Il cinema italiano tra thriller e horror
Tuttomondo dedica il mese di febbraio ai duelli. Scontri tra personalità, filoni, concetti, linee di pensiero e scuole che hanno animato il dibattito nei relativi settori d’interesse. Nel cinema questi scontri hanno spesso riguardato lo star-system a stelle e strisce, tuttavia c’è una piccola grande storia che vale la pena essere riportata a galla. Questa storia riguarda lo scontro, il paragone, il duello (chiamatelo come volete), tra due maestri del cinema di genere italiano: Dario Argento e Lucio Fulci. Per sgomberare subito il campo da fraintendimenti è giusto dire che questo articolo alla fine non darà alcuna medaglia e non dichiarerà alcun vincitore o vinto; avrà solo il compito di osservare e riportare percorsi, linee di contatto, meriti e demeriti di questi due giganti della settima – e insanguinata – arte.
Per tentare di capire le differenze tra i due registi è giusto andare all’inizio della storia. Da una parte c’è Lucio Fulci, classe 1927, esperto di jazz, marxista, studente fallito in medicina, studente promosso in lettere (anche se l’amico di allora, il pittore Achille Perilli, affermò di non ricordarsi Fulci iscritto in una facoltà universitaria), genio irrequieto che ebbe modo di sbeffeggiare Luchino Visconti al C.S.C. per via delle scene da lui plagiate in Ossessione da Jean Renoir. In ambito lavorativo lo vediamo già attivo negli ambienti romani già nel 1950, anno in cui è assistente alla seconda unità per Gli ultimi giorni di Pompei fino agli anni ’51-58 nei quali, collaborando con Steno, mette mano a sceneggiature importanti come Un americano a Roma e Piccola posta; l’esordio dietro la macchina da presa avverrà con I ladri, film con Totò del 1959.
Dall’altra parte c’è Dario Argento, nato nel 1940, maoista più che marxista (almeno negli anni ’70), proveniente da una famiglia benestante (il padre è un produttore e la madre la fotografa di dive, Elda Luxardo). Anche se il primo passo di entrambi nel mondo del cinema è stato quello di approntare sceneggiature, si può vedere come il loro cursus honorum fu molto diverso. Dopo un periodo passato a fare il bohemien a Parigi, Argento torna in Italia e dopo una breve gavetta diventa critico cinematografico di Paese Sera, giornale vicino al Partito Comunista Italiano; scrive molte recensioni ma non si fa amare dai colleghi del giornale visto che i suoi campi d’interesse erano il western, l’horror, il poliziesco e la fantascienza, ovvero fatuo divertimento americano, secondo i dettami del Partito di allora. Stessa sorte – quello di non essere amato dalla sinistra più ufficiale – toccò anche a Fulci, che quasi per dispetto veniva recensito positivamente dai giornali di destra. Alla regia arrivò dopo importanti sceneggiature come Metti una sera a cena e C’era una volta il west.
Arriviamo alle regie e alle differenze o coincidenze stilistiche di questi due cineasti. Sarebbe troppo facile individuare solo i momenti in cui i due registi hanno abbracciato scelte tematiche simili e sarebbe troppo semplicistico “accusare” il buon Fulci di aver sempre seguito i passi dell’autore più giovane solo per spirito di emulazione. C’è di più. Fulci è uno che non si è mai posto il problema di cosa girare: dal 1959 al 1968 gira 20 film, tra commedie, musicarelli, stringe un vincente sodalizio con Franco & Ciccio e soltanto dal 1969 in poi comincerà ad arricchire la sua filmografia anche con thriller e horror, mentre Argento – con l’eccezione de Le cinque giornate – dedicherà ogni capitolo della sua filmografia a quei generi.
