La questione delle periferie urbane di Francia all’alba delle presidenziali 2017
«Racaille!». Feccia, plebaglia. Era il 2005 quando il giovane ministro dell’interno del governo postgollista, Nicolas Sarkozy, lanciava i propri strali contro le periferie urbane delle grandi città di Francia. La rivolta delle banlieues aveva scatenato una vasta composizione sociale in episodi durissimi di guerriglia urbana iniziati nell’ottobre di quell’anno nel dipartimento della Seine-Saint-Denis, a nord della Capitale. Tensioni razziali e religiose, politica della “tolleranza zero” da parte della Droite, uscita vittoriosa dal clamoroso ballottaggio Le Pen – Chirac del 2002, presenza di sacche ghettizzate di marginalità sociale proprio al fianco dei grandi centri metropolitani: un mix pericolosissimo, esacerbato dalle violenze della Police nationale. Quasi 2.600 arresti si susseguono in un mese di tumulti, con un panorama di auto date alle fiamme, notizie di gas lacrimogeni lanciati dalla polizia in una moschea durante un momento di preghiera.
Per quale motivo recuperare tali notizie, ormai antiche di quasi una dozzina d’anni? Perché la pancia della France profonda, che il 23 aprile sarà interrogata nel primo turno elettorale per la scelta del nuovo presidente della Repubblica, ha ancora inciso il ricordo di quel periodo, con tutto il carico di problematiche irrisolte e di percezione d’insicurezza da parte delle classi sociali rese ancora più fragili prima dalla crisi economica esplosa nella parte terminale della presidenza Sarkozy e poi dalla stagnazione del quinquennio diretto dal socialista François Hollande.
Il quinquennio di Hollande, segnato ulteriormente dalle difficoltà nella gestione dei flussi migratori – si ricordi l’episodio rivelatore dello sgombero dell’immensa bidonville di Calais, autentica periferia dell’Impero sita alla frontiera fra Regno Unito e Francia – e dai numerosi mesi sotto état d’urgence in ragione dei numerosi attentati terroristici, non ha fermato la sempre più forte depoliticizzazione degli abitanti delle periferie. Se alcune amministrazioni locali socialiste (Parigi, Lille, Lione) si sono impegnate in ampi progetti di rassetto urbano, la presenza del governo centrale si è caratterizzate per un’impronta esasperatamente securitaria, in modo particolare nel corso dei due mandati da primo ministro di Manuel Valls (2014-1017), già ministro dell’Interno fra 2012 e 2014. Come rammentato dal sociologo Olivier Roy dello European University Institute di Fiesole, ruolo particolare ha assunto l’assenza della sinistra politica: se, da un lato, lo stato di emergenza ha ristretto lo spazio delle libertà, la gauche ha ridimensionato il proprio impegno politico per le periferie. Da qui gli elevati tassi di astensione nelle banlieue, in modo particolare fra i giovani figli d’immigrati. Da qui, a detta di Olivier Roy, la sensibilità di alcuni di questi giovani per un discorso islamista radicale, diverso dalla fede dei genitori: ad una fede intesa come matrice culturale e linguistica si sostituisce un discorso più politicizzato e radicale.
Se nelle periferie del comunitarismo più settario non ha più sede una politicizzazione che rivendica lavoro e diritti, si apre lo spazio per l’insediamento della destra estrema, che capitalizza – secondo una ricerca del centro studi CEVIPOF di Sciences Po Paris diretto da Martial Foucault – oltre il 40% del voto degli operai, il 35% dei funzionari ed il 29% dei lavoratori inattivi. Il Front National come spazio di rivendicazione politica per chi non ha spazio, contro una gauche insediata nelle classi sociali più agiate ed illuminate dei centri metropolitani. Un elemento di rappresentazione per le paure degli individui, traslate ad un livello collettivo, tradotte in una mera esigenza di ordine pubblico, come fatto da Manuel Valls nei suoi anni alla guida del governo.
Se non è emersa una debordante rivolta delle periferie come nel 2005, alcuni episodi potrebbero essere segnali preoccupanti. All’inizio del febbraio di questo anno, un giovane ventiduenne delle periferie, Théo, è stato oggetto di violenza sessuale da parte di una pattuglia di polizia ad Aulnay-sous-Bois, cittadina di 80mila abitanti della Seine-Saint-Denis. Hollande ha dichiarato immediato solidarietà al giovane, contribuendo a bloccare un nascente scontro fra polizia ed abitanti della periferia. Il tema, tuttavia, è il rischio costante che ad un discorso pubblico antirazzista ed inclusivo con i retorici richiami al repubblicanesimo francese si sostituisca una narrazione escludente e non retorica, svuotando lo spazio di agibilità per una rappresentanza politica che ponga le condizioni per una vivibilità reale dei quartieri periferici delle metropoli, per un loro pieno inserimento nelle reti di protezione sociale – evitando dunque la dimensione del ghetto – e per la promozione di lavoro dignitoso per i più giovani. Di certo, una presidenza come quella di François Hollande ed un esecutivo come quello di Manuel Valls, che hanno promosso proprio lo scorso anno una legislazione sul lavoro (Loi Travail) che ha trovato la ferma opposizione non solo delle strutture tradizionali di rappresentanza sociale (sindacati, reti di precari) ma anche la dura contestazione di parti consistenti dell’opinione pubblica, non garantiscono condizioni di piena agibilità per certe parole d’ordine che possono evitare una nuova esplosione delle periferie urbane di Francia.
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