Cirillo ci racconta…Finzioni

 

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Questo mese ospitiamo una voce giovane, ironica e interessante: quella di Jacopo Cirillo, conosciuto all’Internet Festival di Pisa, al quale ha preso parte come ospite.

Quali parole migliori per presentarlo, se non quelle del suo blog letterario Finzioni? 

“Jacopo Cirillo non è mai riuscito a spiegare a sua nonna cosa fa nella vita. Prima per colpa della semiotica, adesso per colpa di Topolino. Ha co-fondato Finzioni solo per poterle dire: faccio il co-fondatore di Finzioni, ma anche così non è che la situazione sia migliorata molto. Poi si è messo a scrivere pure per Serialmente e allora arrivederci”.

Jacopo Cirillo nasce a Faenza nel 1982, si laurea in semiotica, vive a Milano e la sua missione è quella di smettere di dire che la letteratura è una roba noiosa e per menti nobili e farne invece una cosa davvero divertente e un pò più alla portata di tutti.

Ho digitato sulla tastiera del mio PC il tuo nome… bene le cose da dire, che sono uscite fuori, sarebbero tantissime. Provo a iniziare da quello che tu stesso dici di te sul tuo profilo Twitter: Scrivo storie per @TopolinoIT, ho fondato @Finzioni, vaneggio su @LKcultura e sono il ghost writer di Paperinik…                                                            Ti va di parlare dei progetti dei quali ti occupi e delle novità che bollono in pentola?

Sì, dunque, andiamo per ordine. Scrivo storie per Topolino, ed è una delle cose più divertenti che possano capitare a chiunque, soprattutto a chi Topolino l’ha sempre letto. Ho iniziato poco più di due anni fa ed è stato particolare perché era il mio sogno da bambino, di quelli tipo fare il capostazione o l’astronauta, e quando ci sono riuscito ho pensato che dopo tutto quello che Topolino mi ha dato nella vita (ho iniziato ad avere l’abbonamento a cinque anni e non ho ancora smesso) era il momento di dare qualcosa in cambio e portare la mia esperienza e le mie passioni al suo servizio. Quasi una missione, più che un lavoro. E ci sto provando, sono ancora all’inizio e devo imparare moltissime cose, ma la strada sembra quella giusta.

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Poi, a partire da questo, gestisco la parte web legata a Paperinik: il blog, la pagina facebook di PK e il profilo twitter di PK. Qui ho la possibilità di avere un contatto diretto e quotidiano con i lettori, più o meno giovani (sul blog hanno 10-12 anni, su facebook e twitter ci sono anche molti over trenta). E non mi sono sorpreso neanche troppo all’ennesima dimostrazione dell’intelligenza e soprattutto della velocità di ragionamento dei più piccoli, sottovalutati troppo spesso ma in grado di recepire ed elaborare stimoli molto più complessi di quello che si crede.

Poi c’è Finzioni, che è diverso da tutto il resto perché è nato come un mio piccolo progetto personale nel 2008 e, in quasi cinque anni, è diventato un sito strutturato e collettivo che ha accolto un sacco di persone accomunate dalla passione per il lato divertente e giocoso della letteratura e dal rispetto totale per il lettore e le sue opinioni e per quella cosa meravigliosa che è l’esperienza di lettura.

Proprio in questi mesi stiamo lavorando molto per una nuova versione di Finzioni, pronta probabilmente a inizio 2015, con alcune novità legate alla grafica, all’organizzazione dei contenuti e ai contenuti stessi. E ci stiamo divertendo molto e credo che verrà fuori una bella cosa.

E poi quando posso scrivo in giro, spesso di letteratura ma anche di serie tv (ne guardo davvero tante e, come forma narrativa, sono un po’ una mia ossessione), soprattutto per Linkiesta, che è un giornale on-line fatto davvero bene, con un progetto solido alle spalle e una redazione di ragazzi che hanno voglia, grinta e capacità per creare qualcosa di davvero nuovo, giornalisticamente parlando, in Italia. Nel tempo libero collaboro con RCS (uno dei principali gruppi editoriali multimediali a livello internazionale ndr) e con il Corriere della Sera e organizzo un sacco di presentazioni di libri ed eventi a Milano, sempre con la stessa idea di trattare la cultura come un divertimento, come un momento profondo, complesso ma, allo stesso tempo, leggero e alla portata di tutti. Ma davvero di tutti.

