La Certosa di Calci e i suoi tesori artistici

La solitaria Città Celeste dei Certosini di Calci, un percorso teologico

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(foto di Rino Decarolis)

Gli ideali dell’ordine certosino proponevano il ritorno della chiesa alle origini, all’eremitismo e alla vita frugale e spirituale, in cui le cure del corpo e del mondo venivano lasciate in disparte al fine di aspirare a una vita in totale ritiro, una vita che ricalcasse quell’ideale dei santi padri del deserto (come S. Antonio, S. Paolo e S. Ilarione) che da secoli mostravano all’uomo come resistere alle tentazioni della carne, del cibo, del potere e del demonio.

La Certosa di Calci inizia a prendere forma nel 1366 e diventa il nuovo “deserto”, porto di salvezza e città monastica, in cui i certosini possono condurre la loro vita verso l’ascesi spirituale. Chiuso da spesse mura che lo isolano dal mondo, questo angolo di paradiso diventa il riflesso della Gerusalemme Celeste che, sebbene privata di contatti con il mondo esterno, si apre verso un mondo altro che conduce il monaco a intraprendere un cammino spirituale verso la perfezione e l’immortalità.

Tutta la grande e spaziosa struttura della Certosa è stata infatti concepita e costruita in funzione di questo sacro cammino: la ricerca di geometrie e prospettive simmetriche nelle forme architettoniche, la necessità smussare tutti gli angoli e gli spigoli per dare alle strutture una forma morbida, l’uso del marmo candido, la creazione di percorsi simbolici delineati dalle sculture dei santi, dalla fontana monumentale del chiostro, dal tempio e dalla grande cisterna, sono tutti elementi che mostrano il percorso spirituale segnato dalla volontà di passare dall’imperfetto al perfetto, dalla sfera terrena a quella divina, esemplificata dalla ricerca delle simmetrie, del candore e dalla forma del cerchio che si ripete spesso nelle strutture della Certosa, e che secondo S. Gerolamo “è la più bella di tutte le figure”.

Il monastero segue quindi una struttura perfetta a griglia geometrica tripartita: il nucleo dei conversi, il cenobio dei certosini e il chiostro dei padri, distribuiti secondo un ideale di graduale distacco dal mondo che protegge l’isolamento dei nuovi anacoreti certosini e che ricalca il percorso di ascesi, la così detta “triplice via” del certosino Ugo di Balma (tardo XIII secolo), purgativa, illuminativa e unitiva, che dal caos delle cure terrene portava all’amore per Dio tramite la meditazione solitaria.

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Il nucleo dei conversi e le foresterie sono i luoghi più esterni e sottoposti al caos della materia. Proseguendo verso l’interno della struttura, all’interno del cortile d’onore, oltre il grande ingresso presidiato da S. Bruno (fondatore dell’ordine nel 1084) che invita alla beata solitudo, spiccano statue e decorazioni che richiamano il mondo terreno insidiato dal demonio: raffigurano serpenti, angeli decaduti e figure ambigue; ma, nonostante questo, il percorso continua a presentare l’anelito alla salvezza: poco più avanti si possono osservare infatti i luoghi sacri per eccellenza, la chiesa, le statue di S. Giovanni e S. Gorgonio e della Vergine incoronata sul coronamento della chiesa, la biblioteca, la sacrestia e il refettorio, luoghi dove si compiono i riti dell’Eucarestia e della Salmodia, passaggi che portano il monaco verso la via illuminativa.

La chiesa è il luogo della purificazione prima di accedere al chiostro, è decorata con marmi preziosi che richiamano la bellezza della Gerusalemme Celeste, l’ultima visione dell’Apocalisse di Giovanni, lo stesso Giovanni che troviamo sul coronamento dell’edificio e che sembra mostrare al monaco l’accesso alla beatitudine eterna iconizzata dal grande giardino claustrale che si trova oltre e dove, tra le chiuse e silenziose arcate del chiostro, appare la grande fontana con la Vergine “Regina deserti”.

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Il chiostro risponde delle medesime simmetrie divine ed è il cuore dell’anacoresi: ha quattro lati, come i quattro punti cardinali e i quattro fiumi del paradiso, è tutto di colore bianco, il colore della luce divina della Trasfigurazione di Cristo e del miracolo, ed è l’emblema dell’Eden incorrotto. La fontana è invece ottagonale, la stessa forma delle fonti battesimali, più vicina alla forma del cerchio e simbolo di purificazione dal peccato.

La Vergine in cima è l’approdo della lettura apocalittica che comincia dal S. Giovanni: è la donna coronata di stelle e splendente di sole, in piedi sul globo mentre domina le cose terrene e le eleva alla prospettiva celeste. In tutta la fontana sono disseminate le allegorie della vita eterna, come le aquile coronate che preannunciano la beatitudine degli eletti, le tre vasche che mostrano i tre gradi della vita del monaco e i quattro pesci, simboli di Cristo e emblemi della conversione (i piscicula Christi, ovvero gli adepti secondo la tradizione paleocristiana).

Ogni monaco compiva così un percorso interiore verso la sola beatitudo, vestito dell’abito bianco come il marmo del chiostro. Chiuso nella sua cella che affacciava su un minuscolo cortiletto interno con piante e orticello, viveva come gli eremiti della Tebaide, soli nelle grotte brulle del deserto egiziano. Tutta la sua vita passava attraverso quelle mura e il suo tempo era scandito dalle preghiere, dal canto, dall’accoglienza dei forestieri, dai brevi incontri con i compagni del monastero, dal lavoro e dai piccoli compiti che il Priore gli affidava. Un tempo regolato e prestabilito, che ogni monaco vedeva scorrere attraverso le ombre e le luci che si stagliavano sulle strutture della Certosa, in una sacralità immutabile e perfetta, protratta fino alla morte e alla sepoltura nel cimitero della Certosa: come scrisse nel suo diario uno degli ultimi monaci vissuti nell’edificio nel 1972: «Vivere di Dio solo e per Dio è il segreto profondo e l’anima della nostra solitudine»

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Ricerca svolta sui seguenti testi:

Maria Adriana Giusti e Maria Teresa Lazzarini, La Certosa di Pisa a Calci, Pisa, Pacini Editore, 1993.

Laura Benassi, Il chiostro grande della Certosa di Calci: storia, paesaggio e architettura, Pisa, Primula Edizioni, 2005.

 

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Virginia Villo Monteverdi
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