Lasciati Barcellona e il tip tap di Guillem Alonso Alcalay, torniamo negli Stati Uniti con l’intervista a Bob Boross, docente di Musical, tip tap e Mattox freestyle.
1. Photo by courtesy of Bob Boross.
Bob Boross è famoso a livello internazionale per il suo contributo artistico nella danza jazz, nel tap e nel musical theatre. La sua carriera inizia come performer in produzioni di West Side Story, Godspell, Zorba, Funny Girl, The Boyfriends e The Pirates of Penzance (Pirate King). Debutta a Broadway nel 1981 nel revival di Can-Can, con coreografie di Roland Petit.
Come coreografo, tra i suoi lavori negli Stati Uniti, possiamo citare Annie Get Your Gun, Guys and Dolls, Victor/Victoria e Empy Sky…The Rising.
A livello internazionale ha collaborato con diverse realtà in molti paesi del mondo, tra cui, la Just Jazz Dance Company in Finlandia, la Millennium Dance 2000 a Londra, La Bella Vita Arts in Italia e la University of Dance and Circus a Stoccolma.
Le sue coreografie sono state commissionate in tre delle principali città americane: New York, Los Angeles e Washington DC collaborando con compagnie, festival ed eventi come ad esempio la Jazz Roots Dance company o il Velocity DC Dance Festival.
Nel 2016 Bob Boross è uno dei nove docenti di jazz dance invitati a partecipare alla conferenza del National Dance Educator’s Organization Roots of Jazz Dance tenutasi nel Rhode Island.
Bob Boross è conosciuto anche per i suoi scritti sulla jazz dance pubblicati in riviste del settore e per i suoi due libri, Image of Perfection: The Freestyle Dance of Matt Mattox e Comments on Jazz Dance 1996-2014.
Bob è laureato presso la Gallatin School della New York University e ha un M.A. in Individualized Study (jazz dance). Ha insegnato in varie università, tra cui la Illinois State University, la Western Kentucky University e la University of California, Irvine. Attualmente è professore di Jazz Dance al Marymount Manhattan College in New York City.
2. Bob mentre insegna il metodo Mattox, photo by courtesy of Bob Boross, N Link Photography.
Che cosa significa jazz Dance per lei e che cosa ama di questo stile di danza?
«Jazz e jazz dance sono un sentimento di gioia e liberazione. Sono stato attratto in primis dal jazz e dalla tap dance perché mi faceva star bene praticarle. Non ho mai smesso».
Qual è stato il suo spettacolo preferito, in cui ha ballato, durante la sua carriera e perché?
«Ho iniziato con il musical theatre all’età di diciannove anni e il mio primo spettacolo fu West Side Story. Una volta che l’ho fatto, sono stato subito rapito dal genere. Ho avuto una carriera corta come performer ma decisamente più lunga come insegnante e coreografo. Amo coreografare i musical per via della peculiare sfida coreografica che ogni spettacolo ha grazie alla sua unicità. Mi piace anche coreografare concert dance poiché è lì che posso esprimere la mia creatività al suo massimo. Sono infatti la piena rappresentazione delle mie idee e delle mie capacità espressive».
Che cos’è la jazz dance oggi? In che direzione sta andando?
«La jazz dance è stata nelle retrovie per un po’ di decadi, a causa dei cambiamenti nei gusti musicali dagli anni Quaranta e anche dei cambiamenti sociali e tecnologici. La struttura ritmica jazz non si trova molto spesso nella produzione musicale contemporanea. Così i giovani normalmente non hanno nei loro corpi i movimenti e la struttura del jazz. Negli ultimi quindici anni il jazz è stato inglobato all’interno delle classi di musical theatre. L’hip hop e la danza contemporanea sono diventate alternative che forse dicono di più ai giovani d’oggi rispetto al jazz.
Adesso invece si assiste a un risveglio dell’interesse nei confronti della vera storia e natura della jazz dance, innescato anche dall’imminente uscita del documentario sulla danza jazz Uprooted-the Journey Of Jazz Dance. Esso verrà presentato negli Usa il 19 luglio 2020 al Dance on Camera Film Festival al Lincoln Center e successivamente anche in Europa. Credo che nel prossimo futuro, verrà data più attenzione alla jazz dance grazie alla riscoperta delle sue radici e del suo valore intrinseco». (n.d.a. al momento dell’intervista il film non era ancora uscito)
3. Big Men On Mulberry Street. Photo by courtesy of Bob Boross.
Quanto è importante, per i giovani ballerini, conoscere l’eredità dei maestri del jazz?