E poi cerco di leggere più libri possibili, soprattutto quelli appena usciti e qualsiasi cosa sia mai stata scritta di quello che è, a mio parere, il più grande autore a cavallo tra il ‘900 e il primo secolo del 2000, e cioè Stephen King.

Leggo che nasci a Faenza nel 1982 e ti laurei in semiotica all’università di Bologna. Data la tua formazione e i tuoi studi, non posso non chiedermi da dove nasca la tua passione per la letteratura e quando abbia preso corpo l’idea di farne un vero e proprio mestiere.

La storia è andata così: mi ero appena laureato in semiotica, materia che, con tutti i suoi difetti, è comunque talmente astratta e speculativa da risultare un ottimo allenamento cerebrale per l’apprendimento di concetti complessi. Durante un pomeriggio speso a mandare curriculum a caso dappertutto, ho iniziato a guardare qualche sito letterario in giro per la rete (era il 2008, quelli grossi erano Nazione Indiana, Carmilla, Il primo amore, Le parole e le cose) e mi sono accorto, non senza sorpresa, di non capirci nulla. Oh, NULLA.

Articoli lunghi 20.000 battute, pieni di paroloni e ragionamenti totalmente incomprensibili. Ora, in un caso come questo, la prima cosa che ti viene in mente è che il problema sia tuo, che sia tu che non capisci, magari per qualche tuo limite. Poi però mi sono reso conto che, effettivamente, la letteratura, e la cultura in generale, venivano messe in discorso nei modi più noiosi e pesanti possibili, una sorta di fluido respingente che allontanava i lettori e corroborava quell’ idea (sbagliatissima) secondo la quale la letteratura è una cosa seria e c’è poco da scherzare. Secondo me c’è invece moltissimo da scherzare e dunque, visto che al tempo non lo faceva nessuno, ho provato a farlo io. E con grande sorpresa, dopo qualche mese, ho trovato tantissime persone in giro per internet che la pensavano come me e da lì è nato tutto.

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Finzioni, blog letterario collettivo nato nel 2008, per me è stata una palestra e un curriculum: ho imparato a scrivere, ho trovato una mia voce e, quando è iniziato ad andare bene, per me è stato anche una voce di curriculum molto importante, da usare nei colloqui o nelle mail di presentazione. Invece di raccontarti chi sono e cosa faccio, te lo mostro direttamente. Ed ha funzionato e in quel momento ho capito che, con molta fatica, avrei potuto provare a pagarmi le bollette e l’affitto con quella roba lì. Perché alla fine secondo me il passaggio fondamentale è questo: rendersi conto che si può fare, che non è impossibile. Poi ci si va su dietro, con un po’ di fortuna e molti compromessi. Ricordo che, quando ancora non avevo finito gli esami, quando mi chiedevano che cosa volevo fare da grande io non ne avevo la più pallida idea – non ce l’ho nemmeno adesso – ma avevo ben chiaro in testa chi volevo essere da grande, la vita che avrei voluto fare. E da quel momento, tutti i miei sforzi sono stati orientati all’obiettivo. Obiettivo che, effettivamente, significa non sapere quanto guadagnerai alla fine del mese né che lavoro farai il mese dopo. Ed è proprio questo il bello.

Venendo al successo del blog Finzioni, quali sono state le difficoltà maggiori che avete incontrato e quali invece le maggiori soddisfazioni?

