L’annunciata incisione del capolavoro bachiano diretto da Sir John Eliot Gardiner – la Passione secondo Matteo BWV 244 – lo scorso settembre e di cui abbiano già avuto il piacere di raccontare è da quest’anno realtà: l’intero concerto, avvenuto nella monumentale cornice del Duomo di Pisa, è contenuto in un cofanetto con doppio CD e un dettagliato libretto che comprende, tra l’altro, un’introduzione alla «grande Passione di Bach», un breve diario delle prove e naturalmente il testo completo della Passione, il tutto disponibile in tre diverse lingue (ma non in italiano).
Un’esecuzione completa della Passione secondo Matteo è già di per sé un evento, ma quando questa esecuzione diviene la seconda incisione firmata da un direttore del lignaggio di Gardiner allora la cosa assume un rilievo decisamente importante. Anche in considerazione che questo CD segue di ventotto anni l’unica altra incisione discografica diretta da Gardiner e le differenze tra le due versioni – a livello interpretativo – non sono poche, prima fra tutte la particolarissima tinta che il Maestro è riuscito a evocare nell’esecuzione pisana (che, tra l’altro, è possibile ascoltare anche su Spotify).
Tuttavia ciò che colpisce maggiormente di questa esecuzione, e che traspare nitidamente anche dall’incisione, è lo straordinario rigore esecutivo che Gardiner riesce a coniugare con un’interpretazione di squisita e intensa musicalità: mai come in questo caso si è udita la sofferenza e la crudeltà (agghiacciante la risposta del coro Laß ihn kreuzigen!) trasudare dalle pagine Passione secondo Matteo, la tensione drammaturgica viene tesa fino all’estremo limite… ma anche l’aspetto consolatorio, che brilla di umana intensità, tocca nuovi vertici tanto nelle parti soliste quanto nei meravigliosi cori. Detto più semplicemente, Gardiner è riuscito a raggiungere un altissimo livello di equilibrio tra perfezione nell’esecuzione e profonda comprensione della partitura; un livello sicuramente già raggiunto nell’incisione del 1989 ma che qui raggiunge vette decisamente più elevate, proprio grazie all’interiorizzazione del forte elemento umano che rende questa Passione così grande.
Un gran merito nel raggiungimento di questo straordinario risultato va sicuramente agli English Baroque Soloists che confermano una volta di più – se fosse ancora necessario – l’essere una delle migliori orchestre barocche (se non una delle migliori orchestre tout court) del panorama internazionale, capace di uno stile esecutivo così caratteristico da risultare immediatamente riconoscibile. Un autentico “marchio di qualità” si potrebbe dire! Mirabile la duttilità di questa selva di flauti traversi, oboi da caccia, oboi d’amore, viole da gamba, contrabbassi, addirittura doppio organo, capace di evocare sonorità diafane e rarefatte e di ammantare di misticità gli interventi del coro.
Venendo al cast vocale, riconosco che ognuno dei solisti meriterebbe un’attenta analisi; ad ogni modo è ammirevole che la maggior parte di questi siano componenti del prestigioso Monteverdi Choir, di cui si discuterà a breve. Pur non volendo indugiare eccessivamente su questo aspetto, sarebbe imperdonabile non elogiare il soprano Zoë Brookshaw, l’ottimo controtenore Reginald Mobley e il basso Alex Ashworth. Davvero molto intensa e toccante l’interpretazione del basso Stephan Lodges, un Gesù ieratico e dal timbro quasi ultraterreno ma allo stesso tempo saturo della sua humanitas. A suo tempo affermai che la palma del miglior interprete spetta al tenore James Gilchrist, oggi confermo una volta di più quel giudizio: la sua ammirevole vocalità risulta ancor più splendida grazie alla sua impeccabile tecnica e alla grande comunicatività che sa rendere partecipe ogni singolo spettatore del racconto della Passione.
A questo punto, è giusto parlare del secondo grande protagonista – assieme a Gilchrist – della Matthäus-Passion e cioè il coro che, come già anticipato, in questo caso era il Monteverdi Choir unito al Trinity Boys Choir che forniva il soprano in ripieno. Senza la presenza di questa compagine corale, la Passione sarebbe stata indiscutibilmente più povera, meno commovente. L’estrema precisione nell’esecuzione e nell’intonazione, la capacità di passare in poche battute da interventi di una drammaturgia sostanzialmente teatrale a corali dal gusto spiccatamente chiesastico, dall’esaltazione di uno spirito ora apollineo ora dionisiaco (conflittualità su cui si fonda buona parte dello spirito della composizione), lo rendono forse l’elemento più interessante dell’intera esecuzione.
Concludendo, è sorprendente notare come coro e orchestra si sentano liberi nell’esecuzione. Liberi di eseguire ciò che vuole Gardiner, naturalmente. È proprio grazie alla profonda conoscenza di Sir Eliot Gardiner della materia bachiana in generale e di questa Passione in particolare che si è giunti al risultato che oggi possiamo ammirare: il rigore intellettuale e la sensibilità musicale di Gardiner hanno saputo aggiungere una parola nuova sulla Matthäus-Passion, così come il Monteverdi Choir e gli English Baroque Soloists hanno saputo seguirlo e fornirgli gli strumenti adatti per farlo. Questa incisione – non ultimo anche per l’eccellente qualità, da studio – si pone indiscutibilmente come una delle interpretazioni di riferimento per le future esecuzioni di quel capolavoro che porta il nome di Passione secondo Matteo.
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