La lunga gavetta espletata da Fulci lo porterà a realizzare nei primi mesi del 1969, negli Stati Uniti, il suo primo thriller intitolato Una sull’altra. A proposito di questo film, qualche anno dopo, Fulci ebbe a dire che il film aveva un risvolto finale che «Argento ha visto tre volte ma non riesce a copiarlo». Sempre nel medesimo anno, Argento comincia a girare la sua opera prima; lui, al contrario di Fulci, non ha alcuna esperienza attiva sul set. Grazie ai soldi racimolati dal padre e dalla neonata SEDA Spettacoli S.p.a., Argento riesce a debuttare con L’uccello dalle piume di cristallo, con una sceneggiatura derivata da un racconto di Fredric Brown e finalmente ottiene il totale controllo dell’opera, visto che i precedenti produttori volevano che quella sceneggiatura venisse girata o dall’esperto Duccio Tessari o dal bondiano Terence Young. Già da questo primo approccio al thriller dei due autori è possibile ravvisare un’importante differenza: Fulci gira quasi tutto all’estero e sul finale di Una sull’altra entra nell’inferno di San Quintino, il carcere più antico della California, mentre Argento – cosa che faceva storcere il naso ai produttori pre-SEDA – ambienta tutta la storia a Roma. Entrambi guardano al passato, ma in modo diverso: il primo si inserisce nel filone inaugurato da I diabolici e lambisce echi hitchcockiani (La donna che visse due volte) ma riesce ad essere innovativo grazie a un approccio sul tema doppio che sembra quasi anticipare De Palma. Questi ingredienti ci portano verso un finale “da inchiesta” che rappresentava un unicuum nella storia del cinema italiano; Argento invece guarda a Mario Bava, rimane ancorato alla tradizione italiana del thriller (Sei donne per l’assassino su tutti) ma rivoluziona anch’esso il genere, visto che non dà alcuna facilitazione visiva allo spettatore, confonde le carte in tavola, bara e tradisce le regole del giallo classico.
Le coincidenze e le differenze andranno sempre di pari passo nella carriera dei due e anche quando la coincidenza di temi e tempi sembrerebbe gridare al plagio, ecco che gli stili dei due cineasti riescono a mostrarci sempre visioni differenti. Passano alcuni anni, Argento conclude la sua “trilogia degli animali”, Fulci propone una sua intelligente visione del giallo con due film agli antipodi come Una lucertola con la pelle di donna, pop, ricco e sfarzoso, e Non si sevizia un paperino, crudo, politico e polveroso.
Il primo vero incontro con il paranormale per entrambi avverrà tra 1975 e il 1977: nel 1975 Argento conquista la fama con Profondo Rosso mentre Fulci nel 1977 termina le riprese di Sette note in nero. Se Profondo Rosso inserisce il tema della parapsicologia solo come primo tassello di sviluppo di una storia prettamente nera – la medium che viene uccisa nei primi 10 minuti di film perché durante un convegno vede tra il pubblico l’assassino – Sette note in nero immerso dal primo all’ultimo minuto in un’atmosfera in bilico tra passato, presente e futuro grazie alle visioni di Jennifer O’Neill. I paragoni finiscono qui e come è stato giustamente riportato da un recentissimo articolo di Nocturno, l’opera più vicina a Sette nero in nero è semmai il successivo Il tocco della medusa, film di Jack Gold con Richard Burton. Spesso i critici del tempo hanno voluto alimentare la sfida Argento-Fulci solo attingendo ai titoli, alla sinossi delle opere o addirittura alla sola area tematica quando in realtà i due hanno sempre operato su piani (narrativi, economici, distributivi) molto diversi.
Uno scontro diretto tra i due avviene quando Fulci decide di accettare la proposta del produttore Tucci per girare Zombi 2 solo un anno dopo che Dario Argento aveva montato la versione europea di Zombi di George A. Romero. La storia narra che Argento si infuriò per questo sequel apocrifo e Fulci gli rispose a tono dicendo che la figura dello zombi non era di proprietà sua e neanche di Romero e che inoltre il suo film aveva riportato la figura dello zombie «alla Jamaica e ai riti voodoo cui naturalmente appartiene. Non credo di averlo copiato, se i critici visionassero entrambi i film si renderebbero conto da soli dell’assurdità di tali affermazioni». Come detto in precedenza la critica, molto spesso questi film non li guardava, faceva firmare ai vice i pezzi, oppure non li considerava neanche. Mi viene in mente un passaggio di una videointervista di Alberto Pezzotta, voce critica ed in passato collaboratore di Nocturno. Pezzotta, parlando per l’appunto del rapporto tra critica e film di genere disse: «pensate ad un critico cinematografico italiano nel 1960 o nel 1970; escono 300 film italiani all’anno. Nel 1971 si vedeva tranquillamente in sala un film di Bergman, un film di Peckinpah, un film di Antonioni, un film di Godard. Che tempo aveva un critico italiano di vedere un film di Di Leo o un film di Mario Bava? I film su cui si svolgeva il dibattito erano altri». Che fosse davvero Dario Argento nell’epoca di Paese Sera l’unico critico aperto a 360°?
