Questo mese parliamo di un uomo che nacque filosofo, crebbe poeta e morì pazzo: Friedrich Nietzsche è stato uno dei giganti del pensiero occidentale. Uno degli ultimi grandi visionari in grado di delineare nella propria opera un mondo diverso.
Nietzsche è ascrivibile alla categoria dei filosofi perché le sue riflessioni costituivano una critica radicale della società e ne proponevano una differente, ma è definibile poeta perché la sua è una scrittura che canta: è prima di tutto un’opera letteraria.
L’ambiguità della sua poesia ebbe anche esiti disastrosi: si prestò a manipolazioni e venne sposata dai fautori di una razza superiore, contribuendo a sdoganare quell’ideologia spietata che fu il nazismo, rifornendo di carburante ideologico i fanatismi del Novecento e alimentando una visione del mondo settaria e razzista.
Eppure, l’uomo nuovo descritto da Nietzsche, sembra avere davvero poco a che spartire con un suddito ciecamente devoto al padrone, con l’individuo che seppe e volle conformarsi ai dogmi imposti dalla dittatura. Ma chi era, questo uomo nuovo? Quale il suo compito? E Perché Nietzsche lo ritenne necessario?
Il filosofo definì questo individuo Superuomo e lo proiettò nella figura del profeta Zarathustra, sceso dalle montagne dopo un lungo eremitaggio. La solitudine e il contatto con la natura portano Zarathustra alla scoperta di una dimensione interiore della quale diviene portavoce nel mondo degli uomini comuni, che in parte sembra disprezzare e in parte prendere sotto alla propria ala protettiva, come un premuroso maestro.
In quanto profeta, Zarathustra anticipa eventi, fenomeni storici oggi evidenti, come la morte di Dio e l’avvento del nichilismo. Attraverso la bocca di Zarathustra Nietzsche afferma che Dio è morto e questo è evidente dal momento che la religione e il concetto stesso di divinità hanno cessato di produrre valori, di generare prospettive, arte, futuro.
Nietzsche aveva capito che il tramonto dei valori legati al cristianesimo avrebbe aperto una fase drammatica nella vita dell’uomo occidentale: la minaccia maggiore era costituita dalla scomparsa della creatività: “Verrà il tempo in cui l’uomo non potrà più generare una stella” scrive Nietzsche in Così parlò Zarathustra.
Oggi basta dare un’occhiata intorno per rendersi conto di quanto avietate siano le previsioni di questo pensatore. I valori fondanti del cristianesimo (compassione, umiltà, carità, etc) sono stati rimpiazzati dal profitto, dalla prevaricazione, dall’apparenza. Sono ormai anni che la creatività ha lasciato il posto alla tecnica – come ricorda spesso il filosofo Umberto Galimberti – e al conformismo.
Nietzsche colpì duramente il conformismo. E oggi sembra paradossale che il suo pensiero sia stato strumentalizzato proprio da quanti fecero del gregge uno stile di vita: “Ognuno vuol la stessa cosa cosa, ognuno è simile: chi sente altrimenti va volentieri al manicomio“. Ecco allora la necessità di una metamorfosi.
L’uomo, spiega Zarathustra è solo un ponte verso il superuomo. Non siamo tutti uguali, sembra dire Nietzsche: esistono i migliori, gli eccellenti, e questi devono compiere il salto. In questo senso, il filosofo torna a invocare quella che un tempo veniva chiamata iniziazione, ovvero un’esperienza in grado di trasformare l’individuo, conducendolo a un livello superiore della propria esistenza.
Questa metamorfosi è possibile solo facendo diretta esperienza della solitudine e Nietzsche ce la descrive con una bellissima immagine, un archetipo ricorrente nelle varie fasi della civilità: si va nel deserto per scoprire la solitudine e sconfiggere il drago dei valori millenari, il Tu devi imposto dalla tradizione e dalla storia.
