli) e dove morirà nel 1653. Napoli in quel periodo era un grande centro di sviluppo dell’arte, ricca e affollata di personalità di spessore europeo, sede di personalità politiche spagnole e faro per tutto il Meridione. Era una città dove il mercato dell’arte era floridissimo e dove l’arte e l’architettura stavano vivendo un momento di grande valorizzazione. La presenza spagnola in quella città aveva dato la possibilità a molti pittori di lavorare: Domenichino, Simon Vouet, Velàsquez, Poussin, Massimo Stanzione, Viviano Codazzi, Charles Mellin, Giovanni Lanfranco, Bernardo Cavallino, Domenico Gargiulo e altri avevano dipinto e dipingevano nella città proprio nel periodo in cui Artemisia vi giunse. Spostarsi a Napoli voleva dire avere un’occasione importante per la carriera e la pittrice riuscì benissimo ad integrarsi in questo clima, assorbendo molte caratteristiche stilistiche dai dipinti dei suoi colleghi, con cui spesso lavorava e si confrontava in vere e proprie interazioni creative. Artemisia, guidata dall’amico e collega pittore Massimo Stanzione, il Guido Reni napoletano, impreziosì la tecnica, scurì le luci e aumentò i contrasti, i suoi dipinti si allargarono verso una dimensione più monumentale e le sue donne si vestirono di tessuti suntuosi, pesanti e luminescenti che la pittrice riusciva a rendere con pennellate morbide e vibranti. Le pelli si arrossarono, le vesti si macchiarono e i panneggi si stratificarono, i volti divennero languidi, l’atmosfera evanescente e rubensiana e gli sfondi si scurirono, mettendo in risalto gli occhi lucidi e luccicanti delle sue donne.
Clio è un esempio di questa evanescenza luminosa e dello stile lumeggiato che era amato e praticato a Napoli e testimonia quanto Artemisia sia stata inserita in quella cerchia di pittori di cui abbiamo parlato prima. Forse influenzata dalle effigi femminili di Stanzione e sicuramente dalle allegorie di Vouet, Artemisia dipinse la musa su committenza del duca di Guisa, Carlo di Lorena. L’opera raffigura una donna statuaria inondata di luce, coronata di alloro in una pesante veste azzurra e rossa quasi come un raso che luccica, mentre tiene la mano sinistra sul fianco e con la destra regge una tromba. Accanto allo strumento si può vedere un libro aperto con un’ iscrizione leggibile:
1632/ Artemisia faciebat/ all Illuste M(emoria) /Sngre/. Rosier(e)s.
Questa misteriosa iscrizione è in realtà l’indizio che svela da una parte l’iconografia e dall’altra chi si celava dietro la committenza: il nome che compare è infatti stato collegato a François Rosieres, autore del trattato storico-genealogico sulla casa di Guisa, commissionato dal padre del duca e pubblicato nel 1580, lo Stemmata Lotharingiae ac Barri Ducum, dove lo storico Rosiers rivendicava l’importanza della stirpe del duca, collegando la sua discendenza direttamente a Carlo Magno. Con questo riferimento si capisce dunque come la musa dipinta da Artemisia non sia altro che un omaggio a un uomo che ha reso immortale una stirpe, quella dei Lorena, attraverso il suo trattato: all’esecuzione del dipinto Rosiers era infatti già deceduto, e per esprimere l’importanza storica di questo compilatore non più vivente, il duca commissionò alla pittrice non un ritratto postumo del Rosiers, ma un tributo allegorico, la musa della Storia, capace di mantenere in vita nei secoli il ricordo e l’importanza di una famiglia come quella dei Lorena, celebrata dal trattato citato ed esemplificata dal nome del Rosiers, ricordato dalla musa come un eroe.
Clio però non fu sempre così identificata: prima delle ricerche degli anni 80 si pensava che dietro questa musa si nascondesse l’allegoria della Fama, donna coronata e alata, poiché l’ombra dietro le spalle di Clio veniva letta come un residuo delle ali tipiche dell’allegoria. Smentita questa lettura attraverso analisi radiografiche, possiamo dire che Clio è sempre stata Clio, e che il suo messaggio era chiaro fin dall’inizio. D’altra parte anche confrontando l’iconografia della musa con un dipinto più o meno contemporaneo di Jusepe di Ribera, Clio, vediamo gli stessi attributi che vengono ulteriormente avvalorati da quanto ci dice l’Iconografia di Cesare Ripa:
«Rappresenteremo Clio Donzella con una ghirlanda di lauro, che colla destra mano tenga una tromba e colla sinistra un libro, a cui di fuori sia scritto HERODOTUS».
(In altre edizioni del testo del Ripa compare TUCIDIDES, ma essendo entrambi autori storiografici greci il senso emblematico del libro di Clio non cambia).
Infine Artemisia compare anch’essa nel libro, poiché vi pone la sua firma. Il dialogo così diventa triplice, ed escluso lo spettatore dallo sguardo della musa che guarda verso l’alto, restano solo Clio, Rosiers e Artemisia che, apponendo la sua firma nel libro della storia, forse auspicava anch’essa ad essere ricordata in eterno.
- Joe Wright. La danza dell’immaginazione: una monografia a cura di Elisa Torsiello - 12 Ottobre 2018
- Crack is Wack/ Don’t believe the hype: Keith Haring e la musica - 2 Maggio 2018
- Che cosa vuol dire trasgressione: un viaggio nei significati - 28 Febbraio 2018
…proprio la settimana scorsa, visitando gli Uffizi a Firenze, l’esperta e guida del nostro gruppo ci ha parlato di Artemisia e della sua triste storia che qui non leggo…… Il pittore a cui suo padre l’aveva affidata in bottega la violentò, lei lo denunciò verbalmente al padre e si sparse la voce, le furono amputati i due diti pollici, però continuò a dipingere e la sua arte si tinse di rosso sangue e di aggressività verso le figure maschili….
Ho letto anche io di questo, della violenza che la pittrice ha subito e del processo che è stato fatto al suo aggressore. non sempre gli studiosi associano il suo cambiamento di stile a questo tragico evento. Riconosco che è stato un evento terribile e mostruoso che alcuni studiosi però non reputano nemmeno come certo, e non ne ho parlato per concentrarmi più sulla sua arte più che sul suo vissuto evitando di mettere troppa carne al fuoco. Ti ringrazio comunque per aver fatto questo commento e per aver letto con attenzione l’articolo! Le osservazioni servono 🙂
Articolo eccellente. Vorrei sapere di più sui simboli di questo dipinto.