Il Bello del Classico: Lussu e il suo altipiano


Un anno sull’altipiano

Quella sigaretta creò un rapporto improvviso fra lui e me. Appena ne vidi il fumo, sentii anch’io il bisogno di fumare.

Si concluderanno a fine mese i 100 anni che ci separano dalla prima guerra mondiale. Un lasso di tempo considerevole, squassato da ulteriori atroci conflitti, spesso conseguenza di quel primo scontro globale, gioco al massacro poi ribattezzato guerra di posizione, o di logoramento, le cui catastrofiche conseguenze hanno influenzato per decenni la vita politica, sociale ed economica del nostro continente. In quel peccato originario si muovono i racconti autobiografici di Emilio Lussu, ufficiale di complemento, scrittore e politico di origini sarde.

cover_18Dei numerosi scritti di Lussu, Un anno sull’Altipiano è l’opera più celebrata. Un collage di situazioni piuttosto che un romanzo. Una lucida testimonianza in bilico fra resconto e appassionata rievocazione. Scritto fra il 1936 e il 1937 in un sanatorio di Clavadel, dove l’autore era ricoverato in seguito a una malattia polmonare contratta nelle carceri fasciste, Un anno sull’Altipiano uscì nel 1938 a Parigi, per le Edizioni Italiane di Cultura, mentre nei confini nazionali fu Enaudi a darlo alle stampe, nel 1945, dopo la Liberazione. Il racconto comincia a guerra iniziata. È il 1916: il sogno di una rapida vittoria è gia svanito e il conflitto comincia a rivelarsi nel suo tragico iimmobilismo. Lussu ci accosta alla verità gradualmente. Le prime pagine irridono con sottile sarcasmo l’idealismo – pericolosamente ingenuo, talvolta fanatico – che animava la vita politica del tempo. I brindisi e le fanfare, i tributi alla Corona e al Regno suonano alieni ai soldati già duramente provati dalle battaglie sul Carso: «Per noi, era ormai diventato insopportabile» scrive Lussu. «Ogni palmo di terra ci ricordava un combattimento o la tomba di un compagno caduto».

Altro orrore li aspetta più a nord, alle pendici delle Prealpi venete, sull’altopiano di Asiago. Gli austriaci sono lì, interrati a meno di duecento metri – a volte solo cinquanta – ma perlopiù invisibili, protetti da impenetrabili garbugli di filo spinato. Simile è la morte, come ce la racconta Lussu, intangibile nel suo duplice aspetto: un proiettile vagante e anonimo, una scarica d’artiglieria improvvisa nelle ore di calma; certezza dell’irreparabile nei momenti di sospensione che precedono gli attacchi frontali, privi di strategia, orditi da ufficiali inesperti e ottusi, quando non completamente folli. Fra questi spicca la grottesca figura del generale Leone, uomo dissennato che i soldati imparano presto a odiare e ribattezzano “il macellaio”. Leggendo Un anno sull’altipiano non potrete dimenticare i suoi occhi freddi e roteanti, che Lussu ricorda di aver visto in manicomio. Il biglietto da visita di questo generale è fra gli episodi più dolorosi. Appena arrivato in trincea, Leone si sporge oltre il parapetto per ispezionare le linee nemiche in un’ostentata esibizione di coraggio. Poi ordina a un caporale d’imitarlo. Le vedette austriache sono ormai allertate e il caporale viene ferito a morte, con grande ammirazione del generale, che gli tributa una lira d’argento.

La scrittura di Lussu, asciutta, essenziale, si muove per episodi. «Io non racconto e non rivedo che ciò che maggiormente è rimasto impresso in me» dichiara l’autore. Il suo racconto è una galleria d’immagini memorabili, di personaggi esemplari e circostanze sempre intensamente drammatiche, sebbene mai esasperate. Al contrario, si respira una sorta di malinconica accettazione nelle parole di Lussu. I fatti sono lì e non occorre ingigantirli. Quando, in un momento di calma, è seduto a discorrere di letteratura con un compagno, e un cecchino glielo fredda con un colpo alla testa, c’è spazio solo per i fatti. L’assenza di commenti grida l’implicita disumanità della guerra: il romanzesco sarebbe retorica. Ma nelle pagine di Emilio Lussu troviamo anche una testimonianza più intima, rivelatrice di una coscienza tormentata. Io non seppi dirgli niente. Anch’io sentivo delle ondate di follia avvicinarsi e sparire. A tratti, sentivo il cervello sciaguattare nella scatola cranica, come l’acqua agitata in una bottiglia.

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Lussu non è un scrittore di maniera, gli espedienti stilistici cui ricorre sono pochissimi e la potenza del libro risiede nella sua scabra sincerità. Un anno sull’altipiano rappresenta una lettura fondamentale. Una piccola, preziosa macchina del tempo in grado di ricondurci attraverso le mostruosità della guerra filtrate dallo sguardo di chi, negli ideali che l’avevano innescata, ci aveva davvero creduto, per poi dover ammettere il grande inganno di fronte all’evidenza della follia, della morte e dell’orrore; e che fu capace, nonostante questi, di recuperare un barlume d’umanità fra le macerie del conflitto: riconoscendosi nel nemico, nell’impossibilità di ucciderlo mentre fuma una sigaretta.

285634_4032932391029_344287144_nFilippo Bernardeschi

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