Camere Penali, Avvocati e Giuristi sul DdL Sicurezza

Il Disegno di Legge n. 1660 recante Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” comunemente conosciuto come DdL sicurezza sta provocando reazioni da più parti e troviamo particolarmente significative quelle prodotte dal mondo giuridico. Data l’importanza e la delicatezza della materia abbiamo scelto di pubblicare gli interventi integrali e non il nostro commento, onde evitare interpretazioni distorte o non corrette. Vogliamo portare però l’attenzione dei nostri lettori su queste importanti prese di posizioni e vogliamo farlo sullo spazio Carceri, Diritti e Volontariato poiché il DdL n. 1660 se approvato avrebbe delle ripercussioni pesanti sul mondo carcerario e sui diritti dei detenuti e dei cittadini.

Gli interventi a cui facciamo riferimento sono tre: la delibera dell’unione nazionale delle camere penali, la circolare dell’Ordine degli Avvocati di Bologna e il documento dell’Associazione Italiana dei Professori di diritto penale.

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane,

rilevato

– che con le delibere del 20 novembre 2023, con la quale è stato deliberato lo stato di agitazione, e del 25 gennaio 2024, con la quale è stata deliberata l’astensione da tutte le attività del settore penale, si segnalava come il contenuto dell’intero “pacchetto sicurezza”, DDL AC 1660-A recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, tutela del personale in servizio nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”, lungi dal porsi in sintonia con un programma di riforma della giustizia in senso liberale, rivelasse nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria sostanzialmente populista, profondamente illiberale e autoritaria, caratterizzata da uno sproporzionato e ingiustificato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi ed ai danni dei soggetti più deboli, caratterizzandosi per l’introduzione di una iniqua scala valoriale, in relazione alla quale taluni beni risultano meritevoli di maggior tutela rispetto ad altri di eguale natura, in violazione del principio di ragionevolezza, di eguaglianza e di proporzionalità;

– che si stigmatizzava, nuovamente, come l’affidare al sistema repressivo penale la soluzione di ogni situazione di marginalità, di devianza, o di potenziale conflitto sociale, anziché percorrere la strada dell’incremento della prevenzione e della riduzione delle cause di disagio sociale che generano i fenomeni della ribellione e della devianza, o anche solo del dissenso politico, finisce con l’alimentare inutilmente una crescente domanda di punizione e con l’incrementare irrazionalmente un sistema carcerocentrico produttivo di ulteriore sovraffollamento, incompatibile con ogni forma di rieducazione, a sua volta causa dell’aumento del fenomeno della recidiva;

– che anche nell’ambito della Audizione di UCPI davanti alla Commissione Affari Costituzionali del 20 maggio 2024, si sottolineavano tali gravi discostamenti del DDL da tutti i paradigmi propri del Diritto penale liberale, che avrebbe dovuto, invece, ispirare l’azione di Governo e ciò, in particolare, con riferimento agli artt. 270-1 quinquies.3 c.p., 435 c.p., nonché agli interventi normativi di cui agli artt. 10, 11, 12, 13  e 14 e 15 del DDL, sottolineandosi come si offrisse alla collettività il falso e deformante “messaggio di sicurezza ed efficienza che con tali misure normative si vuole dare, come se si trattasse della soluzione ai fenomeni criminali in esse previsti, quasi che, nell’attuale assetto normativo, non fossero già presenti adeguate disposizioni di legge che puniscono l’occupazione abusiva di immobili, il borseggio, le rivolte in carcere o l’aggressione ai danni dei rappresentanti delle forze dell’ordine”;

– che, in particolare, si rilevava come la fattispecie di reato di “rivolta in istituto penitenziario”, introdotta con il nuovo art. 415-bis c.p. (art. 26), integrata anche da condotte dichiaratamente inoffensive come la resistenza passiva, ovvero da semplice disobbedienza, costituisca un pericoloso arretramento, in quanto introduce una norma evidentemente contraria ai principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di offensività, e che si espone, a causa della sua complessiva indeterminatezza, ad una utilizzazione e ad una applicazione arbitraria stante l’inammissibile generico riferimento al “contesto” nel quale la condotta si consuma;