Finzioni nasce con l’idea di trattare la cultura come una cosa popolare, come un divertimento, qualcosa che ti arricchisce e non che ti complica la vita e ti confonde le idee. Le difficoltà stanno tutte nella durata, nel tempo. Secondo me un sito del genere funziona nella misura in cui riesce a stare in piedi, ad avere per anni, ogni giorno, contenuti sempre nuovi da proporre con una linea editoriale molto chiara: possiamo parlare di mille cose diverse, ma il modo in cui ne parliamo è sempre quello, ed è il modo di Finzioni. Le soddisfazioni sono state tantissime: le prime volte che ti scrivono gli editori e che vogliono mandarti i libri da recensire, le prime volte che ti scrivono gli autori dicendo che hanno letto quello che hai scritto su di loro, le prime volte che a un evento legato all’editoria qualcuno ti ferma e ti dice: ehi ma tu sei quello di Finzioni.

E, soprattutto, la consapevolezza che qualcosa a cui teniamo così tanto sia letto e apprezzato anche da altri, da persone che non abbiamo mai conosciuto e che probabilmente non conosceremo mai.

Quali pensi possano essere le opportunità di crescita di Finzioni e quali le nuove sfide per il suo futuro?

La questione della crescita è un discorso spinoso, soprattutto per un sito di letteratura.

Perché gente che legge, lo sappiamo, ce n’è poca. Gente che, dopo aver letto, vuole anche leggere ulteriori ragionamenti sulla lettura, ancora di meno. Quindi non penso che la crescita sia legata direttamente e univocamente all’aumento di visitatori. Piuttosto credo che l’ambizione debba essere legata al ruolo del sito e delle sue idee sulla letteratura nel dibattito culturale italiano. La sfida vera, tuttavia, è sempre una: fare di Finzioni un lavoro. Magari non per diventare ricchi ma poter riuscire, se non a viverci, almeno ad arrotondare. E lo dico non per avidità o per sfruttamento economico della cultura, quanto semplicemente perché se Finzioni potesse essere il nostro lavoro, lo faremmo sicuramente meglio. E questa è sempre la cosa più importante per tutti i progetti che nascono su internet, in mezzo a migliaia di altri progetti simili: la qualità costante nel tempo (che mi pare fosse anche il payoff di qualche pubblicità degli anni 80, ma va be’).

Leggendo quello che scrivi, è impossibile non apprezzare la tua creatività e la tua notevole dialettica. Credi che scrivere e saperlo fare bene sia una dote naturale o che sia un tecnica che si possa affinare con lo studio e l’impegno? Prima di diventare bravo con le parole, sei stato anche un appassionato lettore? Quali letture e autori ti hanno ispirato?

Secondo me non esistono doti naturali. Ecco, l’ho detto. O, meglio, esiste il talento e la predisposizione, ma tutto quello che hai, lo costruisci. Lo puoi costruire. La scrittura, ancora di più, è studio, impegno ma soprattutto allenamento. Bisogna scrivere un sacco, e non sono vere tutte quelle minchiate per cui ormai con gli sms e i social network i giovani stanno disimparando a scrivere perché usano le kappa eccetera. Tutto fa brodo, tutto funziona. Poi, ovviamente, bisogna anche avere qualcosa da scrivere.

Io penso che, soprattutto in un tipo di lavoro da freelance in questo campo, il rapporto tra input (quello che vedi/leggi/ascolti) e output sia di 10 a 1. E poi penso che leggere un libro, guardare un film, seguire una serie tv, ascoltare un disco o giocare a un videogioco siano la stessa identica cosa e abbiano la stessa identica dignità e importanza, culturalmente parlando. È importante immergersi nel proprio tempo, vedere in che direzione stiamo andando a livello culturale, narrativo. E incamerare molte più cose di quelle che si scriveranno.

Parlando di lettura, non ci sono autori singoli o libri singoli o generi singoli che mi hanno ispirato, la lettura è bella quando è schizofrenica, quando leggi un po’ di tutto. Se però devo dirne due, uno è sicuramente Borges e Finzioni, il suo libro più bello. E il secondo è il Maestro di tutti noi, la narrazione incarnata, e cioè Stephen King, spesso sottovalutato e relegato allo scaffale del supermercato ma che, al contrario, rappresenta davvero l’eccellenza nel raccontare storie. Pochi orpelli e poche tecniche: raccontare storie e basta. Che è quello di cui abbiamo bisogno tutti.

