Giuliano se ne sta seduto, il sole volge lentamente verso il tramonto, il cielo per lo più limpido, solo qualche nuvola si ostina a muoversi qua e la come uno schizzo su un pezzo di tela, il tutto mentre l’orizzonte si colora di un violaceo insolito. Sulla pista davanti agli occhi di Giuliano, alcuni bambini si rincorrono, ridendo e facendo un gran baccano, un po’ più distanti mamme e papà guardano quelle schegge impazzite muoversi lungo quello spazio e si chiedono quanto ancora ci vorrà prima che si fermino stremati e poter così fare ritorno a casa. Ma i bambini possiedono serbatoi di energie nascosti e pronti all’uso per l’occorrenza. Ai lati di quel grande piazzale qualcuno beve una birra, qualche altro conversa, qualcuno nonostante la confusione gioca pure a scacchi. Giuliano ha ormai più di ottant’anni e su quel piazzale davanti a quella Casa del Popolo, anni prima aveva visto i suoi genitori ballare, quando lui stesso era un bimbetto, in quelle che erano comunemente chiamate balere, altri tempi, nelle sere calde d’estate. Ora ha gli occhi un po’ lucidi e commossi: è tristezza o felicità?
«Qua c’era un cinema una volta. E una casa del Fascio». La voce di Lorenzo è rauca ma decisa. Anche lui ha un’età abbastanza avanzata, ma il cuore è ancora quello di un ragazzino. «Poi quando la guerra è finita e i fascisti li abbiamo mandati a casa, noi ce la siamo presa. Un pezzo per volta. L’abbiamo comprata, ci abbiamo fatto i lavori. Ne abbiamo spesi di soldi». Ora il suo sguardo si riempie di soddisfazione e di orgoglio. «Dicono che nelle Case del Popolo i giovani non ci vengono più, alla fine diventiamo solo bar». Ma da qualche settimana nel suo Circolo c’è stata una bella e partecipata assemblea, un nuovo consiglio, alcuni giovani che vogliono mettersi in gioco. E la storia, in qualche modo si ripete. «In maniera diversa, certo», pensa ad alta voce Lorenzo ridendo, «ma alla fine, non abbiamo fatto quello che abbiamo fatto, per noi stessi, giusto?
«Prendi i tavoli», grida una voce di giovane donna. «Le sedie le prendo io» le fa eco un’altra ragazza in fondo. Zuppa Pisana, come da tradizione! Questo dice il cartello e può sembrare una contraddizione se fuori ci sono quasi 30 gradi. Il giardino si riempie di bambine e bambini e tante, ma proprio tante zanzare. L’organizzazione si muove in maniera incessante. Nella cucina un via vai di persone. Quello è il fulcro di tutta la serata. Entrando, quattro donne si avvicendano ai fornelli, controllano la cottura, tagliano le verdure. Ognuna mette un pezzo del proprio sapere e lo fa un po’ di nascosto, quasi gelosamente, «qua ci venivano un po’ da tutte le parti prima a prendere la zuppa pisana. Ora abbiamo pensato di riproporla con la ricetta delle nostre donnine del Circolo, anche per tenere memoria della ricetta». Era partita come qualcosa di intimo, tra pochi soci. «Ma appena la notizia si è sparsa, i numeri sono cresciuti» dice ridendo Valeria.
Luca ha lo sguardo perso nel vuoto, esausto, è stanco certo, ma anche felice. Da tre giorni chiuso in cucina, preparare contorni, primi, secondi, pulire, infornare, fare la spesa, che poi manca sempre qualcosa e alla fine correre per andarla a riprendere. «Non da solo» per questi eventi non si può essere da soli, e lui questo lo sa. «Quanti eravamo a pranzo?» gli chiede qualcuno. Lui fa spallucce. «Duecentoventi? Duecentoquaranta? Ad un certo punto ho perso il conto…». Luca ride, non è una risata forzata, ma solo stanca. In cinque o sei si sono alternati da tre giorni in quella cucina, più quelli che sono venuti a dare una mano per servire e poi quelli che hanno montato tavoli e sedie al mattino, e smontato alla sera» ci tiene a ribadire «un lavoro collettivo». C’è ancora un po’ di confusione in giro. Si comincia a pulire e a poco a poco la gente smobilita. Anche quest’anno il pranzo è andato bene e ogni anno si superano numeri che l’anno prima si dice essere davvero troppi e da non superare più. Luca è giovane, il giorno dopo gli tocca andare a lavoro. Uno di quei lavori precari. Si alzerà distrutto dopo questa giornata, «ma è il 25 aprile!» dice per farsi coraggio mentre si asciuga la fronte. Ne sarà valsa la pena? «Diamine se ne vale la pena» dice sorridendo e con uno sforzo immane si tira su, con quel poco di forza che ancora gli resta corre a dare ancora una mano ai compagni.
Come si racconta l’ARCI oggi? Mi sono fatto questa domanda molto spesso, in questi mesi, girando tanti circoli, conoscendo tante storie, parlando con molti soci e parecchi presidenti.