– che, altresì, si osservava come tale inasprimento delle sanzioni e tale criminalizzazione di condotte non violente risultasse del tutto irrazionale, considerato come la stessa Commissione di indagine, istituita dal DAP a seguito delle rivolte scoppiate nelle carceri nel marzo 2020, avesse concluso che la risposta punitiva vada in una direzione “ostinata e contraria” rispetto ad una vera prevenzione e dissuasione rispetto a tali comportamenti, invitando ad “una riflessione sulle condizioni di degrado e abbandono in cui versavano molti degli istituti penitenziari” e che, pertanto, anziché punire severamente comportamenti inoffensivi quali la resistenza passiva, ci si sarebbe dovuto fare urgentemente carico degli obblighi imposti al decisore politico dalla Costituzione e dalla CEDU, che fanno divieto di infliggere pene o trattamenti inumani o degradanti;

– che appariva altrettanto pericolosa ed iniqua la equiparazione al fine della applicazione di simili norme ai “centri di trattenimento” (art. 27) nei quali viene attuata la cd. detenzione amministrativa, che, pur risolvendosi in una integrale limitazione della libertà personale, dovrebbe essere comunque oggetto di un regime di tutela penale certamente differenziato proprio in base al differente status delle persone in essi collocate;

– che eguale severa critica veniva formulata con riferimento all’ulteriore allargamento del catalogo dei reati c.d. ostativi, con l’inserimento nell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario anche della menzionata fattispecie descritta dall’art. 415-bis c.p. nonché dall’art. 415 c.p. “Istigazione a disobbedire alle leggi”, fattispecie di pericolosa interpretazione ed applicazione se ricondotta alle ipotizzate condotte di rivolta, che finirà con l’aggravare la già drammatica situazione di sovraffollamento che sta inesorabilmente affliggendo le carceri italiane;

– che, altresì, si osservava come persino i fenomeni relativi alle più recenti rivolte carcerarie fossero stati, infatti, caratterizzati da moti estemporanei condizionati più dal disagio che da vere e proprie spinte criminali, privi di una qualche organizzazione e di alcuna finalità eversiva, che sembrano aver bisogno più che di dure risposte repressive, di ascolto della realtà, di quella presenza dello Stato che si concretizza in una maggiore azione di assistenza, di prevenzione e di recupero, in favore della realtà della detenzione che è stata, al contrario, irresponsabilmente abbandonata al suo destino;

– che si sottolineava come analoga errata prospettiva si fosse adottata con riferimento ai reati di occupazione degli immobili (Disposizioni in materia di sicurezza urbana), trattandosi di contesti che necessitano di diversi, più vasti e complessi interventi di riorganizzazione delle risorse dei territori e di prevenzione dell’illegalità, piuttosto che di una eccessiva criminalizzazione del dissenso e di inasprimenti sanzionatori o di incremento dei poteri della Polizia giudiziaria (art. 321-bis), ovvero di aree di disagio sociale problematiche che, più ragionevolmente, potrebbero essere gestite attraverso una maggiore efficienza delle amministrazioni ed una più oculata presenza delle istituzioni;

– che si evidenziava come la norma, peraltro, sarebbe andata a sovrapporsi a quelle precedentemente entrate in vigore, che già puniscono la condotta di occupazione abusiva di un immobile, creando un coacervo disordinato e sovrabbondante di norme e disponendo un regime sanzionatorio così grave, che avrebbe rischiato di essere lesivo del principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione;

– che appariva altrettanto pericolosa ed iniqua la equiparazione al fine della applicazione di simili norme ai “centri di trattenimento” (art. 27) nei quali viene attuata la cd. detenzione amministrativa, che, pur risolvendosi in una integrale limitazione della libertà personale, dovrebbe essere comunque oggetto di un regime di tutela penale certamente differenziato proprio in base al differente status delle persone in essi collocate;

