Architettura che dialoga con l’acqua o che la domina?
La caratteristica fondamentale e più influente di ciò che usualmente viene definito architettura è la sua forma. L’architettura dà forma allo spazio, dà forma all’abitare e dà forma al vivere quotidiano dell’uomo.
L’acqua, diversamente – come del resto ogni fluido – possiede, come caratteristica implicita del suo essere, la condizione di non godere di alcuna configurazione, bensì d’acquisirla dal suo involucro. In questa generale accezione si potrebbe affermare che l’acqua assuma, quindi, una forma se inserita all’interno di un contesto architettonico, sia esso un ambiente aperto o chiuso, sia inserito in un contesto naturale che urbano. Manipolare una parte di mondo da cui siamo stati generati diventa una sfida e tanto più è arduo questo compito, tanto più sarà raffinato il risultato.
Il mondo del costruito ha sempre mosso i suoi primi passi sulla terraferma, dai ripari nelle grotte, alle capanne, tranne che per il caso delle palafitte, dove l’uomo trasforma l’elemento ostico dell’acqua in un riparo dai predatori: l’uomo ha sempre reputato la terraferma il posto più adatto per costruire il suo riparo.
In passato l’architettura ha senza sosta cercato di contenere, sostenere e sfruttare l’acqua, inseguendone il contatto fisico o evitandolo per il suo essere, alle volte, nocivo nei confronti del vivere.
Al giorno d’oggi siamo di fronte a un cambiamento di tendenza. Il nostro mondo ci ha regalato un paesaggio così vario e smisurato, ma spesso la densità abitativa di alcuni gruppi di popolazione, in alcune aree ben definite, raggiunge livelli abnormi o in altri casi le specificità del luogo creano le condizioni per avvicinarci all’idea di “conquistare” l’acqua, uscire dalla terraferma e costruire i propri spazi sul mondo acquatico, un po’ come ai tempi delle palafitte, ma i presupposti per l’azione sono ben altri. Si arriva quindi a creare una terra artificiale e ad impadronirsi di quello spazio, sul globo terrestre, prima riservato solo a pesci e anfibi, lo spazio conquistato è quello oltre la costa: lo “spazio dell’acqua”.
In estremo oriente le chiamano sampan, ad Amsterdam woonboot, in Benin, Ganvié è la Venezia dell’Africa occidentale, e tanti altri esempi sparsi nel mondo dimostrano che, forse, non è tanto poi assurda l’idea di “abitare” l’acqua. Alcune testimonianze ci raccontano anzi quanto ciò rappresenti un modo avvolgente per recuperare il contatto ormai perso dall’uomo moderno con la natura e, nel caso specifico, con l’acqua: sia essa fiume od oceano.
Suoni, odori, cigolii, maree ma soprattutto riflessi sono le peculiarità di quest’esperienza; ondeggiare, di continuo, assaporarne la freschezza e la fragranza. Il mondo riflesso sulla superficie dell’acqua non è poi così distante dal reale, ma sembra ritornare tanto a quei quadri impressionisti che usavano anzitutto l’acqua, come elemento sul quale riflettere le suggestioni della realtà.
Vivere in una casa senza fondamenta è un paradosso, ma se essa trova posto in acqua tutto diventa possibile. Vivere sull’acqua diventa quindi uno stile di vita.
Gli esempi più noti di questo genere di esperienze sono olandesi.
A Rotterdam per far fronte alle nuove esigenze dell’innalzamento del livello del mare si possono erigere nuove dighe e rialzare quelle esistenti, oppure costruire case galleggianti che si sappiano adeguare a ogni livello raggiunto dalle acque. Tutto ciò non è solo un progetto in Olanda.
Nelle acque di Rotterdam galleggia un padiglione di 800 metri quadrati, costruito nel 2010 come esempio di costruzione galleggiante. Esso è formato da tre grandi cupole intersecate, è accessibile da due ponti e adibito a mostre ed esposizioni. La piattaforma su cui si erge è costituita da lastre e cubi di polistirolo all’interno di uno scheletro di cemento armato.
In Olanda l’uomo ha imparato a dialogare con l’acqua, se prima i territori le sono stati strappati con le dighe, ora si riacquistano le antiche conformazioni, restituendoli al mare. A maggior ragione dopo le inondazioni che sommersero il paese nel 1995 a Maasbommel è nato il primo quartiere a prova di alluvione, dove le case si sollevano seguendo il livello dell’acqua e le maree. Piloni di ormeggio impediscono alla struttura di fluttuare tra le onde, le case sono fatte per lo più in legno e alluminio leggero e sono collegate tra loro da passerelle.
L’uomo, pur con le sue esigenze, si adatta alla natura piuttosto che forzarla.
Citadel, in Olanda, è il progetto per un complesso residenziale da realizzare sui territori restituiti alla loro natura, il sistema costruttivo si basa sull’uso di pilastri e palafitte su cui poggiano i moduli prefabbricati; la fondazione galleggiante è pensata come un cassone che funge da parcheggio per i residenti. Ogni appartamento ha il suo accesso al canale e l’acqua qui viene quindi impiegata per il transito delle imbarcazioni.
In Italia dove le città sono di pietra, arroccate pesantemente al territorio, questo scenario risulta ancora lontano e quasi utopico.