«Se qualcuno è seriamente interessato alla jazz dance, è fondamentale studiarne la sua storia e la sua evoluzione per capire i caratteristici movimenti che derivano dalla cultura africana e da quella europea. Conoscere i concetti che stanno alla sua base ci permette poi di utilizzarli come fondamenta per un’espressione artistica che è collegata all’odierno modo di pensare».
Bob Boross, lei è stato così fortunato da studiare e lavorare con Matt Mattox. Qualche ricordo di lui che vuole condividere?
«Matt Mattox è stato un ballerino fenomenale, prima come ballerino classico, e poi nel suo lavoro nelle forme correlate alla jazz dance. La sua tecnica e le sue idee coreografiche scaturivano dalla sua immensa e personale capacità di ballare, creando una suprema sfida per chi volesse studiare con lui.
Ottenere un tale livello di abilità può soltanto essere possibile grazie a un’eccezionale etica lavorativa, e Matt richiedeva quel livello di devozione da sé stesso e da chiunque avesse intorno. Ciò fece di lui una considerevole persona da cui imparare, ma pure una persona difficile dato che si aspettava la perfezione.
Infatti, il titolo della mia tesi universitaria presso l’università di New York, Image of Perfection: The Freestyle Dance of Matt Mattox, deriva da una sua descrizione su una pubblicazione francese negli anni Ottanta. Ci sono molte storie che potrei raccontare riguardo a Matt ma preferisco lasciarvi con una riflessione – era davvero l’immagine della perfezione -».
4. Love Fell Out With Me. Photo by courtesy of Bob Boross, photographer Rick Foster.
Che cos’è il Mattox freestyle e perché pensa che per i ballerini sia importante conoscere il suo metodo?
«Questa è una domanda molto profonda. Benché sia normalmente associato con la jazz dance, Matt preferiva definire il suo lavoro freestyle.
Questo termine nacque originariamente dal coreografo di balletti classici e insegnante Eugene Loring, che coreografò anche film di Hollywood e diresse l’American School of Dance a Los Angeles da metà degli anni Quaranta. Loring creò lezioni di danza al cui interno mischiava aspetti della tecnica classica, jazz, modern e altre forme di danza. Loring definì queste sue classi freestyle per sottolineare il fatto che non c’era una singola tecnica ma un mélange dei migliori aspetti di tutte le tecniche di danza.
Matt ha danzato in molti film di Loring ed è stato anche uno studente dell’American School of Dance. Quando Matt, intorno al 1955, decise di prendere la sua strada e si trasferì a New York, creò delle classi di danza che si svilupparono dalla filosofia del freestyle di Loring. Matt unì alla sua forte tecnica classica, la sua conoscenza per lo stile di Jack Cole e altri generi come il tip tap e il flamenco. Le sue lezioni rispecchiavano aspetti di tutte queste tecniche.
Matt, come artista creativo, voleva esprimersi in tutti i modi che aveva in sé e non essere relegato solo alla danza classica o alla jazz dance. Così la filosofia del freestyle si riferisce anche alla sua creatività personale come essere umano e non soltanto alle sue classi. Se siete familiari con il suo modo di insegnare, riconoscerete che Matt ha creato nelle sue lezioni coreografie su un vasto range di scelte musicali, non solo la musica jazz. Qualcuno dei suoi esercizi e combinazioni hanno preso forma da idee derivanti dalla danza classica, dal modern o dal jazz – tutto a seconda di come si sentiva quel giorno in classe.
Matt era convinto che per jazz dance si dovessero intendere le originali vernacular dances come il Lindy, il Charleston, il Susie Q, eccetera. Il suo lavoro, con una forte influenza di danza classica e altri stili, può solamente essere definito come freestyle».
5. Bob, durante una delle sue lezioni. Photo by courtesy of Bob Boross and N Link Photography.
Ha avuto l’opportunità di lavorare in Europa e insegnare in Italia. Che cosa ne pensa del nostro paese e dei nostri ballerini? Qualche suggerimento per i ballerini italiani che vogliono approcciarsi alla jazz dance?
«Ho insegnato in Italia per alcuni workshop estivi ma la maggioranza degli studenti erano americani in vacanza studio. Vi do lo stesso consiglio che ho già dato ai ballerini di ogni nazione in cui ho insegnato.
La jazz dance si basa su una musicalità e su una sensazione corporea unica della buona musica jazz. È lo swing, sono le giunture rilassate e l’aspetto istintivo di come muoversi.