– che eguale severa critica veniva formulata con riferimento all’ulteriore allargamento del catalogo dei reati c.d. ostativi, con l’inserimento nell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario anche della menzionata fattispecie descritta dall’art. 415-bis c.p. nonché dall’art. 415 c.p. “Istigazione a disobbedire alle leggi”, fattispecie di pericolosa interpretazione ed applicazione se ricondotta alle ipotizzate condotte di rivolta, che finirà con l’aggravare la già drammatica situazione di sovraffollamento che sta inesorabilmente affliggendo le carceri italiane;

– che, altresì, si osservava come persino i fenomeni relativi alle più recenti rivolte carcerarie fossero stati, infatti, caratterizzati da moti estemporanei condizionati più dal disagio che da vere e proprie spinte criminali, privi di una qualche organizzazione e di alcuna finalità eversiva, che sembrano aver bisogno più che di dure risposte repressive, di ascolto della realtà, di quella presenza dello Stato che si concretizza in una maggiore azione di assistenza, di prevenzione e di recupero, in favore della realtà della detenzione che è stata, al contrario, irresponsabilmente abbandonata al suo destino;

– che si sottolineava come analoga errata prospettiva si fosse adottata con riferimento ai reati di occupazione degli immobili (Disposizioni in materia di sicurezza urbana), trattandosi di contesti che necessitano di diversi, più vasti e complessi interventi di riorganizzazione delle risorse dei territori e di prevenzione dell’illegalità, piuttosto che di una eccessiva criminalizzazione del dissenso e di inasprimenti sanzionatori o di incremento dei poteri della Polizia giudiziaria (art. 321-bis), ovvero di aree di disagio sociale problematiche che, più ragionevolmente, potrebbero essere gestite attraverso una maggiore efficienza delle amministrazioni ed una più oculata presenza delle istituzioni;

– che si evidenziava come la norma, peraltro, sarebbe andata a sovrapporsi a quelle precedentemente entrate in vigore, che già puniscono la condotta di occupazione abusiva di un immobile, creando un coacervo disordinato e sovrabbondante di norme e disponendo un regime sanzionatorio così grave, che avrebbe rischiato di essere lesivo del principio di proporzionalità sancito dalla Costituzione;

– che si denunciava come fosse di particolare gravità la cancellazione del differimento obbligatorio della pena per le donne incinte o madri di prole in tenera età e la previsione di detenzione delle stesse negli istituti a custodia attenuata per detenute madri, luoghi evidentemente incapaci di gestire le più elementari urgenze sanitarie, la cui limitatissima presenza sul territorio (4 in tutta Italia), rischia di confinare dietro le sbarre ordinarie dei penitenziari femminili le madri ed i loro neonati, detenuti senza colpa, quando invece si sarebbe dovuto proseguire nel solco della proposta di legge, presentata nella scorsa legislatura, tesa ad istituire in ogni regione case-famiglia per madri detenute e bambini;

– che si segnalava come altrettanto iniqua e vessatoria fosse l’introduzione della modifica al codice delle comunicazioni elettroniche (art. 98-undertricies) che comporta una gravissima limitazione di uno dei più elementari diritti della persona quale è quello costituito dalla libertà di comunicazione, laddove si inibiva il rilascio di un contratto telefonico al “cittadino di uno Stato non appartenente alla Unione europea”, per il solo fatto di essere sprovvisto di titolo di soggiorno (art. 32);

– che si osservava che dovesse essere analogamente censurata e contrastata, come certamente estranea alla sensibilità ed alla storia giuridica del nostro Paese e contraria ai principi della nostra Carta costituzionale, l’introduzione di ogni forma di “castrazione chimica” quale mezzo di contrasto ai pur gravi reati determinati da motivazioni sessuali, fatta oggetto di un ordine del giorno approvato dalla Camera con il quale si intendeva istituire una commissione o un tavolo tecnico volto a porre rimedio ad una asserita “mancanza di adeguate misure di prevenzione” in termini di recidiva di tali reati;

considerato

– che, il 18 settembre 2024, il testo del DDL AC 1660-A è stato approvato dalla Camera dei Deputati e sarà ora esaminato dal Senato;