In Giappone si costruiscono già isole artificiali, e a Osaka l’aeroporto è situato proprio su una di queste. Si tratta di un esempio in cui si è reso necessario adottare il recupero di terra dall’acqua. Una terraferma artificiale. E’ un compito costoso e rischioso, preso in considerazione soprattutto in luoghi densamente abitati e dove le zone pianeggianti sono scarse. Le Isole delle Palme, negli Emirati Arabi Uniti, sono altri esempi di isole artificiali.
Tra gli esempi più notevoli nel mondo occidentale di terra sottratta all’acqua troviamo New Orleans (parzialmente costruita su terra un tempo paludosa); gran parte del litorale di San Francisco sottratto alla Baia di San Francisco; Città del Messico (che sorge dove prima si trovava il Lago di Texcoco); Helsinki (il cui centro sorge su terra sottratta all’acqua); il litorale di Città del Capo; la zona costiera di Chicago.
Gli attraversamenti dei fiumi costituiscono, anch’essi, un’esperienza di ricerca del legame con la natura.
Il ponte pedonale progettato dall’artista Vito Acconci, è stato inaugurato nel 2003 sul fiume Mur in Austria. Conosciuto come Mur Island si tratta della creazione di un’isola artificiale su una piattaforma galleggiante.
Il progetto dell’isola fu originariamente inteso come temporaneo per celebrare il programma della Capitale Europea della Cultura, ma presto divenne un punto di riferimento popolare per i residenti locali e un’attrazione per i visitatori di Graz.
E’ un ponte a spirale pedonale che collega le due sponde della città, ma anche un’isola artificiale: sia ponte che spazio di servizio e di sosta.
Integrazione con la natura e collegamento con la città sono i punti chiave del progetto, un’idea che regala ai visitatori un nuovo punto di vista su panorami fino ad allora inaccessibili. La piattaforma polifunzionale è collegata da passerelle e rampe alle sponde del fiume, creando due zone di attività che funzionano come due metà di un guscio aperto. Lo spazio aperto è un anfiteatro, mentre la zona chiusa è una bar-ristorante, sormontato da una cupola di vetro.
Un altro esempio meno invasivo ma allo stesso tempo affascinante è il Sunken bridge. Si tratta di ponte in una fortezza olandese, architettura dalla forma a stella, e giunta quasi inalterata fino ai nostri giorni; è stato necessario realizzare delle strutture per attraversarla, in modo da poter visitare l’intera area circostante colma di numerosi castelli e fortezze, oggi divenuti musei storici, ed essa stessa meta turistica raggiungibile con diversi itinerari ciclistici e di trekking.
Uno dei bastioni di difesa del Forte (Fort de Roovere) è stato utilizzato per realizzare un ponte di attraversamento.
Chiamato Sunken Bridge, detto anche Ponte di Mosè per la sua inusuale posizione, che si confonde con i profili del paesaggio circostante e che se visto in lontananza risulta impercettibile, perché terra e acqua ne celano la struttura fino al bordo. Completamente immerso nel fossato d’acqua, solo in prossimità della costruzione è possibile vedere perché raccordato ad una scala in acciaio che conduce alla collina antistante. Tutto voluto per rispettare il disegno del paesaggio che non poteva essere manomesso o stravolto e che anche nella scelta dei materiali evidenzia un’attenzione verso il territorio.
Le Terme di Vals di Peter Zumthor, rappresentano un esempio di dialogo tra costruito e natura. Qui l’architettura si fonde con la natura, diventa contenitore d’acqua che sembra esservi nata da tempo, sono l’acqua, la roccia, la montagna che creano architettura. Scelta di cedere alla natura e all’acqua la loro porzione di architettura. La natura qui si manifesta come un elemento inscindibile dall’architettura. Sorgono nello sfondo delle Alpi svizzere, integrandosi come se fossero sempre state in quel luogo. Gli spazi e la sovrapposizione delle pietre conducono attraverso un percorso che sembra scavato nelle caverne proprio dall’acqua elemento principale del progetto.
Ma uno sguardo utopico ci mostra che il futuro è sott’acqua!
Il più grande albergo sottomarino del mondo è in programma per Dubai, con camere sia sul fondo del mare e che sopra la superficie. La struttura sarà composta da due dischi principali, uno sopra l’acqua e uno sotto la superficie, collegati da cinque colonne e un albero verticale per le scale e ascensore. Piccoli volumi circolari sopra la superficie conterranno servizi aggiuntivi, come una pista per elicotteri. Il disco più basso sarà composto di 21 camere d’albergo con vista subacquea, un centro di immersioni subacquee e un bar.
Anche in Giappone si ipotizza la costruzione di una gigantesca città sottomarina.
Sormontata da una cupola sferica sopra la superficie, ospiterà uffici, alberghi, negozi e abitazioni nella parte inferiore. Dal suolo marino a cui verrà ancorata avverrà l’estrazione dei minerali e di gas metano per l’alimentazione della città. Le due parti della struttura sono collegati da cinque gambe solide e un albero verticale contenente un ascensore e scala.
Portare la vita sotto la superficie del mare potrebbe non essere un’idea così bizzarra.
Donatella Incardona
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