Milano, 13 Ottobre 2016 : si spegne Dario Fo e con lui una delle più importanti voci dell’arte italiana del Novecento. Prima che attore, regista e drammaturgo, Fo è stato senza dubbio un intellettuale. Per questo la sua perdita porta con sé un velo di tristezza in più.
Sembrerà provocatorio parlare di Fo come intellettuale visto quanto lui abbia criticato la categoria dei pensatori italiani, addormentati e non indignati, acquietati da un infido pifferaio magico (da riconoscere in primis nei giornalisti, che a suon di inutili suonate hanno addromentato troppa gente) muti di fronte agli scempi della classe politica e dirigente del nostro paese. Il punto è che non si può fare a meno di riconoscere la capacità di questo grande artista di analizzare lucidamente gli intrigati drammi di questa società, sempre più ingarbugliata e indifferente ai soprusi, attraverso il gioco delle parole.
Tra le tante opere del maestro lombardo, una delle più famose e apprezzate è certamente Mistero buffo: una sarcastica rappresentazione di disagi sociali portata avanti attraverso la figura del giullare. Il giullare medioevale infatti era un tempo portavoce di problematiche non affrontabili apertamente; un cantore di tabù che faceva della sua recitazione uno strumento di denuncia. Al giullare viene dedicato uno dei capitoli centrali di quest’opera. Fo racconta come le origini di questa figura siano riconducibili al racconto di un povero contadino caduto in rovina che, miracolato da Cristo, vede donarsi una lingua tagliente in grado di scalfire le coscienze dei padroni.
Fo comincia il suo spettacolo con un primo capitolo dedicato agli abusi sulle donne e lo fa con una poesia che nello sbiadito ricordo liceale di molti di noi racconta in realtà di un aristocratico corteggiamento tra un uomo e una donna, lui vuol fare l’amore ma lei non intende concedersi. Si tratta di “rosa fresca aulentissima” della quale Fo ripercorre ogni parola donandogli vita, forma e accento, aiutando il pubblico a comprendere quanto fossero poco aristocratiche le intenzioni di chi parla e svelandone l’astuto e subdolo piano.
Mistero buffo prosegue con altri racconti prima spiegati e poi recitati in dialetto padovano e in grammelot, una forma di comunicazione liguistica basata su suoni e azioni mimiche utilizzata proprio dai giullari medioevali abituati a viaggiare e confrantarsi con un pubblico sempre diverso.
Per parlare di tabù si deve ricorrere a stratagemmi, infatti alcune verità non riescono ad essere raccontate, se non passando per la paradossale via dello scherzo giullaresco che –in passato, ma forse anche oggi – sembra essere l’unico strumento di denuncia.
La figura dell’intellettuale è tanto rara quanto preziosa ed in questo momento storico se ne è dimenticato il valore e si stenta a riconoscere Chi possa davvero essere qualificato tale. Pasolini ludicamente denunciava sulle pagine del Corriere della Sera che il compito dell’intellettuale è denunciare quanto è in suo sapere.
“Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.
Se tutto questo è vero, allora, non ci resta che prendere atto di una disarmante verità: la morte di Fo lascia un vuoto che difficilmente sarà colmato. Il compito del teatro italiano potrà essere quello di continuare a dar voce alle sue parole in modo da fornire agli ascoltatori una lente che possa consentire una lettura più chiara di questa realtà calcificata.
Certamente non stiamo vivendo un nuovo Medioevo, perché chi può accedere alla cultura riesce a mettere in atto una propria personale interpretazione dei fenomeni che gli si pongono davanti. Ma per gli altri, chi è il riferimento? Talvolta viene da pensare che siano i comici che fanno satira politica gli unici a rendere fruibile a tutti la riflessione sui nuovi tabù. Allora, a ben vedere, la lingua del giullare dimostra di essere ancora la più potente.
Giulia Contini
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