Il ritratto della salute è un monologo che racconta un percorso di guarigione.
Chiara Stoppa ha 26 anni quando scopre di avere un tumore. Siamo nel 2005. Lo shock, la paura, i massacranti cicli di chemio, la voglia di tornare alla vita di prima, sono tutte tappe che Chiara percorre con un’incredibile energia.
Questa storia, fatta di lacrime, dolore e speranza, è raccontata con vulcanica ironia nello spettacolo andato in scena il 4 e il 5 aprile al teatro Lux di Pisa, in una serata organizzata dalla fondazione Arco e dal reparto di oncologia dell’ospedale Santa Chiara. L’incasso è stato devoluto alla fondazione per sostenere le sue attività.
Solo un piccolo tavolo di legno accompagna le parole di Chiara, un tavolo che diventa, durante il racconto, la sdraio delle vacanze in Sardegna, un letto d’ospedale, il divano della mamma, il tavolo operatorio.
La sala è piena, il pubblico assiste rapito mentre l’attrice affronta con il suo sorriso travolgente il tabù della morte. I cicli di chemio non bastano, Chiara sembra rientrare nel 20% di casi che non guariscono da questo tumore. Comincia a farsi seguire da una psicoterapeuta e qui qualcosa cambia. Fino ad ora si è limitata ad aspettare con pazienza il momento nel quale sarebbe potuta tornare alla vita di tutti i giorni.
A volte il malato fa questo, aspetta di poter tornare a vivere mentre, benchè malato, sta già vivendo! Non è ancora morto, no?
Chiara interrompe “la catena di dolore” quando i medici le propongono un’ultima prova: il trapianto di midollo osseo. I genitori non sono compatibili, l’idea sarebbe quella di utilizzare la sorella come donatrice parziale, ma l’intervento ha un’alta probabilità di fallimento.
E così Chiara rifiuta. Continua a curarsi, ma il suo atteggiamento cambia: riprende in mano la sua vita.
Oggi, dieci anni dopo l’inizio di quest’avventura, Chiara sta bene.
TuttoMondo ha avuto la possibilità di farle alcune domande. Ecco la nostra piccola intervista a Chiara Stoppa.
Ciao Chiara, su internet si trovano ovviamente un sacco di notizie sul tuo ultimo spettacolo. Vorremmo però cominciare facendo un passo indietro. Chi eri prima del tumore? Quali erano i tuoi progetti prima della malattia?
Sono friulana, nata a Pordenone nel ’79. Mi sono trasferita a Milano per studiare alla scuola del Piccolo Teatro e nel 2002 mi sono diplomata. Nel 2005, quando mi è stato diagnosticato il tumore, ero in tour a Messina. Ero una ragazza di 26 anni che cominciava a muovere i suoi primi passi nel mondo del teatro. I primi ruoli ottenuti erano dei piccoli camei.
Quando hai deciso di far diventare quest’esperienza un monologo teatrale e poi un libro?
Durante la malattia avevo voglia di scrivere, ma non ci riuscivo. Forse per la stanchezza e la fatica, o forse perché ancora ero troppo invischiata nella situazione. Una volta guarita non avevo più tempo per farlo. Poi mi sono ritrovata a raccontare la mia storia sempre più spesso. Posso dire che è stato un processo naturale. Il libro è nato dopo, un altro linguaggio per raccontare la mia storia. Non voglio però che mi si fraintenda. Io non ho soluzioni, desidero solo raccontare cosa mi è accaduto perché ho visto come le mie parole possono dare speranza. Ma ognuno deve trovare la sua strada nel processo di guarigione. Ci tengo anche a ricordare che ho lavorato a questo progetto insieme all’attore Mattia Fabris. Abbiamo iniziato a portare in giro il nostro lavoro tra il 2010 e il 2011. Ricordo una grande paura all’inizio.
Da cosa dipendeva questa paura? Dal fatto di parlare di qualcosa di così personale?
La mia paura veniva dal fatto di essere da sola in scena. Un monologo è un grande passo per un’attrice. Abbiamo cominciato facendo delle letture ad alta voce, per saggiare le reazioni. La risposta del pubblico era positiva, così il testo è diventato uno spettacolo.
Per un’attrice il corpo è fondamentale. Com’è cambiato il rapporto con il tuo corpo dopo la malattia?
Sono più in ascolto di prima. Quando sei malata ti occupi di te 24 ore su 24 ed è un grande regalo. Raramente sappiamo concedercelo. Ora sono tornata alla normalità, ma con un pizzico di attenzione e di consapevolezza in più.
Come ci si sente ad aver superato questa prova?
Ci si sente più pronti a poterne superare un’altra. A volte mi capita di pensare “ Che cosa farei se mi ammalassi nuovamente di tumore? “. La risposta è… Boh! Non saprei. Ma credo di poter dire di avere uno strumento in più.
Chiara Stoppa è una forza della natura, genuina e travolgente. La ringraziamo per la possibilità di quest’incontro e per la passione con la quale porta avanti i suoi progetti perché “Ognuno è unico e diverso!”
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