L’autoritratto, ossia la rappresentazione che un artista esegue di se stesso, può essere considerato un efficace mezzo per la celebrazione personale. I mezzi tecnici che, attualmente, possono essere sfruttati sono molteplici, ma durante il Rinascimento, quando i cellulari non esistevano, le possibilità espressive erano vincolate soprattutto alla pittura e alla scultura. Per citare alcuni casi celebri in quest’ultimo ambito, si fa riferimento alle due piccole teste di Lorenzo Ghiberti che sporgono da due lobi rispettivamente della porta est e della porta nord del Battistero fiorentino. Il selfie, conosciuto come un fenomeno fotografico, molto diffuso poiché ognuno di noi è in grado di scattarsi una foto nella quotidianità, nell’atteggiamento che più piace o ritenuto più rappresentativo, si ispira, a ritroso nel tempo, all’autoritratto di cui può essere considerato anticipatore.
Trasmettendo un’immagine, quasi sempre positiva, idonea a descrivere la personalità dell’individuo ritratto, il selfie non richiede particolari competenze tecniche, abilità necessarie, invece, a coloro che hanno voluto celebrare se stessi prevalentemente su tela. Spesso il soggetto si serve di accessori e attributi utili a connotare il proprio essere e, come oggi, anche in età moderna gli artisti, che non godevano di mezzi tecnologici adeguati, promuovevano la rispettiva attività autorappresentandosi, smesso con gli strumenti del mestiere. Diffuso già dal Medioevo, anche se non concepito come genere autonomo ma vincolato a un contesto figurativo specifico, l’autoritratto ottenne dignità artistica a partire dal Rinascimento. In un clima culturale totalmente rinnovato, che mostrava interesse per l’uomo in quanto tale, trovò terreno fertile lo studio del volto e delle molteplici espressioni, legate alle passioni e ai sentimenti. La nuova concezione filosofica umanistica, antropocentrica, dedicando ampio respiro alle riflessioni sull’animo umano, aveva individuato una sorta di corrispondenza tra i sentimenti e le espressioni del viso, soprattutto degli occhi. Contributo fondamentale per raggiungere una tale consapevolezza è stato fornito dalla fisiognomica. Disciplina di tipo pseudoscientifico, la fisiognomica si occupa di studiare l’aspetto fisico delle persone, in particolare i lineamenti e le espressioni visuali, per poterne dedurre le caratteristiche psicologiche specifiche e l’inclinazione caratteriale. In realtà tale disciplina oggi non gode più di credito scientifico, essendo stato ritenuto impossibile stabilire una correlazione accertata tra l’aspetto fisico e l’indole morale; tuttavia, c’è ancora chi crede, basandosi su attendibili scoperte genetiche, che alcune caratteristiche fisiche siano scelte e ricercate dall’individuo sulla base della propria inclinazione psichica. Nonostante tale sapere abbia visto il suo trionfale sviluppo nell’Ottocento grazie all’iniziativa di Cesare Lombroso, antropologo e criminologo italiano, che decise di applicare tali ipotesi alla criminologia forense, già durante il Rinascimento, Leonardo, così come anche Michelangelo, rimasero molto affascinati dall’attento studio sul volto umano e le conseguenti modalità di rappresentazione. Grazie all’introduzione di nuovi materiali, oltre all’introduzione di nuove modalità disegnative che favorirono molto la pratica chiaroscurale e la resa coloristica dei dipinti; inoltre, grazie a perfezionati specchi convessi, tra Quattrocento e Cinquecento cominciò ad essere favorito l’uso di un modello compositivo che prediligeva la posa di tre quadri, con lo sguardo del protagonista non frontale ma obliquo. In un clima rigenerato e molto stimolante, ciò che risulta fondamentale per l’affermazione dell’autoritratto è la celebrazione dell’artista in quanto tale.
