Claudio Selva è nato a Pisa nel 1983. Suscettibile alla noia, cambia spesso casa e mestiere. È vegetariano. Veste prevalentemente di nero. Nel 2010 si è laureato in filosofia con una tesi sul concetto di inibizione nelle teorie del biologo franco-vietnamita Henri Laborit.
Così la casa editrice I Sognatori Factory Editoriale presenta, sul suo sito, uno dei propri giovani autori, del quale ha pubblicato il primo libro, “Y“.
- Nasci a Pisa nel 1983 e ti laurei in filosofia… Da dove viene la tua attitudine per la scrittura?
CS: Credo dalla passione per la lettura e dal piacere che ho sempre provato perdendomi in ciò che immagino.
- Prima che scrittore, sei stato un assiduo lettore, quali sono gli autori e i titoli che ti hanno ispirato maggiormente?
CS: I miei autori di riferimento sono Nabokov, Céline, Kafka e Flaubert, ma in Y si notano di più le influenze di P. Dick e dei film di Lynch… forse anche del “Majakovskij” di Carmelo Bene, un LP che ascoltavo spesso mentre scrivevo.
- Y è la tua prima pubblicazione, quando hai iniziato a scrivere e quando ha preso forma l’idea di realizzare un libro?
CS: L’intenzione di scrivere “sul serio” è nata quando facevo le superiori, dopo avere letto Dostoevskij, ma sono sempre stato molto critico con ciò che scrivo, quindi ho cestinato tutti i miei primi racconti. Prima di proporre Y a un editore ci ho lavorato per anni. Tutt’ora cambierei qualcosa, se potessi. Un testo si può migliorare quasi all’infinito, finché non viene pubblicato… pubblicare significa rinunciare a questa possibilità, ma è un passaggio necessario. La scrittura, ovviamente, è una forma di comunicazione e dire “io scrivo per me stesso” equivale a dire “io parlo per me stesso”.
- Dopo Y, sei già alle prese con la scrittura di un nuovo lavoro?
CS: Sto scrivendo una raccolta di racconti erotici un po’ particolari, e un noir in cui il narratore è un latitante che espone la propria versione dei fatti.
- Veniamo a Y. È il tuo primo libro, pubblicato dalla casa editrice i Sognatori Factory nel 2014.
“Fa poco il dottore verrà a prendermi con due infermieri. Mi faranno il Trattamento. Forse stanotte verrò rapito, portato nei sotterranei. Mentirei se dicessi che non m’importa ma ora, qui sulla carta, nel mio mondo, con la penna in mano, tutto questo non esiste”.
Da dove è nata l’idea di scrivere Y, che potremmo definire un pò anarcoide e decisamente sperimentale, senza lasciare da parte una bella dose di ironia e divertimento?
CS: Volevo esordire con un libro dalla struttura originale, nel quale fossero ridotti al mimino i cliché narrativi usati per tenere alto l’interesse del lettore. Volevo che Y fosse un romanzo godibile, e che per essere godibile non avesse nemmeno bisogno di essere un romanzo.
- Perchè questo titolo, Y?
CS: La lettera Y è il modo più sintetico di rappresentare la struttura del libro: ci sono due linee narrative principali che idealmente convergono a formarne una (in effetti il libro ha una struttura molto particolare, segue due narrazioni apparentemente differenti, sviluppate una su un lato del libro e l’altra rovesciandolo, Ndr). In un certo senso il titolo va “guardato”, non “letto”. Questo si collega a uno dei dialoghi più importanti, nella seconda parte.
- C’è una pagina o un capitolo di Y al quale sei più affezionato?
CS: Ogni tanto mi piace rileggere “Questo non è un aneddoto”, “La parabola di Guglielmo Ferrucci”, “Luce del nord” e vari brani sparsi della seconda parte.
- Per i numerosi personaggi che popolano Y, ti sei ispirato a qualcuno in particolare?
CS: A volte sì, ma non sempre a persone che conosco; ad esempio il personaggio di Ezra è nato quando ho visto in internet la foto di una ragazzina: mi ha subito colpito lo sguardo e il modo in cui stava seduta. Denise e Luca sono davvero una coppia, anche se nella realtà hanno nomi diversi. Sene Diouf, Mario e Antonino Ciambrana li ho conosciuti quando lavoravo come cuoco in un ristorante della costa livornese, nel 2003.
- Quale è stato l’impatto di Y con il pubblico e come procedono le vendite?
CS: Finora ho ricevuto solo complimenti, ma d’altra parte è difficile che uno si prenda il disturbo di andare a fare critiche all’autore. Le vendite vanno bene, le copie della prima edizione sono state esaurite e ora il libro è in ristampa.
- Per concludere… oggi Claudio Selva si definirebbe uno scrittore?
CS: Sicuramente mi ritengo uno scrittore, ma non è che la cosa abbia molta importanza. Chiunque oggi può definirsi o essere definito scrittore, il tizio che fa stampare a proprie spese una raccolta di poesie da distribuire ai parenti, il personaggio televisivo che pubblica un romanzo e vende centomila copie… Come sanno bene i politici e i pubblicitari, il linguaggio non ha niente di oggettivo, si presta a chi lo usa: la lingua italiana, come tutte le lingue, è “puttana”. È anche per questo, che scrivo racconti erotici.
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