Breve ritratto di Giulio Regeni per comprendere chi fosse prima del 25/01/2015
Premessa – Scrivere di Giulio Regeni, soprattutto per ricordarlo ad un anno esatto dall’assurdità che lo ha sottratto alla vita, è qualcosa che pone molti dilemmi: cosa scrivere che non sia stato già raccontato milioni di volte in quest’anno? Come parlare della sua vicenda senza lasciarsi trasportare dall’indignazione per il predominio che la real politik sembra avere ancora una volta, come troppe volte nella storia italiana e non solo, sulla dignità di un Paese e sulla giustizia per un essere umano e la sua famiglia? Come evitare l’agiografia di un giovane che tutto voleva tranne che diventare tragicamente un eroe?
Non tutti sono bravi a risolvere i dilemmi. Spero allora che mi scuserai, Giulio, se per uscire dall’impasse userò uno stratagemma un po’ codardo: farò in modo che a parlare di te sia tu stesso, siano le tue parole. Quelle con cui componevi il tuo lavoro.
Nel 2005, a 17 anni, Giulio Regeni supera una selezione per accedere al Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico, con sede a Duino (TS), scuola pubblica indipendente aderente al circuito degli United World Colleges, avente come finalità la promozione della pace e della cooperazione internazionale. La sua borsa di studio gli consente di trasferirsi nella sede del New Mexico, dal quale per due anni presta la sua penna da “cronista” per il mensile triestino Konrad. Esordisce con un articolo pubblicato nel numero di ottobre 2005: dopo essersi presentato ai lettori con i quali intratterrà «una specie di corrispondenza» per i due anni a venire, egli scrive dell’uragano Katrina (abbattutosi sulla Louisiana il 29 agosto di quell’anno), e delle devastazioni di cui è causa, specificando che tutto il college è stato coinvolto in analoghi compiti dopo una riunione affollata e coinvolgente come «in molte scuole italiane non si vede da tempo». Specifica le fonti: siti web compreso quello della NASA, descrive in maniera sintetica ma circostanziata i fatti, cioè l’enormità dei danni, il rischio di epidemie, il classico scaricabarile fra le autorità per la lentezza dei soccorsi, l’effetto serra come possibile concausa ambientale del disastro. Emerge sempre da un lato l’attenzione alle persone e alle conseguenze che la Storia provoca su di esse, dalla preoccupazione di vari colleghi di studio per i parenti in Louisiana alle migliaia di vittime dell’uragano le quali pagheranno “i conti più cari” delle inadempienze dei potenti, in questo caso la mancata firma del protocollo di Kyoto da parte degli USA. Emerge il suo senso critico e la volontà di trovare i retroscena scomodi degli scenari che descrive: nel post scriptum al suo articolo, informa il lettore che il recupero dei poveri corpi che la furia della natura ha lasciato sul campo viene affidata dal governo di George Bush Jr proprio a una società, la Kenyon International, in passato oggetto di indagini per furto e distruzione di cadaveri. Giulio spiega così l’apparente paradosso: «Come si spiega allora la decisione del governo americano? Forse con il fatto che il proprietario della Kenyon è Robert Waltrip, amico e finanziatore di Bush padre e di Bush figlio?».
Alla fine di questa sua prima corrispondenza, a Giulio sorge il dubbio di aver forse annoiato il lettore con informazioni già note su un argomento che in quei giorni inonda le pagine di tutti i giornali del mondo, e si scusa rilanciando la bontà della sua scelta, perché «l’impatto del disastro è stato tale che non me la sentivo di raccontarvi soltanto come funziona, qui nel New Mexico, la raccolta dei rifiuti urbani». Un umorismo che rivela la sua convinzione nell’aver fatto ciò che sente giusto.