Da semplice artigiano, perché ancora vincolato all’applicazione delle sole conoscenze tecniche apprese durante la rigorosa attività di bottega, adesso l’artista ha acquistato dignità culturale, una volta riconosciuto lo spessore intellettuale nascosto dietro il proprio lavoro. Ottenuto, quindi, un certo rilievo in campo umanistico, scientifico e intellettuale, secondo la scala sociale dell’epoca, il pittore cominciò ad avvertire il desidero di firmare le proprie opere per celebrare se stesso in quanto artefice del suo lavoro. In un contesto tale non aveva più importanza soltanto la tela o la scultura ma anche chi ne era stato il padre, tanto da consentire ai rispettivi volti l’onore di essere raffigurati. Il processo di crescita intellettuale dell’artista è testimoniato dal riconoscimento dell’autoritratto come genere autonomo, in cui l’autore dell’opera è anche protagonista assoluto della stessa. La storia dell’arte offre una panoramica piuttosto ricca di un genere che si è fatto apprezzare grazie a celebri pittori italiani e ma anche del Nord Europa. È ben noto il caso di Albrecht Dürer che dimostrò di avere un’attenzione quasi maniacale per la propria figura, arrivando a realizzare una cinquantina di autoritratti.
Oltre ad alcuni che lo immortalano in vari momenti della vita, in particolare durante la gioventù, l’Autoritratto con fiore d’eringio vuole dare un assaggio dell’aspetto privato del pittore poiché probabilmente destinato alla fidanzata. Inoltre, Dürer si impegnò nel ritrarsi nei panni di molti personaggi presenti nelle sue composizioni, prendendo parte diretta alle scene da lui concepite. In questa ottica il repertorio figurativo nordico presenta una serie di esempi di quello che viene definito il criptoritratto, ossia un ritratto non esplicito in cui spesso un soggetto è difficilmente riconoscibile, che ebbe particolare successo in ambito fiammingo. È il caso di Jan van Eyck che, nel suo Ritratto dei coniugi Arnolfini, volle autorappresentarsi riflesso nello specchio appeso al muro sullo sfondo. Tale artificio venne poi ripetuto sfruttando la superficie lucida e riflettente dello scudo della Madonna del canonico Van der Paele. Nel contesto italiano si trovano ulteriori illustri casi: Sandro Botticelli, con portamento fiero, fissa negli occhi lo spettatore, confondendosi tra i partecipanti alla sua Adorazione dei Magi. Ancora, Pontormo si dipinge mentre assiste alla Deposizione, Piero di Cosimo prende parte alla Liberazione di Andromeda, e Michelangelo si rende palese nel volto deformato e scorticato del San Bartolomeo della Cappella Sistina. Impossibile non citare l’Autoritratto entro uno specchio convesso del Parmigianino, costruzione che denota anche una certa abilità del pittore nell’utilizzo di tecniche prospettiche deformanti la figura, qui resa oblunga da un complicato meccanismo ottico. Infine, di fondamentale rilievo l’autoritratto di Raffaello nella Scuola di Atene, collocato, quasi a confondersi, insieme ai grandi sostenitori della filosofia razionale.
Svincolato da un’ambientazione generica, il soggetto riempie la scena talvolta trascurando il suo reale aspetto ma assumendo dei ruoli particolari tratti dal repertorio storico, allegorico e mitologico. È celebre il caso di Artemisia Gentileschi, originale anche perché pittrice in un’epoca, il Seicento, che non agevolava l’arte interpretata dalle donne, che era avvezza a ritrarsi nelle vesti di figure allegoriche come nell’Autoritratto come allegoria della Pittura, o come eroina classica, come nel caso del suo Autoritratto come martire.
Di eguale intensità emotiva, ma più violento nell’iconografia, il Davide con la testa di Golia di Caravaggio ha dato adito ad interpretazioni in chiave psicoanalitica: pare, infatti, che l’autore si sia voluto personificare nel volto del gigante decapitato. Il pittore, ormai vecchio e stanco, appare così sconfitto e moribondo, in una condizione, quindi, che rispecchia una fase della sua vita privata.
L’apprezzamento di questo genere artistico è testimoniato anche dalla nutrita collezione di autoritratti ancora conservati negli spazi privati del fiorentino Corridoio vasariano; qui, infatti, lungo le pareti del complesso che corre attraverso Firenze per circa un chilometro, sono depositati più di 80 autoritratti nati con il preciso intento di essere destinati a questo spazio. Oltre ad offrire un quadro piuttosto completo delle varie correnti e scuole pittoriche italiane, che si sono susseguite nei secoli, gli autori dei dipinti hanno voluto, in un certo senso, consegnare il proprio volto, e di conseguenza la propria sfera più intima e personale, alla storia, conferendo ancora più lustro alla categoria.
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