La Volontà, frammenti per Simon Weil. Uno spettacolo commovente, intenso, sublime e straziante
Il vocabolario Treccani articola così la sua definizione di sacro:
In senso stretto, si definisce sacro ciò che è connesso all’esperienza di una realtà totalmente diversa, rispetto alla quale l’uomo si sente radicalmente inferiore, subendone l’azione e restandone atterrito e insieme affascinato; in opposizione a profano, ciò che è sacro è separato, è altro, così come sono separati dalla comunità sia coloro che sono addetti a stabilire con esso un rapporto, sia i luoghi destinati ad atti con cui tale rapporto si stabilisce.
Partiamo da questa definizione perché troppo spesso limitiamo l’idea del sacro a quella del religioso.
Se le cose stessero così non potremmo parlarvi, in questa sede, dell’ultimo spettacolo dell’attore, drammaturgo e regista argentino César Brie, La Volontà, frammenti per Simon Weil, presentato quest’estate alla quarta edizione del Festival lucchese I Teatri Del Sacro
Brie è in scena insieme a Catia Caramia, attrice trentenne pugliese, che interpreta la Weil, la filosofa, insegnante, sindacalista e operaia francese vissuta all’inizio del secolo scorso. Si parte dal momento della sua morte, a soli 33 anni, nell’ospedale di Ashford, nel Kent, in Inghilterra.
La ricerca di Brie prende forma dall’epitaffio, scritto in italiano sulla lapide di questa pensatrice francese, morta in inghilterra : la mia solitudine l’altrui dolore ghermiva fino alla morte.
C’è una firma sulla lapide, C.M, che è diventata per l’artista argentino la chiave per raccontare la vita della Weil.
Brie si immagina un personaggio, un infermiere italiano e comunista di nome Carlo Manfredi, che accudisce Simon nei suoi ultimi e deliranti giorni di agonia. È da qui che inizia il racconto sulla scena. Carlo Manfredi è il filo che tiene unita l’intera storia, fatta di salti sia spaziali che temporali. La scena vivifica però anche altri personaggi maschili, decisivi nella storia della Weil, di cui Brie assume le sembianze semplicemente cambiando soprabito: il fratello, il padre, il domenicano Joseph-Marie Perrin.
Il teatro del maestro argentino è un teatro fatto di immagini, un teatro fatto di forme dense di significato, di metafore fisiche e concrete, che prendono vita. Pensiamo ad esempio al momento in cui l’attrice Caramia “schiva le pallottole” fatte da stracci bagnati, che vanno ad infrangersi contro la parete nera del fondale, lasciando un’impronta scura. Il rumore dei colpi, la violenza del gesto, il respiro affannoso di Simon, tutto concorre a creare un paesaggio significante che, unito alla parola, crea l’immagine: non ci sono più stracci ma proiettili di guerra, non c’è più acqua ma sangue che insozza i muri.
Uno spettacolo commovente, intenso, sublime e straziante, meravigliosa la giovane Caramia, delicata e incisiva allo stesso tempo.
Sacra è la figura della Weil che Brie ci restituisce: sacra perché atterrisce e affascina, come dicevamo all’inizio, sacra perché diversa, unica, effimera, quasi inumana, ma allo stesso tempo incarnazione dei più alti valori che da sempre chiamiamo umanità.
Chiara Lazzeri
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