– che anche in occasione dell’incontro avuto con il Ministro della Giustizia, il 24 settembre 2024, è stata espressa la contrarietà dell’avvocatura penale alla filosofia stessa che ispira l’intero DDL;

– che, con delibera del 30 settembre 2024, si è evidenziato, nuovamente, come si assistesse ad una inaccettabile pan-penalizzazione a vasto spettro, che implica la creazione di nuove fattispecie di reato, la criminalizzazione di condotte che non erano state mai ritenute offensive, uno sproporzionato aumento delle sanzioni a tutela univoca dei tutori dell’ordine, l’introduzione di nuove ostatività alla concessione di benefici penitenziari, l’aumento delle prerogative della Polizia giudiziaria, alla quale sarà addirittura consentito il porto di armi diverse da quelle ufficialmente in dotazione, e si constatava come tali riforme finissero con il modificare pericolosamente i rapporti stessi fra il cittadino e lo Stato, fra il principio di autorità e quello di libertà, impostando le stesse relazioni sociali sulla base di una asserita esigenza di sicurezza strumentalmente amplificata;

– che si è denunciato come i principi di ragionevolezza, di proporzionalità e di offensività, propri di quel diritto penale liberale al quale dovrebbe tendere ogni moderno Stato di diritto, venissero evidentemente travolti, mediante l’instaurazione di un sistema deliberatamente impostato sull’impronta di un “diritto penale del nemico” e su di una responsabilità da “colpa d’autore”, nella quale la stigmatizzazione penale si attiva non per “quello che si fa”, ma per “quello che si è”;

– che si è ribadita la necessità di tutelare con ogni mezzo tali indefettibili e non negoziabili principi e valori, annunciando l’adozione di ogni possibile iniziativa al fine di sensibilizzare tutti i settori della società civile, della Politica, della Accademia e dell’informazione, riservandoci la sollecita organizzazione di eventi nazionali nell’ambito dei quali manifestare la contrarietà dell’Avvocatura penale alla introduzione delle norme contenute nel pacchetto sicurezza, denunciando i rischi della svolta illiberale che esse prefigurano, svelando altresì la natura fallimentare dello strumento repressivo ai fini del perseguimento della pur necessaria sicurezza dei cittadini;

preso atto

che nonostante le sollecitazioni da parte dell’avvocatura, gli incontri con il Ministro della Giustizia e le audizioni davanti alle Commissioni Parlamentari, il DDL 1660 prosegue il suo iter di approvazione al Senato;

ribadito

– che nessuna pur legittima e condivisibile richiesta di sicurezza e nessuna forma di illegalità e di devianza consenta di adottare misure e rimedi sproporzionati che, oltre che a rivelarsi inefficaci rispetto ai fini, finiscono con il torcere l’intero sistema penale in senso radicalmente illiberale ed autoritario, indebolendo le radici di quei principi costituzionali che costituiscono la salvaguardia delle libertà fondamentali di tutti i cittadini e della stessa convivenza democratica, in quanto posti a tutela della libertà di manifestazione e di espressione del dissenso;

– che, come enunciato dal nostro Manifesto del Diritto Penale Liberale e del Giusto Processo, «Liberale è il modello di diritto penale che legittima l’intervento punitivo solo quando è strettamente necessario e proporzionato alle esigenze di tutela, oltre che rispettoso della persona che lo subisce» (Canone 3.) e che «Ogni eccesso punitivo, che superi il principio del “minimo sacrificio necessario”, costituisce un arbitrio dello Stato e, nei casi più gravi, un delitto. È compito precipuo delle istituzioni assicurare il pieno rispetto della persona del colpevole, che non può mai essere oggetto di strumentalizzazione in nome della prevenzione dei reati» (Canone 5.);

