L’uomo, da sempre, ha costruito pensando a se stesso e usando se stesso come parametro di misura: si può quindi parlare di autorappresentazione nel mondo del costruire.
Parimenti la simmetria è l’accordo armonico fra le parti della stessa opera, e fra le parti separate la rispondenza della parte considerata nei confronti dell’aspetto dell’intera configurazione. Come nel corpo dell’uomo la caratteristica dell’euritmia è proporzionata dalla misura, nel piede, nel palmo, nel dito e nelle altre parti, così è nelle realizzazioni delle opere. (Vitruvio, De Architectura)
Dall’inizio dei tempi l’uomo ha sempre costruito e quindi misurato servendosi di strumenti eterni e preziosi perché legati all’uomo stesso. L’autorappresentazione nella misura è intesa come partitura silenziosa del mondo che crea l’aspetto compositivo dell’opera, il corpo dell’uomo costituisce quindi un riferimento costante per l’unità di misura del mondo in cui è immerso.
Trovare una regola che disciplini la costruzione equivale a regolare l’attività del costruire in modo tale da raggiungere l’effetto finale desiderato di equilibrio e bellezza. L’architettura più rappresentativa dell’uomo, in questi termini, è l’architettura classica, che raffigura, ad esempio, con la colonna l’uomo nella sua interezza, e con le cariatidi l’emblema di questa autorappresentazione.
L’individuazione delle regole della composizione architettonica non fu semplice, Vitruvio nel suo trattato ci spiega come le strutture dei templi greci sono tutte riconducibili a dei moduli: multipli e sottomultipli per regolarne la costruzione.
Concetto tra i fondanti di questo criterio è l’eurythmia, «l’armonica combinazione delle parti che interagendo tra loro costituiscono il tutto»: questa tesi si rifà completamente all’armonica proporzione che, costruttrice della forma, è presente in natura e nella morfologia umana, animale e vegetale.
Il voler rappresentare l’uomo con le sue proporzioni, i suoi numeri e la sua armonia non solo nelle arti visive ma anche in architettura è autorappresentazione e riproposizione dell’equilibrio armonioso che l’uomo possiede. Coinvolgere il corpo nello sviluppo ritmico dell’arte del costruire per dar vita ad una struttura armonica è ricerca di un sistema proporzionale che parta dall’uomo stesso e dalla logica del corpo, e che regoli gli spazi vissuti.
Quando si iniziò a costruire nel mondo classico si ebbe la necessità di avere un modello a cui rifarsi per le proporzioni, la resistenza e l’eleganza, così il corpo umano diventa il modello architettonico per eccellenza nella mimesi della natura da parte dell’arte. Il passaggio fondamentale per la creazione delle misure-modulo nell’arte classica è quello dalla struttura lignea a quella in pietra dei templi. Nelle prime costruzioni templari ciò che guidava la costruzione era la natura del materiale stesso, ovvero il legno, con le sue leggi e le sue dimensioni, il passaggio alla pietra necessita di norme per stabilire regole e criteri per la costruzione sia a livello estetico che strutturale. Per esempio la colonna dorica è alta sei volte il suo diametro di base, come l’uomo, all’incirca, è alto sei volte la lunghezza del suo piede. I tre stili classici per eccellenza (dorico, ionico e corinzio) sono diversi nelle proporzioni poiché furono adottati da tre diverse popolazioni che ricavarono il sistema numerico in base ai rapporti delle loro parti del corpo.
Successivamente anche Leon Battista Alberti in De Re Aedificatoria riafferma questo concetto, spiegando che l’ossatura dell’uomo diventa riferimento per la struttura dell’edificio.
La proporzione non è una misura stabilita, ma analizza invece il rapporto indipendentemente dai valori delle singole parti, per questo può essere applicata ad ogni singola costruzione; da qui la necessità di un modulo come principio di progettazione e rappresentazione dello spazio.