Un’altra pietra di paragone tra Argento e Fulci riguarda …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e Inferno. Inferno, secondo capitolo della Trilogia delle Madri, raccontava dell’esistenza al centro di New York della dimora di Mater Tenebrarum. Inferno rappresenta l’antitesi di quasi tutto il cinema fanta-horror prodotto sino ad allora: riesce a stupire lo spettatore grazie ad una narrazione slegata e irrazionale, così come irrazionali sono le luci e i colori che travalicano quelli artistici di Suspiria e fanno approdare Inferno in una dimensione tutta sua. Fulci, pochi mesi dopo, realizza …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e stranamente fu Fulci stesso che ammise una parentela tra i due film dicendo che «non nascondo che ci sono rapporti tra Argento e me: anche lui ha studiato Artaud ed entrambi i nostri due film sono privi di una struttura, il che è una cosa intenzionale». L’opera di Fulci, rispetto a quella di Argento, mantiene un’impronta personale e anarchica sebbene tratti anch’essa di una magione costruita su una delle porte dell’inferno.
Il successo di Suspiria e di Phenomena di Argento spingono Fulci a mixare entrambi i film in un’opera uscita fuori tempo massimo, 1987, dal titolo Aenigma, un film che purtroppo rappresenta l’inizio della decadenza di Fulci: la malattia stava avanzando e i soldi per quel tipo di produzione erano finiti. Aenigma ingloba dai precitati film di Argento il tema del collegio/scuola femminile: se quello di Suspiria era un covo di streghe e quello di Phenomena nascondeva il figlio deforme della vice-direttrice, Aenigma riesce a contaminarsi anche di cinema internazionale, citando Carrie e Patrick.
La vita di Lucio Fulci si chiude con l’ultimo di una lunga serie di rimpianti e di sfortune. Dopo anni di scontri, di competizione e di frecciate – ospite da Corrado in TV, Fulci disse che nel monitor si vedeva più bello di Argento – Fulci e Argento decidono di mettere insieme le forze per il progetto La maschera di cera. Pochi giorni prima della firma ufficiale che avrebbe affidato a Fulci la regia del progetto il regista muore il 13 marzo 1996. Le sue parole di pochi mesi prima mettono una pietra tombale sul futuro (attuale presente) della distribuzione del cinema di genere: «è l’ultima possibilità di salvare il cinema dell’orrore e del gore italiano. Se non si concretizza questa combinazione Argento-Fulci, cosa ci riserva il futuro?». Queste parole celano una verità ben più profonda e senza volerlo colpevolizzano Argento. Se inizialmente Dario era riuscito a creare una factory con le sue ottime produzioni, perché non ha continuato sulla falsariga dei vari Demoni, La chiesa, La setta, per dare la possibilità ai giovani autori di avere un percorso di alto profilo fino debuttare sul grande schermo?
Solo Fulci, e qui si torna al marxismo, e in parte Joe d’Amato avevano capito che il futuro per il genere doveva passare dall’unione di più forze produttive, visto che la distribuzione, più che la produzione, avrebbe condannato a morte l’horror e il thriller italiano. «Registi horror di tutto il mondo, unitevi» verrebbe da dire.
Bibliografia:
• P. Albiero, G. Cacciatore, Il terrorista dei generi, Palermo, Edizioni Leima, 2004/2015
• D. Argento, Paura, Milano, Einaudi, 2014
• A cura di V. Zagarrio, Argento Vivo, Venezia, Marsilio, 2008
• I dossier monografici di Nocturno su Dario Argento e Lucio Fulci
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