delibera

nel rispetto del Codice di Autoregolamentazione l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i giorni 4, 5 e 6 novembre 2024, esclusi il circondario di Paola, interessato da un’astensione indetta dalla Camera Penale di Paola, con delibera del 26 settembre 2024 per i giorni dal 21 al 25 ottobre 2024, il circondario di Castrovillari, interessato da un’astensione indetta dalle Camere Penali di Castrovillari e di Rossano, con delibera del 3 ottobre 2024 per i giorni dal 28 al 31 ottobre 2024, il circondario di Santa Maria Capua Vetere, interessato da un’astensione indetta dalla Camera Penale di Santa Maria Capua Vetere, con delibera dell’11 ottobre 2024 per il giorno 30 ottobre 2024;

indice

per il 5 novembre 2024, alle ore 10.00 una manifestazione nazionale da tenersi in Roma presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi”, in Piazza della Pilotta n. 4, alla quale invita sin da ora l’Avvocatura e l’Accademia per un confronto sui temi imposti dall’iniziativa normativa, al fine di sollecitare il Parlamento ad adottare tutte le opportune modifiche alle norme del pacchetto sicurezza in senso conforme alla Costituzione ed ai principi del diritto penale liberale, sensibilizzando l’opinione pubblica sul pericolo che simili legislazioni securitarie e illiberali possano incidere irreversibilmente sulla tenuta democratica dell’intero sistema penale;

invita

le Camere Penali territoriali ad organizzare, per i giorni 4 e 6 novembre 2024, iniziative di informazione e di discussione sulle ragioni dell’astensione;

dispone

la trasmissione della presente delibera al Presidente della Repubblica, ai Presidenti della Camera e del Senato, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Giustizia, ai Capi degli Uffici giudiziari, al Consiglio Nazionale Forense.

Gavel, court hammer. Free public domain CC0 photo.

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna intende esprimere forte preoccupazione per il contenuto del Disegno di Legge n. 1660 recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario“, con cui si propone, ancora una volta, l’introduzione di nuovi reati e consistenti incrementi delle pene detentive per reati già esistenti, in un contesto che non solo vede l’ordinamento penale già saturo di un numero indeterminato (ed indeterminabile) di fattispecie delittuose, ma in cui si assiste anche ad una gravissima crisi del sistema carcerario.


Tale sviluppo della politica criminale, oltre a confliggere con i principi di proporzionalità e sussidiarietà, nel caso del DdL in parola mette in luce quella che da autorevole dottrina è stata definita “la natura selettiva delle scelte penali, rivolte assai spesso a colpire i perdenti nella c.d.competizione sociale.” (Così RUOTOLO M. nella propria Memoria scritta presentata l’8 ottobre 2024 alle Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia del Senato della Repubblica ).

La scelta del Legislatore, infatti, lungi dall’essere rivolta a colpire fenomeni criminali di particolare gravità, si rivolge alla c.d. marginalità sociale, operando in funzione essenzialmente simbolica.
Basti pensare all’introduzione del nuovo reato che riguarda l’occupazione arbitraria di immobili, già peraltro punito dal nostro codice penale con diverse norme, le cui inevitabili ricadute punitive cadranno per lo più su situazioni di difficoltà economica e sociale, che dovrebbero essere affrontate più efficacemente con adeguate politiche sociali di sostentamento al disagio abitativo ed economico, diffusissimo soprattutto in alcune aree del nostro Paese.
In questa direzione appare ancor più preoccupante l’inasprimento delle pene per il delitto di accattonaggio (da uno a cinque anni di reclusione, con possibilità di applicazione della custodia cautelare in carcere): qui vi è la certezza di andare a colpire soggetti che vivono – non certo per scelta – in contesti di povertà estrema, e che pongono in essere condotte di mendicità spesso quale unica fonte di sostentamento.