Forse partendo dall’acronimo: Associazione Ricreativa Culturale Italiana. O dall’anno della sua nascita: nel 1957 (anche se molte realtà sono presenti da ben prima, trovando le proprie radici nelle società di mutuo soccorso e poi alla fine della seconda guerra mondiale con le Case del Fascio, luoghi di torture e di morte, riconsegnate alla collettività come spazi sociali e di cultura, insomma di vita: le Case del Popolo). Forse potrei partire, visto il momento storico che stiamo vivendo così complesso, dai suoi membri più rappresentativi, come Tom Benetollo, storico presidente nazionale dell’ARCI, attivista e pacifista. O Forse potrei raccontarvi cos’è stato e cosa in parte continua a essere oggi l’ARCI durante e dopo la sfida del Covid. I Circoli per la prima volta chiusi, quella socialità che si è rifatta spazio un po’ per volta, faticosamente. I regolamenti sul distanziamento, sul gioco delle carte e persino quello per sfogliare i giornali! Eppure le nostre realtà si sono mobilitate quasi subito per raccogliere cibo, per consegnare pacchi, per collaborare con i propri comuni e consegnare mascherine e buoni per la spesa. O forse dovrei partire dal dopo, da quel tentativo più recente di ripartire. Festival, pranzi e cene, balli, sagre, spettacoli musicali e teatrali, presentazione di libri, convegni e dibattiti, iniziative per bambine e bambini.
Probabilmente ognuna di queste cose è stata ed è l’ARCI, ma sono soprattutto alcune delle tante storie che ho provato a selezionare nella mia testa, nei tanti viaggi nei circoli che ho fatto, nelle iniziative a cui ho preso parte. Ognuna è un modo diverso di guardare alla stessa cosa. Un mondo, come quello della nostra associazione, che si trova ad affrontare grandi e profondi cambiamenti (non ultima la riforma del terzo settore), con sempre più obblighi e burocrazia, con sempre meno fondi e aiuti, e lo fa provando a reinventarsi, a reimmaginarsi, senza perdere la propria storia, senza dimenticare la strada fatta, le persone che lo hanno reso possibile, gli uomini e le donne che ci hanno consegnato questo immenso patrimonio materiale e immateriale.
L’ARCI a Pisa, che è solo un pezzo territoriale e non provinciale, sono quasi novanta basi associative, migliaia di persone iscritte nei soli comuni di Pisa, Cascina, Calci, Vecchiano, Vicopisano, San Giuliano Terme, Volterra, Pomarance, Castelnuovo Val di Cecina.
Non è sempre facile e non siamo una realtà perfetta, ma siamo forse una delle poche organizzazioni che ancora credono e praticano la democrazia. Nei nostri Circoli, se hai una tessera, non sei un cliente, sei un socio, ovvero partecipi alle assemblee, promuovi e proponi iniziative, puoi candidarti e stare negli organismi associativi. Fai parte a pieno titolo di una collettività. Nell’Italia dei Sindaci eletti con il 40% e i Parlamenti con il 60%, dove la partecipazione viene ostacolata, noi siamo ancora uno spazio attraversabile, democratico, anche se con valori che sono per noi irrinunciabili e non negoziabili, come l’antifascismo, l’antirazzismo e il pacifismo, solo per citarne alcuni.
Questo non vuol dire che non siamo soggetti anche noi a contraddizioni, siamo anche noi infatti corpi sociali intermedi che hanno vissuto una drammatica crisi negli ultimi due decenni, ma riusciamo ancora a essere un punto di riferimento per molteplici battaglie sociali e culturali, a essere ancora e nonostante tutto una Casa accogliente tanto per le singole persone che per tante realtà associative che nei nostri Circoli non solo trovano ospitalità, ma spesso rappresentano un prezioso protagonismo nella vita dei nostri spazi sociali.
Forse ancora non so bene come descrivere cos’è l’ARCI, perché è un corpo vivo e complesso, capace ancora di cambiare e di mettersi in discussione, a volte con passo lento, altre volte più deciso, ma sempre sulla stessa strada, con una buona stella a orientarci quando ci sentiamo smarriti.
Così se passate davanti a una delle nostre Case del Popolo, tra una briscola calata con veemenza sul tavolo, una partita a ping pong o biliardino, tra un concerto o una presentazione di un libro, tra un pranzo o una cena, tra un evento per bambini o più semplicemente per due chiacchiere a un tavolino, fermatevi, osservate quello che c’è intorno a voi e superata la prima immagine da Città Vecchia di De Andrè, entrate dentro: abbiamo bisogno anche di voi e della vostra storia.
MD
La redazione ringrazia Mario Dimonte – vicepresidente Arci Comitato Territoriale di Pisa – per questo fotogramma che ha voluto regalarci, un ricordo coinvolgente per raccontare cos’è l’ARCI oggi, nel 2024. Ed è con questa testimonianza che Tuttomondonews apre un nuovo spazio, dedicato appunto ai Circoli Arci.
I circoli Arci, o Case del Popolo, come le chiamavano i nostri nonni, sono spazi sociali che, almeno nell’Italia centrale, sono presenti in ogni quartiere e ogni paese anche il più piccolo.
Esistono da tantissimo tempo e questa loro presenza, questa capillarità li rende un luogo conosciuto, un luogo che caratterizza il territorio; per molti un “luogo del cuore”. Sarebbe quasi impossibile pensare un quartiere o un paese senza il suo circolo Arci. È anche per questo che possiamo dire che i circoli Arci fanno parte della nostra storia, del nostro vissuto indipendentemente da quanto tempo ognuno di noi vi abbia trascorso al loro interno. Tuttomondonews ha scelto di dedicare loro uno spazio, perché, pur con tutte le loro criticità, sono, sopratutto oggi – nel 2024 – in una società sempre più frammentata e fortemente individualista un presidio importante da salvaguardare e da conoscere.
- Circoli Arci. Tra storia e realtà - 24 Maggio 2024