L’uomo è prima cammello, che si carica del fardello del passato: l’animale rappresenta l’umiltà positiva, il rispetto per la storia; diviene quindi leone per la conquista della libertà di compiere nuove opere; infine deve tornare fanciullo: non infantile, ma simile a un Dio, divenendo egli stesso una forza in grado di rinnovare la terra: il fanciullo è un ricominciare, un gioco, è creatività.
Nietzsche è dunque un filosofo dell’iniziazione e del coraggio; è un poeta dell’ardimento interiore che promulga una dottrina della crescita spirituale come passaggio indispensabile per la creazione una società che sappia fornire un senso ai singoli individui che la compongono: “Dietro i tuoi pensieri ed i tuoi sentimenti, o fratello, vi è un maestro più potente, un saggio sconosciuto, che si chiama Sè“. Un’affermazione, questa, che ricorda molto alcune dottrine orientali e che è stata ripresa anche dalla psicologia moderna, segnatamente dalla psicosintesi, con la tecnica del dialogo interiore.
L’esaltazione superomistica di Nietzsche, sebbene sembri sposare la distruzione e la guerra, vuole in realtà porre l’accento sulla necessità di evadere dal carcere piccolo-borghese che infiacchisce ogni anelito vitale, che condanna l’uomo ad accontentarsi di un piacere alla sera e uno al mattino.
Di negativo, questa visione, ha ben poco: evoca piuttosto una forza d’amore che fa dell’accetazione stoica della morte un suo fondamento; e insieme al vigore predica la dolcezza: “Vi è sempre un po’ di follia nell’amore. Ma c’è sempre anche un po’ di ragione nella stessa follia. Ed anche a me, che amo la vita, le farfalle e le bolle di sapone e tutto ciò che loro rassomiglia tra gli uomini, sembra conoscere nel miglior modo la gioia“.
Nietzsche era contro l’omologazione. Predicava la povertà. Riconosceva la natura effimera dell’esistenza. Scriveva anche cose pericolose come: “A un buon guerriero suona meglio Tu devi che Io voglio” in apparente contrasto con quanto affermato altrove e con la sua critica allo Stato: “Vogliono tutti accostarsi al Trono: è la loro follia – come se la felicità stesse sul trono!”.
Ma il suo canto, che nasceva da una profondità misteriosa e quasi incontrollabile (nel suo erompere alla superficie finì per sopraffarlo) è ancora oggi un lascito per quanti non si rassegnano alla decadenza dei tempi, e dentro di sè cercano luoghi e spazi di riconciliazione e rinnovamento.
Sebbene lo scenario attuale non lasci presagire l’avvento di una società composta da un simile essere umano, forse c’è ancora speranza per il singolo, la cui strada è costellata di pericoli: quello interiore di essere disgustati dal proprio desiderio di altezza; quello esteriore rappresentato dagli uomini piccoli e invidiosi che vorranno sabotarlo o adularlo.
Ma sempre, Nietzsche torna a esprimersi contro l’egoismo; e forse la sua eredità maggiore, prima che la follia lo costringesse al silenzio, è un incoraggiamento a proseguire il cammino cercando di aiutare chi sarà in grado d’apprendere. La più alta virtù è infatti quella che dona, anche se è possibile solo grazie a un iniziale egoismo; ma esistono due tipi di egoismo. Quello buono recita così: “La vostra anima cerca insaziabile tesori e gioielli, perché la vostra virtù è insaziabile nel voler donare“. La brama di rubare testimonia invece un corpo malato.
La più alta virtù è quella che dona un senso alla terra e lo fa operando con la forza dell’esempio: il superuomo è un medico di sè stesso che mostra la possibilità di guarirsi da solo all’allievo; e in quanto maestro vuole che il discepolo diventi a sua volta maestro; dunque lo esorta ad ascoltare, apprendere, soppesare l’insegnamento, finanche a diffidare e quindi intraprendere la strada della solitudine, per evitare il pericolo di restare intrappolato nell’adorazione di un idolo: “Che cosa accadrebbe se un giorno crollasse la vostra venerazione? Badate a che non v’uccida una statua!”.
Ma quanti, oggi, sono in grado di recepire questo messaggio?
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