Botero: l’incontro tra fiaba e realtà al Vittoriano di Roma

ROMA – «La deformazione nei miei quadri deriva da un’inquietudine estetica, ha una ragione stilistica». Così Fernando Botero giustifica la sua arte e il suo peculiare linguaggio immediatamente riconoscibile. Proprio in occasione del suo 85esimo compleanno, il Complesso del Vittoriano – Ala Brasini rende omaggio alla sua personalità artistica con un’esposizione che include una cinquantina di capolavori suddivisi per aeree tematiche, sotto la stretta supervisione dell’autore.

Cresciuto in Colombia, vive a New York e viaggia in Europa perdendosi anche fra le meraviglie di Firenze e il grandissimo patrimonio di Parigi. La fama mondiale di Botero è essenzialmente dovuta alla sua unicità, al suo aver creato un genere autonomo e difficilmente imitabile. La sua poetica visiva fondata sulla plasticità e sulla cromaticità vede il trionfo della forma, della regola e dello spazio, a discapito di un contenuto che sembra solo apparentemente restare ai margini. Eppure, dalle sue opere si possono riconoscere le sue origini, l’ammirazione per una tradizione artistica del passato (dal Rinascimento all’arte egizia), le sue passioni più grandi. Il tutto è svelato tramite la sua estrema capacità di sintesi e fusione che sfocia in un equilibrio di stile e in un’estrema coerenza narrativa dei suoi lavori.

Botero ci trasporta quindi in una dimensione onirica con un trasporto a tratti ironico, a momenti nostalgico. Lo fa tramite la pienezza, la vividezza, il colore e l’esuberanza dei suoi soggetti. «Cerco di dare ad ogni elemento una personalità che viene da una convinzione profonda» afferma in riferimento ad una parte della sua produzione, le nature morte. «Così le mie mele saranno distinguibili da quelle dipinte da altri e saranno solo mie!». La quadratura del cerchio per Botero consiste nel riuscire a dare un’immagine autentica anche agli oggetti inanimati. E ci riesce benissimo con la serie di nature morte che rimandano al classico, a un ambiente atemporale e immobile, in cui il colore spicca per contrasto regalando serenità e pulizia allo sguardo. Basti osservare le opere Natura morta davanti al balcone (2000) o Natura morta con caffettiera blu (2002) (vedi sotto).

     

«Io non sono religioso, ma nell’arte la religione è parte della tradizione». Da questa affermazione si comprende il rapporto di Botero con l’universo del divino: una mancanza di credo che non gli impedisce di rappresentarla, anche solo per il fatto che tutti gli artisti del passato l’hanno fatto. Quella con la religione è una relazione di esplorazione e curiosità che l’artista applica a molteplici ambiti, come ad esempio la politica. L’interesse di Botero è quello di estrapolare il quotidiano e reinterpretarlo con una fissità atemporale, enigmatica, irreale, senza prendere una posizione netta e definirne i contorni di pensiero. Ecco che sarà più interessato a rappresentare azioni bizzarre di monaci in un banchetto e il vestiario sfarzoso del presidente della Colombia e la sua first lady (vedi foto della mostra) piuttosto che addentrarsi dentro il fulcro del tema, che sia appunto la religione o la politica.

L’attaccamento viscerale per la sua terra fa sì che i dipinti legati alla sua gente e alla quotidianità rappresentino una delle parti più interessanti della retrospettiva. Botero estrapola gli istanti semplici e quotidiani e li ripropone con il proprio filtro senza prendere una posizione, senza enfatizzare un sentimento, ma collocandoli in una dimensione atemporale con una straordinaria forza delle forme e del colore. Basti pensare alle opere Il Club del giardinaggio (1997), Fine della festa (2006) (nella foto), Il Carnevale (2016). In ogni dipinto la forza cromatica e la pienezza creano un bilanciamento emotivo nello spettatore che resta attratto dall’opera, spesso ironica, nostalgica e enigmatica al contempo. Botero vuole far sentire l’osservatore in sintonia emozionale con le immagini scaturite dalla sua immaginazione. E ci riesce tramite un’aura cromatica di forme.

Molto interessanti anche le sezioni sul “Circo” e sul “Nudo”. È qui che emerge di più l’influenza con Manet e Chagall, in un connubio fra interpretazione, sogno e irrealtà. Il circo è per Botero «un soggetto bellissimo e senza tempo» che trova ampio spazio nella sua produzione. Interessantissima l’opera Il contorsionista (2008), che spicca fra le altre proposte dalla mostra. Come Adamo ed Eva (2005) nella sezione dei nudi. Qui, notiamo una totale assenza di malizia a favore di un elogio della naturalezza in equilibrio fra forma e concetto.

      

Quella di Botero è un’arte post-astratta che recupera il reale e lo reinterpreta in un continuo dialogo fra mondo e fiaba. In un’altalena fra forma e regola, il trait d’union è rappresentato da una solidità coloristica che rimanda al passato, ma sfoggia orgogliosamente un’anima contemporanea in cui ogni elemento è protagonista. Così le opere dell’artista colombiano proposte a Roma, in una mostra esclusivamente monografica, riescono a far immergere lo spettatore dentro la sua poetica e biografia. Promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, con il patrocinio della Regione Lazio e dell’ambasciata di Colombia in Italia, sarà possibile visitarla fino il 27 agosto 2017. Imperdibile.

Alessio Foderi
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