Quali credi siano le risorse necessarie per emergere rispetto a un coro di voci spesso anonime e poco stimolanti? E quali credi siano state e siano tuttora le armi vincenti che ti hanno permesso di farti spazio in una realtà fatta di un’offerta informativa pressoché sterminata, anche se non necessariamente di qualità?

Bisogna trovare la propria voce. Provo a ragionare: sicuramente conta la qualità di quello che scrivi e l’articolazione dei tuoi pensieri. Se scrivi minchiate, non ti calcola nessuno. D’altra parte, però, opinioni e posizioni opposte possono trovare ammiratori e detrattori opposti, è difficile mettere d’accordo tutti, sia in positivo che in negativo.

E qui arriva la voce, la riconoscibilità. Secondo me, quello a cui tutti dovrebbero aspirare è: se qualcuno legge una cosa che hai scritto tu (fumetto, articolo, libro, racconto, saggio) senza sapere che l’hai scritta tu, non deve avere dubbi sulla paternità. Ti devono riconoscere anche senza la firma, perché la firma è il modo in cui scrivi, diretta conseguenza del modo in cui ragioni. E non c’è il ragionamento giusto o sbagliato, come non c’è una lettura giusta o sbagliata di qualsiasi libro.

E poi, se davvero scrivi quello che senti, se sei onesto in quello che fai (e per onestà intendo che non vuoi fregare il lettore, non che paghi le tasse), allora naturalmente scriverai meglio, ti spiegherai meglio e sarà più piacevole leggerti.

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In una società non più così affezionato alla lettura, quanto credi sia importante invece oggi leggere, conoscere e informarsi e quali potrebbero essere le strategie adatte a risvegliare la curiosità e l’interesse dei lettori giovani e meno giovani?

Come dicevo prima, io non sopravvaluterei l’importanza della lettura. Ormai, leggendo su twitter o in giro per internet, sembra che leggere sia diventata l’ultima speranza del genere umano. Persone che scrivono “leggere è la mia vita”, ecco, a me fanno pure un po’ incazzare, perché leggere non è la mia vita e non dovrebbe essere la vita di nessuno. E meno male. È importante però essere a contatto con la cultura popolare, con lo zeitgeist. Non ti piace leggere? I fumetti hanno anche le figure. Non ti piacciono i fumetti? Guardati una serie. Troppo lunga? Prenditi un film. Troppo complicato? Gioca a un videogioco. Va bene tutto. Ma davvero, va bene tutto.

Altrimenti finiamo col conferire alla lettura un ruolo troppo grande e rendere la cosa un po’ troppo manichea per essere effettivamente recepita dal pubblico.

Mi piacerebbe concludere l’intervista con un  suggerimento rivolto ai nostri lettori.  Tu rappresenti uno di quei fortunati che vive inseguendo le proprie passioni. Che cosa diresti a noi giovani, un po’ sfiduciati nel futuro, rispetto alla possibilità concreta di riuscire a fare ciò che ci appassiona? Qualche consiglio prezioso per non mollare alla prima difficoltà?

Secondo me la cosa importante è questa: si può fare. È difficile, ci sono compromessi, si dovranno fare cose noiosissime per pagare l’affitto e avere il tempo per fare quello che ci appassiona davvero, ma si può fare. E ci vuole pazienza. Molta pazienza. Finzioni, per i primi tre anni, aveva una ventina di lettori, comprese tutte le nostre nonne. Per tre anni. Tre anni sono lunghi, e avremmo potuto mollare. Anch’io ho avuto esperienze lavorative allucinanti.

Ecco, pazienza. Piano piano, se ci credi (o, meglio, se ne sei certo, perché la speranza serve a poco, la certezza, anche forse un po’ cieca e irresponsabile, è molto più utile), alla fine ce la fai.

E non ti devi chiedere “se”, ma piuttosto “quando”.

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 Biancamaria Majorana

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