Queste caratteristiche potrebbero non essere presenti nei ballerini dei paesi non americani, a causa di differenze culturali e musicali. Perciò, consiglio di ascoltare buona musica jazz e trovare come la struttura ritmica dello swing e della musica sincopata può essere riflessa o interiorizzata nel corpo, come risposta alla musica.
Quando il corpo è rilassato e pieno di “swing” come la musica stessa è rilassata e piena di swing, allora il ballerino ballerà jazz».
Bob Boross, lei insegna anche tip tap e più di una volta ha menzionato Paul Draper e la sua influenza nel suo stile di tap con la sua particolare fusione tra tap e danza classica. Quali sono le più importanti differenze tra Draper e gli altri tap dancers?
«Certamente Paul Draper era unico nel mescolare la sensazione di leggerezza dei passi di danza classica con la qualità più pesante e terrena normalmente associata al tip tap tradizionale. La postura del busto di Draper era spesso alta e sostenuta mentre eseguiva i passi di tap usando port de bras classici. Le sue braccia non erano rilassate e ai lati del corpo. Lui colpiva il pavimento con le sue claquettes in una maniera molto leggera, non pesante o greve.
Come claquettes, ne utilizzava una molto piccola sulla punta della scarpa , limandola in modo che fosse il più sottile possibile. Per il tacco invece, utilizzava una claquettes vecchio stile a mezzaluna che i calzolai attaccavano alle scarpe da uomo per ridurne l’usura del tacco.
Draper prese anche passi dal vocabolario della danza classica e li agganciò o adattò al tap. Per esempio, lui avrebbe eseguito un assamblé nel seguente modo: invece di atterrare su entrambe le punte e poi sui talloni, Draper sarebbe atterrato in un cramp roll (metatarso-metatarso-tacco-tacco), chiudendo quindi l’assamblé coi quattro suoni tipici del succitato passo di tap.
Paul Draper fu un tap dancer solista durate gli anni Quaranta e Cinquanta ballando in spettacoli solisti, negli Usa e nel mondo. Ballò il tap sulla musica classica più spesso che sulla musica jazz».
Empty Sky…The Rising è stato un progetto ambizioso in cui lei ha utilizzato la musica di Bruce Springsteen per raccontare i catastrofici eventi dell’11 Settembre 2001. Come le è venuta in mente questa idea e come la jazz dance e il freestyle hanno avuto impatto nel processo creativo?
«Anche questa è una lunga storia. Non farò una lunga esposizione ma dico soltanto che, quando ho sentito per la prima volta il cd di Bruce Springsteen The Rising (2002), ho immediatamente visualizzato tutte le storie e i personaggi in termini di coreografia. Era come se un film fosse proiettato nella mia testa. Inizialmente ho scritto lo scenario per le nove canzoni del cd, una ogni giorno per nove giorni.
Ho impiegato più di un anno per avere la possibilità e per trovare tutte le risorse per lavorare su un progetto così grande. Dal primo workshop iniziale nel Novembre del 2003, ho creato un video stile Mtv e l’ho inviato al management di Springsteen per chiedere i diritti di utilizzare le musiche per una performance pubblica completa. Ci sono voluti diciotto mesi perché arrivasse quella decisione, garantendomi perciò il diritto di utilizzo. Da lì ci sono voluti altri dieci mesi per creare la produzione definitiva e aggiungere altre due canzoni alla performance.
Lo spettacolo è andato in scena, in anteprima, dal 7 all’11 settembre 2005 al Two River Theatre in Red Bank, New Jersey. È stata una performance evocativa e ricca di emozioni, con il racconto visivo e fisico delle storie corrispondenti alle musiche di Springsteen. Per diritti contrattuali non mi è permesso postare il video intero su Youtube, ma sul mio canale è possibile vedere qualche estratto. Sul mio sito web inoltre ci sono molte belle immagini scattate dal famoso fotografo di danza Eduardo Patino».
6. Empty sky… the Rising. Photo by courtesy of Bob Boross, photographer Eduardo Patino.
Parliamo adesso del suo lavoro come coreografo, ha un metodo o un processo specifico per creare le sue coreografie?
«Io lavoro con della buona musica che ha una forte struttura ritmica, che mi emoziona e coinvolge. Molti stili musicali non mi arrivano, perciò non reagisco a loro e non li uso. Cerco anche una struttura dell’orchestrazione che mi permetta un flusso di storie e sentimenti. Un buon esempio è il mio pezzo Mercy Street sul brano di Peter Gabriel così come viene suonato da Herbie Hancock. Il contrasto tra linee melodiche alte e basse, la ritmica e il lungo sviluppo lineare dell’improvvisazione, tutto mi suggerisce idee per sentimenti, sensazioni e azione drammatica.