Dopo la maturità, Giulio si trasferisce a Leeds dove consegue il baccalaureato in Arabic and Politics, e nel 2011 a Cambridge per il master in Development Studies. Nel 2012, 2013 e 2014 le sue tesine di partecipazione al concorso “Europa e Giovani” dell’Istituto Regionale Studi Europei (IRSE) di Pordenone vengono sempre premiate. Ormai appassionato studioso del Medio Oriente, in quella del 2012, avente come traccia “Venti dal Mediterraneo”, Giulio si occupa della “primavera araba” in due Paesi, Egitto e Tunisia, partendo dai rispettivi profili storico e socio-economico, per poi analizzare in chiave comparativistica i rapporti fra politiche di austerità condotte nei due Paesi a partire dagli anni Settanta-Ottanta, il progressivo instaurarsi del libero mercato, i crescenti problemi di povertà, disoccupazione e disuguaglianza sociale, e le rivolte popolari che portarono al regime di Hosni Mubarak in Egitto e alla presidenza di Ben Ali e all’allargamento della rappresentanza politica con nuovi partiti in Tunisia. La sua dissertazione si conclude con l’esame del ruolo che l’Unione Europea dovrebbe avere nei confronti dei movimenti che sembrano aprire scenari di progresso:
«Ora che una finestra di opportunità si è aperta per una democratizzazione reale della regione, l’UE dovrebbe assistere questi Paesi non solo attraverso politiche di alleviamento della povertà ma anche garantendo loro una piena indipendenza economica, che vada al di là delle interferenze occorse in passato da parte dei grandi istituti finanziari. Economisti dello sviluppo quali Ha-Joon Chang e Robert Wade enfatizzano l’importanza che una politica industriale incentrata sulla protezione delle industrie nascenti ricopre per i Paesi emergenti, all’interno del processo di integrazione nel mercato globale. Tale considerazione è suffragata dal fatto che quasi tutti i Paesi avanzati dei giorni nostri (includendo l’Italia, gii USA, la Gran Bretagna e la Germania) adottarono con successo politiche protezionistiche per promuovere le loro industrie strategiche nel corso del proprio sviluppo. Questa libertà decisionale è imprescindibile dalla libertà conquistata dal mondo arabo con l’eliminazione dei propri tiranni. In questa svolta dalle politiche neoliberiste starebbe l’atto di solidarietà più significativo verso l’emancipazione del mondo arabo; e ciò rappresenterebbe un vero vento di cambiamento in tutto il Mediterraneo».
Nel 2014, dopo un periodo di lavoro al Cairo per l’organizzazione delle nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, Giulio torna a Cambridge per proseguire i suoi studi con un dottorato di ricerca presso il Centre of Development Studies. Il suo interesse si concentra sui cambiamenti in corso nel mondo del lavoro in Egitto, ed in particolare dei sindacati indipendenti che, nonostante la repressione in atto, cercano faticosamente di organizzarsi per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, il che implica per forza di cose l’opposizione al regime. Così, nel 2015 Giulio torna sul campo. Non è uno sprovveduto, conosce l’Egitto e sa che i sindacati indipendenti, compreso quello degli ambulanti, sono tenuti sotto osservazione da parte dei militari e dei servizi segreti, quindi conduce le sue ricerche con attenzione e scrive vari articoli sotto lo pseudonimo di Antonio Drius. Grazie alla sua ricerca, Giulio conosce moltissimi di questi sindacati nella galassia di organizzazioni che nonostante la dittatura fioriscono a gran velocità nel Paese. Giulio è colpito da questa vitalità che in condizioni così difficili contiene il germe di un potenziale cambiamento, e così ne scrive in un articolo pubblicato dall’agenzia NENA (Near East News Agency) il 14 gennaio 2016 che parte con la descrizione di una partecipata assemblea tenutasi l’11 dicembre 2016:
«La giornata di venerdì 11 dicembre ha visto svolgersi un vibrante incontro presso il Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (CTUWS), fondato nel 1990, tra i punti di riferimento del sindacalismo indipendente egiziano. Sebbene la sala più grande del Centro abbia un centinaio di posti a sedere, la sera dell’incontro non riusciva a contenere il numero di attiviste e attivisti sindacali giunti da tutto l’Egitto per un’assemblea che ha dello straordinario nel contesto attuale del paese. L’occasione è data da una circolare del consiglio dei ministri che raccomanda una stretta collaborazione tra il governo e il sindacato ufficiale ETUF (unica formazione ammessa fino al 2008), con il fine esplicito di contrastare il ruolo dei sindacati indipendenti e marginalizzarli tra i lavoratori». […] «La circolare del governo, infatti, rappresenta un ulteriore attacco ai diritti dei lavoratori e alle libertà sindacali, fortemente ristrette dopo il colpo di stato militare del 3 luglio 2013, e ha così fatto da catalizzatore di un malcontento molto diffuso tra i lavoratori, ma che stentava fino ad oggi a prendere forma in iniziative concrete». […] «Gli interventi si sono succeduti a decine, concisi, spesso appassionati, e con un taglio molto operativo: si trattava di proporre e decidere insieme il cosa fare da domani mattina». […] «Da notare la presenza di una nutrita minoranza di donne, i cui interventi sono stati in alcuni casi tra i più apprezzati e applauditi dalla platea a maggioranza maschile». Giulio non manca di notare come l’ondata di scioperi avvenuta in quei giorni, seppur non coordinati, «rappresentano comunque una realtà molto significativa, per almeno due motivi. Da un lato, pur se in maniera non del tutto esplicita, contestano il cuore della trasformazione neoliberista del paese, che ha subito una profonda accelerazione dal 2004 in poi, e che le rivolte popolari esplose nel gennaio 2011 con lo slogan “Pane, Libertà, Giustizia Sociale” non sono riuscite sostanzialmente a intaccare. L’altro aspetto è che in un contesto autoritario e repressivo come quello dell’Egitto dell’exgenerale Al Sisi, il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento. Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla “guerra al terrorismo”, significa oggi, pur se indirettamente, «mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile. […] La strada appare ancora lunga e accidentata, ma è unicamente da questi fermenti sociali che può scaturire la speranza per un Egitto realmente democratico. E gli sviluppi di queste iniziative meritano di essere seguiti con attenzione e vicinanza, anche da questa parte del Mediterraneo. Sono gli stessi sindacalisti egiziani che ce lo chiedono, facendo appello a realtà sociali simili a loro in Italia e in Europa, per sviluppare forme di scambio, solidarietà e cooperazione che possano rafforzarli e incoraggiarli in questa delicata fase storica. Questi esperimenti dal basso potrebbero forse indicare anche a noi nuove traiettorie per un sindacalismo –al contempo combattivo e democratico – al passo con le trasformazioni imposte dalla globalizzazione del ventunesimo secolo».
Dall’analisi del fenomeno alle prospettive future. Anche a questo servono le tanto neglette quanto necessarie Scienze Sociali: a delineare prospettive.
Undici giorni dopo quell’articolo Giulio Regeni viene rapito e ucciso.
Il resto è la cronaca di quest’ultimo anno, che non ha soddisfatto l’esigenza, dei familiari innanzitutto, di conoscere i nomi dei responsabili di questa atrocità. Molti scenari sono stati presentati, alcuni plausibili altri inverosimili, soprattutto da parte delle autorità egiziane. Ma fra le tante parole spese in patria, alcune potevano essere risparmiate quantomeno per rispetto della famiglia: quelle che volevano convincerci di una doppia vita di Giulio Regeni, di giorno innocuo studente e di notte agente segreto, facendo proprio di fatto il termine “spia occidentale” con cui il capo del sindacato degli ambulanti sembra averlo orgogliosamente denunciato a i Servizi di Sicurezza. In questi giorni è stato diffuso sui media un video in cui si vede ciò che Giulio Regeni era e che con questo scritto si è cercato di ribadire: uno studioso, un accademico che studiava sul campo, e cercava idee con cui elaborare un progetto (riguardante l’inclusione sociale nei Paesi in via di sviluppo) da sottoporre ad un ente (una fondazione britannica, in questo caso) che, qualora lo avesse approvato, lo avrebbe finanziato. La quotidianità per qualunque ricercatore, in qualunque disciplina.
Con buona pace dei complottisti con il dolore degli altri.
Filomena Panza
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