Dietro queste forme di criminalizzazione si intravede una concezione del diritto penale per tipo di autore, che dovrebbe essere respinta in un ordinamento penale del fatto, l’unico in grado di metterci al riparo da incriminazioni giustificate non da quello che si fa ma da quello che si è. Analoghe considerazioni possono essere svolte per altre misure D.d.L. che vanno chiaramente nella direzione della penalizzazione e punizione del “dissenso” e della contestazione politica, in stridente contrasto con diritti fondamentali di matrice costituzionale e convenzionale, quali il diritto di associazione e di manifestazione del pensiero.
Ne sono evidente espressione, ad esempio, la proposta di trasformare il blocco stradale da illecito amministrativo a delitto, con pene del tutto sproporzionate rispetto alla effettiva gravità della condotta. Ma anche l’introduzione di aggravanti per reati comuni solo perché commessi nell’ambito di contestazioni pubbliche.

Tali interventi non solo si pongono in palese violazione di quei canoni costituzionali della offensività e proporzionalità che dovrebbero sempre guidare il Legislatore nell’uso attento e residuale del diritto penale, ma disvelano una natura schiettamente politica, laddove lo stesso fatto può assumere o meno natura penale, o essere punito in maniera più o meno grave, soltanto in ragione della connotazione politica-dimostrativa dello stesso.
In questo caso, dal “diritto penale dell’autore” si passa al “diritto penale del nemico” (nella efficace espressione di Gunther Jacobs), che raggiunge il punto di caduta più evidente e preoccupante nell’introduzione dei reati di rivolta in carcere e nei C.P.R. per migranti, con i quali si attribuisce rilevanza penale anche alle condotte di semplice “resistenza passiva”.
Tale scelta finisce per criminalizzare solo i detenuti (la resistenza passiva, per diritto vivente, non è reato), ed i pochi mezzi di protesta non violenta che hanno a disposizione per far sentire la loro voce e far valere diritti troppo spesso violati. Ciò appare tanto più grave laddove si consideri l’attuale situazione carceraria, con 76 suicidi da inizio anno, ed un sovraffollamento che ha ormai raggiunto livelli vicini al 2013, annus horribilis dell’umiliante condanna della Corte EDU per trattamenti inumani e degradanti a cui lo Stato italiano aveva sottoposto i detenuti nelle sue carceri.


Alla luce di quanto detto, non si possono non condividere, e far proprie, le preoccupazioni lucidamente espresse nel recente documento dell’Associazione italiana dei Professori di diritto penale, con cui si denunciano i pericoli per le libertà democratiche che potrebbero scaturire da “norme che segnalano un ulteriore spostamento del baricentro delle riforme legislative verso il diritto penale d’autore, che si traduce nella repressione di condotte che esprimono dissenso, emergono da contesti di marginalità sociale e denotano un pericoloso scivolamento verso una gestione securitaria dell’emergenza carceraria”.


L’Avvocatura, custode e garante dei diritti fondamentali della nostra Costituzione, non può e non deve tacere davanti a questi pericoli.
La posta in gioco è infatti troppo alta per non far sentire forte la nostra voce, affinché si chieda alle forze politiche di ritirare questo disegno di Legge, di dare avvio a quella seria depenalizzazione invocata dallo stesso Ministero di Giustizia nel suo discorso di insediamento alle Camere, nonché di affrontare l’emergenza carceraria con strumenti adeguati alla sua gravità, anche con interventi clemenziali, non più procrastinabili, rivolti a condannati per reati di non particolare allarme sociale e con pene detentive brevi.


Chiediamo dunque al Consiglio Nazionale Forense di intraprendere, senza ritardo, tutte le iniziative ritenute necessarie e adeguate a raggiungere tali obiettivi, anche con iniziative pubbliche in cui coinvolgere la Politica, l’Università, la Magistratura e la società civile, manifestando al contempo ferma opposizione a qualsiasi intervento normativo in ambito penale che non rispetti i principi di offensività, proporzionalità e umanità, capisaldi ineludibili di qualsiasi ordinamento democratico.

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna

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