Come menzionato con Empty Sky…The Rising, spesso ascolto solamente la musica e lascio vagare la mia mente per creare uno scenario in cui la musica possa essere un eccellente background. In questo modo, la musica e il movimento si integrano completamente.
Ascolto anche le qualità emozionali inerenti alla musica, le quali mi danno idee per la struttura e i movimenti. Un buon esempio è Road to Resilience, successivamente rinominato On The Brink. Ero consapevole della disputa razziale a Ferguson, Missouri nel 2015 a causa della sparatoria culminante con la morte di un teenager nero per mano di un poliziotto bianco, e della tensione e angoscia che ne derivarono. Ascoltai allora la cover di Nicholas Payton di Solea, dall’album di Miles Davis Sketches of Spain. La tensione nella musica, la sua costruzione e la sua dissolvenza all’interno del brano, mi permisero di costruire una coreografia che riflettesse la tensione e la rabbia delle persone in quella sparatoria».
7. Empty sky… the Rising. Photo by courtesy of Bob Boross, photographer Eduardo Patino.
Per anni lei ha scritto articoli sul tip tap e la jazz dance su famose riviste e recentemente le ha raccolte in un libro intitolato Comments on Jazz Dance 1996-2014. Qual è lo scopo e quali sono i suoi obiettivi dietro la decisione di pubblicare il suo libro?
«Ho scritto singoli articoli che sono stati pubblicati su numerose pubblicazioni accademiche, riviste del settore e siti web ma non ho mai avuto l’occasione di vedere la mia produzione scritta raccolta in un insieme. Ho approcciato editori adatti a questo tipo di progetto ma senza successo. Non è difficile fascicolare il tutto e poi presentarlo nella forma di un libro grazie ad Amazon. Prima avreste potuto chiamare questo libro self-published (benché ogni articolo fosse stato pubblicato singolarmente in altre pubblicazioni).
A proposito del suo valore intrinseco, quasi tutti gli articoli parlano di persone e aspetti della jazz dance che non sono stati affrontati su altre pubblicazioni. È davvero materiale unico, come, ad esempio, i miei articoli sul maestro di jazz dance Michael Owens, la mie interviste con Donald McKayle e Graciela Daniele, la mia revisione dell’album di ritagli e appunti personali di Jack Cole e perfino il mio articolo sulle mie strategie coreografiche utilizzate per creare Empty Sky…The Rising».
Ultimo ma non meno importante, quali sono i suoi piani per il futuro?
«Le risorse per la produzioni di danza sono difficili da trovare, e non ci sono virtualmente fondi in quantità sufficiente per creare una performance intera. Ho una grande scorta di impressionanti coreografie che ancora spero di riuscire, un giorno, a vedere in forma di spettacolo completo.
Non insegno a pieno ritmo come ho fatto in passato solamente poiché ho danzato per quarantacinque anni e adesso le mie ginocchia non possono sopportare lo stress di molte ore d’insegnamento, cinque giorni a settimana. Perciò tengo solo poche classi a settimana nelle università e presso il Broadway Dance Center a New York. Ma, ovviamente, adesso tutto si fa su Zoom e insegno dal mio salotto, adattato all’uso di studio di danza. Pianifico di continuare a insegnare il metodo freestyle di Mattox perché credo fermamente in esso. Sviluppare il mio canale youtube sulla jazz dance è diventato un interessante progetto secondario. In generale, desidero presentare il mio lavoro ovunque sia possibile e mantenere la salute della mia forma fisica nonostante i decenni di intenso uso quotidiano.
Spero inoltre di poter visitare l’Italia più spesso, poiché i miei parenti da parte di mia madre provengono da Poggio Moiano, vicino Roma, e mi sono piaciuti molto i miei ingaggi professionali a Livorno e Castiglioncello. Se qualche organizzazione o associazione che sponsorizzano la danza desidera contattarmi per alcune coreografie o per alcune lezioni, per favore, lo faccia».
8. Love Fell Out With Me. Photo by courtesy of Bob Boross, photographer Rick Foster.
Ringraziamo Bob Boross per il tempo che ci ha dedicato.
Per maggiori informazioni sul suo lavoro potete visitare il sito ufficiale il suo canale Youtube.
Link utili: Estratto da Empty Sky… The Rising, materiale video di altri concert dance qui.
Read the interview in English here.
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