«Il centro naturale del corpo umano è l’ombelico; infatti, se un uomo fosse messo supino, con mani e piedi stesi, e gli venisse messo un compasso nell’ombelico, il cerchio tracciato toccherebbe le dita delle mani e dei piedi. E così come è possibile inscrivere un corpo in un cerchio, allo stesso modo è possibile inscriverlo in un quadrato: se si prenderà la misura dai piedi fino alla sommità del capo e la stessa misura verrà rapportata a quella delle braccia distese, l’altezza sarà uguale alla larghezza, così come avviene nel quadrato». (Vitruvio)
Vitruvio ribadisce il riferimento logico per la costruzione: l’antropometria.
Anche Leonardo da Vinci, riprendendo lo studio dell’uomo vitruviano, conferma lo studio delle proporzioni umane, spiegando che la distanza «da esso gomito al termine della spalla fia la ottava parte di esso omo». Una misura che coincide con quella della testa, giacché scrive: «Dal di sotto del mento alla somità del capo è l’ottavo dell’altezza de l’uomo».
Dopodiché continua e conclude: “Tutta la mano fia la decima parte dell’omo […]Il piè fia la settima parte dell’omo. Dal disotto del piè al disotto del ginochio fia la quarta parte dell’omo. Dal disotto del ginochio al nasscimento del membro fia la quarta parte dell’omo».
Nel periodo moderno il concetto di modulo viene ripreso da Le Corbusier con il suo Modulor. Il termine deriva da “module” e “section d’or”, unità di misura e sezione aurea, concepito intorno al 1940. L’architetto dopo aver letto e studiato i trattati di Vitruvio, l’uomo vitruviano rivisto da Leonardo da Vinci e i lavori di Leon Battista Alberti, elaborò il Modulor. Questo studio nasce dalla riflessione nata nell’età della macchina, dove il modulo non viene più ricondotto all’uomo ed ai suoi bisogni quanto alla produzione industriale e agli elementi strutturali standardizzati.
Egli ricorre con questa figura a schemi proporzionali ed armonici riferiti alla scala umana che in questo modo governerebbe il tutto. Elaborato per creare spazi misurati sulle reali dimensioni dell’uomo, si basa sullo studio della figura umana e dell’ingombro dei movimenti dell’uomo, basandosi sulla sezione aurea e sulla serie di Fibonacci, cercando proporzioni geometriche e matematiche relative al corpo umano per migliorare la funzionalità delle opere costruite per l’uomo e riportare l’uomo e le sue dimensioni al centro dell’architettura.
Graficamente viene rappresentata una figura umana stilizzata, con un braccio alzato e con accanto, in verticale, due scale dimensionali verticali, la serie rossa basata sull’altezza del plesso solare e la serie blu basata sull’altezza della figura umana per intero, doppia rispetto la prima. Secondo l’autore il Modulor apportava armonia ad ogni dimensione delle costruzioni dagli armadietti alle porte e agli spazi urbani.
Il Modulor è la sintesi del sistema “metro” (misura comoda, universale ma estranea all’uomo) e del sistema “piede-pollice” (attento alla figura umana ma difficile da gestire), è un sistema che si esprime attraverso misure e non attraverso cifre come fanno i due precedenti. L’Unité d’Habitation de Marseille costituisce il primo caso di applicazione progettuale e costruttiva del Modulor: l’uomo è la scala all’interno della quale è possibile parlare di misure.
Il modulo è una legge formale che vincola e controlla le costruzioni classiche, un sistema di relazioni proporzionali tra le singole parti e l’opera nel suo complesso.
A differenza delle altre arti l’architettura non può porsi la mimesi naturalistica come unico obiettivo, instaurando invece un sistema strutturale dell’ordine naturale, estrapolando proporzioni e rapporti appartenenti alla natura e all’uomo.
In architettura, infine, quella di autorappresentarsi è un’esigenza: ogni epoca ha trasmesso, attraverso la costruzione delle sue opere in un determinato contesto storico, i suoi ideali, perché attraverso la monumentalità vengono rappresentate potenza e grandiosità della società che la governa.
Donatella Incardona
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