Il cosiddetto Corridoio Vasariano, dal nome dell’architetto che, nel 1565, ne progettò la struttura, ossia Giorgio Vasari, nacque con l’intento di fornire ai Medici un passaggio privilegiato in grado di collegare Palazzo Vecchio, fulcro della vita politica fiorentina dell’epoca, a Palazzo Pitti, residenza della famiglia regnante.
Era stato Cosimo I Medici, probabilmente per volontà, e forse per capriccio della moglie Eleonora da Toledo, a orientare la propria sfera privata al di là dell’Arno, scegliendo Palazzo Pitti, dotato di un maestoso giardino godibile soprattutto durante l’afoso periodo estivo, come dimora ufficiale dei granduchi.
Tale decisione, però, esponeva i membri della famiglia, costretti ad attraversare la città per spostarsi dalla sede istituzionale a quella privata, ad una serie di pericoli. Trovandosi in una fase politica che vedeva i Medici come gli artefici dell’abolizione della Repubblica, nonostante le loro funzioni fossero simboliche già da quasi un secolo, questi, temendo la vendetta delle fazioni avversarie, si sentivano vulnerabili ad attentati e congiure.
Per salvaguardare se stesso e i propri famigliari, Cosimo I decise, quindi, di commissionare ad uno dei suoi artisti di fiducia la realizzazione di un passaggio sopraelevato che, sfruttando edifici cittadini già esistenti, per circa un chilometro, permettesse ai signori di muoversi in sicurezza senza avere contatti con il popolo sottostante. Il Corridoio fu realizzato in soli 5 mesi, in occasione del matrimonio del principe Francesco Medici con Giovanna d’Austria. Il regalo di nozze del padre Cosimo fu particolarmente gradito dal figlio Francesco tanto che, pare, si servisse del percorso nascosto non solo per i già espressi motivi politici ma anche per raggiungere la sua amante ufficiale, Bianca Cappello, alla quale aveva donato un palazzo nella zona di Santo Spirito, ancora oggi facilmente riconoscibile per una decorazione a grisaille in bianco e nero.
Il visitatore accede al Corridoio dall’inizio del secondo braccio della Galleria degli Uffizi; da qui il percorso procede attraverso l’Arno grazie ai piani alti delle costruzioni di Ponte Vecchio, luogo un tempo adibito al mercato delle carni data la vicinanza al fiume che permetteva un più agile, ma sicuramente poco igienico, smaltimento dei rifiuti. Una volta progettato il Corridoio, lo spazio fu riorganizzato sostituendo le antiche macellerie con le tuttora esistenti prestigiose botteghe orafe, meno maleodoranti e più consone alla vista di un principe.
È proprio grazie alla presenza del passaggio mediceo nella sua struttura che Hitler, pur avendo fatto bombardare tutti gli altri ponti cittadini, decise di risparmiare Ponte Vecchio dalla furia distruttrice della Seconda Guerra Mondiale, permettendogli di sopravvivere come unica via di congiunzione tra le due parti di Firenze separate dall’Arno. Inoltre, alcune delle finestre di questa sezione, più grandi rispetto alle originali, modificate negli anni ’30 in occasione della visita italiana del Fürher per la firma dell’accordo Italia-Germania, offrono un suggestivo scorcio panoramico sulla città, sconosciuto agli occhi dei più. Le aperture rinascimentali appaiono tutt’ oggi diverse nelle due pareti della struttura; medie e rettangolari sul lato del fiume, meno soggetto ad attacchi esterni, strette ed ovali verso la strada. Oltre che da motivi di sicurezza, tale scelta formale era stata dettata anche da ragioni politiche, in quanto la particolare forma degli oblò consentiva di ascoltare le notizie circolanti in strada, potendo così valutare, senza essere notati, il grado di consenso della cittadinanza verso la signoria.
Una volta superato l’Arno, il Corridoio, snodandosi tra torri e palazzi nobiliari con un andamento contorto e su più livelli, passa anche in corrispondenza della porzione alta dell’abside di Santa Felicita, una delle Chiese medicee. Qui i granduchi, accedendo ad una sorta di balcone interno, potevano assistere alla celebrazione delle messe giornaliere mantenendo il distacco dal resto del popolo.
Una volta giunto nell’ultimo tratto del passaggio privato, nascosto tra i vari palazzi fiorentini, ricalcando le orme dei Medici, il visitatore può usufruire di ben due uscite: una esterna in prossimità della Grotta del Buontalenti e comunicante con il Giardino di Boboli, l’altra, ancora coperta e soprelevata, che immette direttamente al piano nobile di Palazzo Pitti.
Attualmente nel Corridoio sono esposti 830 dipinti, ritratti e autoritratti, facenti pare di una collezione che arriva a contarne circa 1300. I quadri, tutti di dimensioni comprese tra i 33×35 cm e i 50×70 cm, per renderne più organica la disposizione, sono spesso stati inviati personalmente dagli autori con il preciso intento di promuovere la propria arte. Le tele, ordinate in senso cronologico dal Seicento fino ai giorni nostri, offrono uno sguardo generale delle varie fasi artistiche. Si comincia con la scuola carraccesca, quella napoletana e la meno celebre scuola fiorentina, passando dal ‘700 veneto fino a Pompeo Batoni. Senza dimenticare i lavori di pittori nordici come Rubens e Van Dyck, si trovano poi esempi del Romanticismo e delle diverse scuole regionali, quindi ritratti e autoritratti di Macchiaioli e dei maestri del Divisionismo, del Futurismo, della Metafisica, dell’ Arte Informale fino ad arrivare al New Futurismo di Pistoletto e alla videoarte di Bill Viola.
Info
La visita dura circa due ore ed è necessaria la prenotazione. Data la ridotta dimensione degli spazi sono previste visite di gruppi costituiti da 20-25 persone max. Per maggiori informazioni rivolgersi alla Galleria degli Uffizi.
Cristina Gaglione
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Non è assolutamente vero che i tre grandi finestroni del Corridoio vasariano (che guardano a valle) siano stati aperti negli anni ’30 in occasione di una delle visite di Hitler a Firenze. E’ una sciocca favola. Furono aperti nel 1861 per permettere al Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, di assistere a uno spettacolo pirotecnico, il 15 aprile di quell’anno. Talvolta le guide cartacee spacciano per vere verità non suffragate dai documenti.
(Marco Ferri)
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Ringraziamo il nostro lettore Marco Ferri che ci dà l’occasione di approfondire la questione: in effetti l’apertura delle finestre è precedente, come il verbo “modificate” (nell’articolo) e come il lettore suggeriscono. Esse sono state adattate durante il periodo fascista per risultare coerenti con le richieste formali dell’arte di Regime. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo a un articolo dello stesso Ferri.
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